Antonio Megalizzi. La giovane Europa

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La nostra rivista ha presentato negli scorsi mesi i profili di statisti come Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Robert Schuman e di un intellettuale come Romano Guardini: «i padri dell’Europa». Questa volta abbiamo voluto celebrarne i “figli”, la generazione che, nata e cresciuta all’interno del grande progetto dell’integrazione europea, ne ha portato avanti gli ideali. Per rappresentarla abbiamo pensato all’entusiasmo di Antonio Megalizzi, morto a Strasburgo in seguito all’attentato terroristico dell’11 dicembre 2018. Affidiamo il suo ricordo alle affettuose parole dei suoi compagni di corso all’Università di Trento e a un suo racconto.
 
 

Antonio era un mare di sogni, e la determinazione di volerli realizzare tutti. Antonio era l’empatia, la capacità di comprendere la sofferenza altrui, ed una grande sensibilità. Antonio era fonte d’ispirazione, data la sua dedizione nel portare a termine i suoi lavori, con umiltà e senza sbandierare i suoi sforzi. Con la forza di pretendere sempre il massimo da sé stesso.

Questo è un ricordo che ci è rimasto di Antonio, nostro compagno di corso ma soprattutto amico. Abbiamo pensato di mettere insieme le nostre parole per raccontare a tutti quanto lui abbia significato e significhi ancora per noi.

Antonio… ti sedevi quasi sempre in seconda fila, sempre composto nel tuo portamento e nella tua apparenza, il tuo sorriso e la tua voce ferma comunicavano serenità e grandi progetti. Riuscivi sempre a strappare un sorriso a tutti, anche quando eri di corsa che scappavi da una parte all’altra, sempre impegnato dietro a qualcosa, sempre in movimento.

La gente parla di te soprattutto associandoti al tuo lavoro, perché sapevi quello che facevi e amavi quello che facevi, ma la verità è che tu eri molto più di questo. Hai scelto questo corso proprio per l’ambizione di poter fare meglio il tuo lavoro. E nonostante tutti i tuoi impegni eri sicuramente tra i più brillanti di questo corso. Avevi un senso dello humour e un’ironia che coronavano la tua intelligenza arguta, la tua positività e la tua creatività.

Ti interessavi a tutto e a tutti, eri sempre curioso sulle nostre vite e volevi davvero sapere come stavamo. A qualcuno hai persino dedicato qualche canzone durante le tue trasmissioni in radio, contagiandoci con la tua passione.

Vediamo la gente ridere e scherzare, e pensiamo che siano in­consapevoli, che una cosa come quella accaduta a te, potrebbe accadere a chiunque, e in testa nostra pensiamo che il mondo dovrebbe fermarsi per un po’, per riflettere.

Ti vorremmo ringraziare per essere sempre stato premuroso, per aver sempre saputo mettere una parola di incoraggiamento prima di ogni presentazione o esame. Sappi che siamo tanti e tutti insieme saremo la bocca che esprime le tue idee, le mani che realizzano i tuoi progetti e il cuore che si batte per la tua Europa. Tutto questo ci ha cambiati tutti, ma troveremo la forza di portare avanti il tuo ricordo e rendere onore ai tuoi ideali, possiamo garantirtelo.

Avevi una vita meravigliosa davanti a te, piena di ambizioni e di successi. Avevi un cuore enorme e una voglia di vivere che travolgeva tutti quanti. Avevi tutto questo e te l’hanno portato via.Hanno portato via te e con te i tuoi sogni – e con i tuoi, anche i nostri. Ci è stata portata via la libertà di passeggiare in centro città, ci è stata portata via la sicurezza di vivere nella nostra Europa, ci è stata portata via la serenità che caratterizza la cultura e la civiltà.

Beh Antonio... noi continueremo a camminare in mezzo alle strade. Continueremo a credere nella libertà. Continueremo a studiare diritto e continueremo a scrivere papers che parlano di etica e di giustizia. Una parte di te resta in ognuno di noi, dentro questa classe. Ti promettiamo di realizzare un po’ di te in tutti i nostri sogni. Ti promettiamo di ricordarti per sempre e di fare in modo che tutti conoscano il tuo nome e conoscano la persona incredibile che eri. Non ci arrenderemo neanche questa volta. Porteremo con noi i ricordi che ci legano a te: siamo fortunati ad averti avuto nelle nostre vite.

 

Antonio Megalizzi, 29 anni, era uno speaker radiofonico, autore e giornalista. Laureato in Scienze della comunicazione presso l’Università di Verona, frequentava il corso di laurea magistrale in Studi europei ed internazionali presso l’Università di Trento. Appassionato di Unione europea, il suo scopo era quello di raccontarla in modo chiaro ed accessibile a tutti. Conciliando lavoro e studio, ha collaborato con numerose testate: la sede regionale di Radio Rai, l’emittente radiofonica trentina RTT La Radio, Radio 80 Forever Young, Sanbaradio ed infine Europhonica, la prima redazione radiofonica europea in cui Antonio, insieme a suoi coetanei, ci informava sulle dinamiche spesso complesse che regolano l’attività dell’Unione. L’11 dicembre 2018 un vile attacco terroristico ce l’ha portato via. Tuttavia, le sue idee illuminanti e la sua contagiosa passione europea vivono in eterno.

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Antologia

Cielo d’acciaio

Sento il vento penetrare sulle lastre metalliche del mio corpo longilineo. A malapena in questo momento riuscirei a leggere il nome stampato sul fianco destro. Sembra un codice fiscale: AGM – 158 – JASSM.

Durante le prove ascoltavo i miei costruttori rassicurare omaccioni in divisa militare riguardo le potenzialità del mio futuro operato.

«Ha per propulsore un turbogetto Teledyne CAE J402, e possiede un sistema di navigazione inerziale che aggiorna i dati attraverso il Global Positioning System».

Tele cosa? Global che?

«Possiamo piazzarli sugli F-35 o sugli F-16. Volano che è un piacere».

All’epoca non sapevo che mi avrebbero fatto volare davvero, e se l’avessi saputo avrei stoppato tutta la preparazione. Io ho paura di volare!

Anche perché tutti gli amici che si sono allenati con me non sono più tornati: AGM – 88 – HARM, AS – 9- KYLE, AGM – 62 – WALLEYE.

Quest’ultimo mi inquietava un sacco: diceva che il nostro compito era quello di salvare il mondo dalla minaccia del terrorismo. Dovevamo distruggere per non farci distruggere. Che è un po’ come dire che bisognerebbe accoltellare gente a caso per strada perché uno di questi un giorno potrebbe farlo a te.

Comunque anche lui è partito e mai più tornato, anche se i discorsi strani qui continuavano a farli. Prima della partenza sentivo gli stessi omaccioni della sala test vantarsi con altri militari infe­riori di grado riguardo alla potenza del mio lancio.

«Se dimostra di fare il bravo bambino lo vendiamo alla Finlandia e alla Corea. Costa tanto ma rende bene».

Chissà se vedrò mai la Finlandia. O la Corea.

Al momento scorgo solo una distesa pianeggiante di sabbia arida e di pietre sudate.

Corro. Volo.

Raggiungo i 500 km/h, roba che neanche una Maserati truccata, o una Bugatti Veyron guidata da Alonso.

Inizio ad avere paura: l’addestramento finiva qui. Non conosco i passi successivi al lancio, non me li hanno mai raccontati.

Come mi devo comportare ora? Dove devo andare?

Gli omaccioni hanno pianificato metro per metro la mia traiettoria e dovrei sentirmi tranquillo, ma negli allenamenti il tutto finiva nel giro di due minuti mentre ora, che ne sono passati al­meno quattro, sento la pressione dei miei motori che aumenta vertiginosamente.

Ansia. La cosa mi spaventa.

Esiste un tasto per spegnermi?

E se aprissi un paracadute e cadessi nel vuoto?

Il deserto mi accoglierebbe, dopotutto non gli ho fatto nulla.

700km/h.

Mi sembra di esplodere. Ogni mio componente invoca aiuto.

È assurdo che coloro che mi hanno costruito e cresciuto con tanta cura ora se ne freghino.

Amici? Dove siete? Mi sentite?

Vedo qualcosa all’orizzonte. Sembra un cumulo di case e macerie.

Forse è là che devo andare, forse è là che mi aspettano tutti.

AGM – 88 – HARM? AS – 9- KYLE? AGM – 62 – WALLEYE? Ci siete anche voi vero?

Ragazzi? Come si spegne quest’affare? Devo arrivare fin là?

Più mi avvicino e più prendo velocità. La cosa mi preoccupa.

Inizio a tremare. Sento un caldo infernale provenire dal mio interno, come se stessi già bruciando.

Spegnetemi amici! Ho bisogno di voi! Mi sentite?

Vedo le case del paese a pochi metri da me. Devo capire come arrestarmi, altrimenti rischio di fare male a qualcuno.

Ragazzi? Mi spegnete? Sto finendo contro delle case! Rischio di fare qualche danno!

Perché nessuno mi sente? Dove sono finiti tutti?

Eppure fino a dieci minuti fa dovevo salvare il mio paese, dovevo mettere al sicuro il mondo. Al sicuro da cosa poi? Non ce l’hanno mai spiegato.

Riesco ad intravedere le finestre degli appartamenti di fronte. Ci sono armadi, tavoli, cucine e sedie. Vedo persone che scappano, che urlano, che prendono infanti in braccio e se li portano via.

Scusate ragazzi! Non volevo spaventarvi. Adesso mi fermano e risolviamo! Tranquilli!

Tranquilli sì, ma la velocità qui aumenta.

Adesso vedo un orsacchiotto. È giallo, con gli occhi marroni e il papillon rosso. Si trova appoggiato alla finestra con la testa leggermente inclinata verso il basso.

Chissà come si chiama?

Dudu? Max? Orbit?

Orbit mi piace. Si chiamerà Orbit.

Mi trovo a pochissimi metri da Orbit e dalla sua finestra e spero vivamente che mi fermino prima di romperla. Chi la sente la famiglia che ci abita poi? Come glieli restituisco i soldi che servono? Dovrei almeno attendere che mi vendano alla Finlandia o alla Corea.

Orbit si fa vicinissimo. Intravedo un taglio sopra l’occhio destro. Sarà caduto giocando?

Povero orsacchiotto, spero che lo riparino. Non è un bello spettacolo, anche perché la sua imbottitura di kapoc bianco latte stona un po’ sul giallognolo del tessuto da peluche.

Vedo anche una mano ora. Si è poggiata sugli occhi di Orbit. È una mano minuscola, che a malapena riesce a coprire le sue pupille.

Forse non vogliono che Orbit guardi me. Magari gli hanno detto di evitarmi.

Eppure sono buono, sto avvisando tutti del mio arrivo e chieden­do ai miei amici di spegnermi così non faccio male a nessuno.

Quegli sbadati.

Potrei fare amicizia col bimbo intanto che arrivano. Sembra simpatico.

Chissà come si chiama?

Jaamal? Salem? Taamir?

Taamir mi piace. Si chiamerà Taamir.

Taamir indossa una maglia bianca sporca di rosso, dei pantaloncini blu e delle scarpe grigie. Ha i capelli a caschetto, neri come il petrolio.

Arrivato alla finestra scopro che questo Orbit deve stare davvero simpatico a tutta la famiglia: oltre a Taamir anche un uomo sulla quarantina e una donna col velo si stringono forte a lui!

Chissà come si chiamano?

Muhammad e Basheera? Saeed e Lateefa? Rashid e Jameela?

Rashid e Jameela mi piacciono. Si chiameranno Rashid e Jameela!

Rashid ha un viso sconvolto. Tiene stretto a sé il piccolo Taamir che non accenna a staccarsi da Orbit. Jameela piange. Non capisco perché. Forse ha paura.

Ragazzi, c’è un malinteso, voglio solo esservi amico! Adesso mi spengono. Ve lo prometto!

Entro in casa urlando a più non posso di frenarmi ma nessuno mi sente. Né AGM – 88 – HARM, né AS – 9- KYLE, né tantomeno AGM – 62 – WALLEYE. Per non parlare degli omaccioni in divisa che volevano vendermi alla Finlandia o alla Corea.

La casa intanto si illumina e tutto quello che prima vedevo in piedi in una frazione di secondo giace esanime a terra, tra sabbia, plastica, ferro, mattoni e altre macerie.

Ho finalmente stretto amicizia con la mia nuova famiglia, solo che non credo si siano accorti di me.

Giacciono anche loro al mio fianco, con la testa verso il cielo, quella distesa azzurra che solitamente si fa paesaggio dei desideri più audaci di grandi e piccini.

Il mio cielo, il loro cielo, che da sogno si è trasformato in incubo.

Da quando in qua bisogna aver paura di qualcosa di tanto bello?

E mentre anche io sto per addormentarmi, tra gli ingranag­i distrutti e rumorosi del mio motore e delle urla anonime in lontananza, mi faccio la domanda che forse anche AGM – 88 – HARM, AS – 9- KYLE ed AGM – 62 – WALLEYE si sono fatti: Adesso io sono distrutto. Adesso ho distrutto loro. Il mondo è finalmente salvo?

Antonio Megalizzi