Pietro Pavan. Il pensiero sociale al Concilio

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Due contributi ci raccontano del cardinale Pietro Pavan e il Vaticano II. In particolare, il contributo di pensiero e di orientamento ecclesiale di Pavan nella e per la redazione dei tre documenti che hanno segnato la felice stagione conciliare: Pacem in Terris, Gaudium et Spes, Dignitatis Humanae. La vicenda umana di prete che seppe servire, sino alla e lacrime, la Chiesa leggendo in maniera straordinaria i segni dei tempi e la necessità di offrire risposte inequivocabili all’umanità.
 

La presenza del futuro cardinale Pietro Pavan al Concilio Vaticano II è certamente frutto della sua preparazione teologica e in materia di Dottrina sociale, competenza messa al servizio delle Chiesa durante gli anni del pontificato di Pio XII, che lo vedono al servizio dell’Istituto Cattolico di Attività Sociali (Icas) e come segretario e successivamente vicepresidente delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani. Ma non solo. È lo stesso Giovanni XXIII a volerlo al Concilio1 con una nomina che si presenta come «un attestato di stima» nei confronti di Pavan. Il papa proprio nel periodo di preparazione conciliare, accolse «l’idea e la prima traccia dell’enciclica» Pacem in Terris2.

Pavan entra a far parte della Commissione teologica presieduta dal card. Alfredo Ottaviani nella quale il p. Sebastian Tromp svolgeva le funzioni di segretario. Nel giugno del 1960 vengono nominate dieci commissioni conformi «alle competenze delle congregazioni curiali»3 e presiedute dagli stessi cardinali responsabili. Dette commissioni avevano l’incarico di studiare ciò che sarebbe poi stato trattato nell’assemblea conciliare. Una di esse è la Commissione preparatoria per l’Apostolato dei laici presieduta dal card. Fernando Cento. Il nome di Pavan compare tra quelli dei venticinque esperti, nei quali troviamo anche mons. Evasio Colli, arcivescovo di Parma, ben conosciuto per i suoi contributi alle Settimane Sociali e p. Roberto Tucci sj direttore de «La Civiltà Cattolica»4. Nonostante fosse già membro della Commissione teologica, papa Giovanni volle che rimanesse anche in quella per l’Apostolato dei laici. Questa decisione, dovuta proprio alle specifiche competenze di Pavan, successivamente porterà non poche conseguenze sui lavori della Commissione teologica, che saranno alquanto rallentati, per via del doppio impegno sia di Pavan che di altri membri. Nel marzo del 1962 viene nominato «consultore della Suprema Sacra Congregazione del Sant’Uffizio» e, sempre nello stesso anno, «perito conciliare». In questo ruolo lavorerà nella Commissione dei vescovi e delle diocesi, nella sottocommissione che prendeva in esame il capitolo II dello schema De cura animarum, cioè Depastorali parochorum officio5.

Il lavoro di Pavan al Concilio non fu certamente facile, e non solamente per il fatto di doversi dividere tra la Commissione teologica e il suo lavoro di perito nelle altre commissioni, quanto per il fatto che ebbe a confrontarsi con teologi e specialisti della materia con i quali non aveva rapporti proprio “fluidi”, o che criticavano la sua posizione di natura sociologica. Tra questi p. Gustav Gundlach, il quale, maggiore redattore dei documenti sociali di papa Pacelli, sembra avesse mal digerito una sua esclusione dalla redazione della Mater et Magistra6. Con p. Gundlach lavorò sui fondamenti dell’ordine sociale e delle questioni inerenti la politica nella sottocommissione De ordine sociali, istituita nel gennaio del 19617, ma certamente con grande fatica. Henri-Marie de Lubac, infatti, annota nel suo diario, il 10 marzo 1962, che la sottocommissione incaricata di studiare lo schema di costituzione De re sociali si era divisa in due fazioni «irriducibili» guidate l’una da Pavan ad indirizzo “socializzante”, l’altra da p. Gundlach ad indirizzo “liberaleggiante”. Le considerazioni espresse da Pavan durante i suoi interventi nelle commissioni, toccano in particolare modo il rapporto con il mondo economico, del lavoro e la vita sociale. Si mostra molto attento in tutto ciò che coinvolge la dignità umana e la difesa della libertà della persona. Le sue osservazioni sono puntuali, precise, e vanno al nucleo della questione, anche se non sempre sono bene accette, tanto che nella revisione del De ecclesia nella parte riguardante i rapporti tra Stato e Chiesa, p. Tromp rivede punto per punto il lavoro di Pavan nel tentativo di farlo “naufragare”. Come già accennato, il suo contributo si estende anche alla redazione della costituzione conciliare Gaudium et Spes sulla presenza della Chiesa nel mondo contemporaneo. Lo schema XVII poi XIII, ha avuto uno sviluppo molto lento tanto da restare in fondo alla lista dell’ordine del giorno del Concilio per lungo tempo. Solo nell’autunno del 1964 viene iscritto nell’agenda della Commissione plenaria, anche per via delle «esitazioni di Paolo VI». Nella prima fase – febbraio/marzo 1963 – si assiste all’opera di collaborazione tra la Commissione teologica e quella dell’Apostolato dei laici. Vengono scelti un ristretto gruppo di esperti - Pavan, Ferrari Toniolo, Sigmund, Tromp, Lio, Hirschmann e Guano - ai quali è affidata la redazione del proemio e di sei capitoli8. Pavan si incarica di redigere il secondo capitolo: De persona humana in societate. L’idea che Pavan vuole far passare è quella di un Magistero sociale della Chiesa ove coesistano sia elementi di natura metafisica che di natura morale e dove l’operare umano venisse considerato sempre in perfetto accordo con le leggi immanenti e l’ordine morale. Soprattutto è il luogo ove l’uomo diventa “protagonista”, con la sua dignità di persona che si manifesta in ogni attività: nel lavoro, in cui l’uomo perfeziona se stesso e sempre in consonanza con la legge morale, che Pavan definisce «collaborazione dell’azione creatrice di Dio e quasi concreazione»9; nella convivenza reciproca a cui l’uomo è chiamato perché fatto a immagine e somiglianza di Dio; nella solidarietà e collaborazione che sono l’espressione della socialità umana e di una chiamata all’amore. Egli dà un importante risalto alla dignità della persona umana, al fatto che l’uomo e la donna in quanto persone sono titolari di diritti per natura inviolabili. Ma passa anche la visione di Pavan sulla donna, che è molto aperta, di ampio respiro, anticipatrice dei tempi. Per Pavan era indispensabile che le donne avessero una profonda educazione morale e religiosa, nonché professionale in un momento in cui prendevano coscienza della loro dignità e rivendicavano parità di diritti e di doveri con l’uomo. Senza dubbio Pavan ebbe un ruolo consistente e significativo nella elaborazione della Gaudium et Spes10 (schema XVII/XIII), l’apostolato dei laici, il lavoro svolto per la Commissione dei vescovi e della scuola cattolica, ed infine l’importantissimo ma faticosissimo schema sulla libertà religiosa, la “creatura” di Pavan, per la quale ha lottato e sofferto, e pianto, fino all’ultimo istante. La presenza di Pavan nella Commissione preparatoria per l’apostolato dei laici ha una importanza non secondaria per via della sua esperienza in materia e della forza con cui difende l’autonomia della Commissione dagli attacchi della corrente conservatrice, preservando con fermezza la specifica azione sociale dell’apostolato. È il 1963. Nel 1960 Pavan aveva pubblicato il libro Il laicato nell’ordine temporale (Coletti, Roma) dove spiega dettagliatamente il suo pensiero sulla questione. L’archetipo che Pavan, insieme ad altri della Commissione, voleva scardinare era quello di un apostolato dei laici derivante dal mandato della gerarchia. In realtà l’apostolato era, ed è, giustificato dal battesimo, la qual cosa non significava lo svincolamento del laicato dalla subordinazione alla gerarchia. Dunque ha sostenuto fermamente l’autonomia dei laici nell’azione sociale, che «agiscono, come norma, di loro iniziativa e sulla loro responsabilità», ma «sempre nell’ambito dell’ordine morale interpretato, definito e proposto autoritariamente dalla gerarchia». In questo modo il potere decisionale della gerarchia veniva salvato e nello stesso tempo si poteva riconoscere ai laici libertà di iniziativa. E questo fu un grandissimo risultato, perché finalmente i laici trovavano un posto chiaro nella Chiesa e nella sua azione missionaria.

In conclusione si può affermare che Pavan, con la sua competenza e il suo fermo coraggio nell’affrontare situazioni veramente difficili e di impasse, ha dato un grosso contributo al Concilio con la sua preparazione e le sue idee che precorrevano i tempi. Per questo motivo si può assolutamente sostenere che Pavan è stato un profeta del nostro tempo, un nuovo «padre della Chiesa» a cui è stato riconosciuto questo merito in ritardo e con grande fatica. Venne nominato cardinale nel 1985, ma fino ad allora visse nell’isolamento del Paesello della Madonna, fuori Roma, dimenticato dai più, ma non da Giovanni Paolo II e dall’allora card. Joseph Ratzinger che lo andava a trovare periodicamente e che considerò un autentico amico.

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Ignazio Sanna

Pavan e l’operosa stagione del Concilio

Ho conosciuto il cardinale Pietro Pavan prima come docente e, in seguito, come Rettore magnifico della Pontificia Università Lateranense. Grazie a lui, potei difendere la mia tesi di laurea sulla cristologia antropologica di Karl Rahner, bloccata per qualche tempo senza relatore, e iniziare il mio insegnamento accademico, che ho conservato sino alla nomina di arcivescovo di Oristano, nell’aprile del 2006. Prima di parlare di Pavan e del suo contributo al Vaticano II, vorrei ricordare che egli è stato uno tra i personaggi di maggior spicco del Movimento sociale cattolico del secolo ventesimo. Nella sua lunga carriera di impegno ecclesiale fu consigliere di vari movimenti (Acli, Coltivatori Diretti, Ucid), nonché assistente dei Laureati cattolici e dell’Istituto Cattolico di Azione Sociale o Icas (1945-1950), segretario (1945-1953) e poi vicepresidente (1953-1965) del Comitato Permanente per le Settimane Sociali dei Cattolici d’Italia. Condivido pienamente l’opinione espressa da mons. Mario Toso, secondo la quale il cardinale Pietro Pavan può essere considerato un “Padre della Chiesa”, «non solo perché ha contribuito alla stesura materiale delle bozze di diverse encicliche e documenti ufficiali – si pensi alla Mater et Magistra, alla Pacem in Terris, alla Dignitatis Humanae e alla stessa Gaudium et Spes, ma sembra che egli abbia collaborato anche alla Populorum progressio di Paolo VI e, in forma minore, alla Laborem Exercens di Giovanni Paolo II –; non solo perché, come assistente ecclesiastico di importanti associazioni e istituzioni ecclesiali, ha promosso la sperimentazione e, quindi, il rinnovamento della Dottrina sociale, ma soprattutto perché ne ha evidenziata e irrobustita la natura teologica, ecclesiologica e pastorale secondo la prospettiva di una Chiesa sacramento, immersa nel mondo, ma non del mondo, costituita per portare la salvezza integrale di Cristo, secondo la logica della comunione e della missione». (Dall’intervento dimons. Mario Toso alla Conferenza tenuta presso l’UniversitàPontificia Lateranense il 13 marzo 2013, durante laCommemorazione del cardinale Pietro Pavan). Qui vorrei evidenziare il contributo di pensiero e di orientamento ecclesiale del cardinale Pietro Pavan, nella e per la redazione di tre documenti che hanno segnato la felice stagione conciliare. Il primo documento, legato in qualche modo al suo nome, è sicuramente la Pacem in Terris di Papa Giovanni XXIII, scritto in piena stagione conciliare. L’enciclica, firmata il 9 aprile, fu promulgata l’11 aprile (giovedì santo) 1963. La sua grande novità fu messa in evidenza dallo stesso Papa nel discorso che tenne in coincidenza con la firma: «Sulla fronte dell’enciclica batte la luce della Divina Rivelazione che dà la sostanza viva del pensiero. Ma le linee dottrinali scaturiscono altresì da esigenze intime della natura umana e rientrano per lo più nella sfera del diritto naturale». Per questa particolare declinazione di ragione efede, d’umanità e rivelazione, l’enciclica è indirizzata non solo all’episcopato, al clero e ai fedeli di tutto il mondo, ma anche «a tutti gli uomini di buona volontà». Infatti «la pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio». Con il suo intervento, Papa Giovanni voleva smentire i profeti di sventura, sostenere la comune appartenenza di tutti gli uomini e donne alla famiglia umana, accendere l’aspirazione della gente a vivere in sicurezza e giustizia e individuare le quattro condizioni essenziali per la pace: la verità, la giustizia, l’amore, la libertà. La Pacem in Terris ha attirato l’attenzione soprattutto per la proposta rivoluzionaria di distinguere, senza parlare esplicitamente del marxismo o dei regimi comunisti, tra l’errore e l’errante, al fine di condannare l’errore e di salvare l’errante. Il secondo documento alla cui redazione partecipò il cardinale è la costituzione conciliare Gaudium et Spes sulla presenza della Chiesa nel mondo. Con la costituzione pastorale il Concilio si oppone a tutti i tentativi, diretti o indiretti, di limitare il campo d’azione e d’interesse della Chiesa a faccende meramente interne, relegandola per così dire nella “sacrestia”. La Chiesa, infatti, non si lascia ghettizzare e ridurre ad una dimensione puramente intima e personale; essa rivendica una voce pubblica. E la rivendica non nel proprio interesse, ma nell’interesse degli uomini. Dice infatti: «È l’uomo dunque, l’uomo considerato nella sua unità e nella sua totalità, corpo e anima, l’uomo cuore e coscienza, pensiero e volontà, che sarà il cardine di tutta la nostra esposizione» (n. 3). Il Concilio si interroga sulle questioni fondamentali dell’esistenza: «Cos’è l’uomo? Qual è il significato del dolore, del male, della morte, che continuano a sussistere malgrado ogni progresso? Cosa valgono quelle conquiste pagate a così caro prezzo? Che apporta l’uomo alla società, e cosa può attendersi da essa? Cosa ci sarà dopo questa vita?» (n. 10). Il terzo documento cui il cardinale lavorò con passione e intelligenza fu la dichiarazione sulla libertà religiosa DignitatisHumanae, basata su uno di quei principi che il cardinale ha vissuto e testimoniato, e, cioè, il rispetto della persona umana. L’intelligente e paziente lavoro del cardinale, con la dialettica del cuore, prima ancora che con quella delle idee, evidenziò innanzitutto la natura del diritto della persona umana alla libertà in materia religiosa. A tal fine, egli si adoperò per arrivare ad un efficace e determinante spostamento d’accento: passare dall’affermazione del diritto della verità a quello del diritto della persona. Sono solo le persone ad avere dei diritti, perché i diritti sono rapporti interpersonali, da persona a persona, da soggetto a soggetto. Non si voleva ovviamente mettere in discussione il rapporto tra l’uomo e la Verità: l’uomo è fatto per la Verità; egli è stato creato intelligente, cioè entitativamente aperto alla Verità. In tal senso l’uomo ha il dovere di cercare la Verità; egli non può non cercarla. Ma tale ricerca non può non essere libera. Oltre che intelligente, l’uomo è stato creato libero. Perciò egli ha il diritto a una ricerca libera di quella Verità cui ha il dovere di tendere. Sostituendo il termine Dio a quello di Verità, mettendosi cioè in prospettiva religiosa, si dice che l’uomo ha il diritto a una ricerca libera di quel Dio dal quale si sente silenziosamente attirato, e che ha il dovere di conoscere e amare. A questo punto, l’essenza del diritto alla libertà religiosa appare nella sua vera luce: essa è immunità dalla coercizione. Nella sua doverosa ricerca di Dio, l’uomo ha il diritto di non essere costretto ad agire contro coscienza e di non essere impedito ad agire in conformità con la stessa coscienza. È un diritto che chiama in causa la società. L’uomo non è solo nella ricerca della verità. Gli altri lo possono e lo devono aiutare, anzitutto rispettando il suo fondamentale diritto a comporre personalmente il suo doveroso rapporto con Dio. Vi furono le resistenze irriducibili di chi trovava queste teorie uno scivolamento verso l’indifferentismo, di chi intravvedeva contraddizioni in seno al magistero pontificio, di chi attribuiva alle idee del cardinale un cedimento che avrebbe condotto verso una concezione laicista e neutrale dello stato nei confronti della religione. Queste resistenze e non poche incomprensioni fecero soffrire tantissimo il cardinale, che, però all’epoca non fece trasparire il suo dramma personale. Solo dopo l’elevazione alla porpora, confidò di aver pianto due volte, nel giro di due giorni, per la libertà religiosa. La prima volta pianse lacrime di amarezza, la sera del 20 settembre 1965, dopo aver appreso che l’indomani non si sarebbe votato. Erano lacrime di figlio, nel vedere la propria madre e maestra, la Chiesa, che non sapeva leggere un segno dei tempi tanto importante. La seconda volta, pianse il mattino del 21 settembre, apprendendo l’esito del voto. Erano lacrime di gioia, nel constatare che la Chiesa aveva saputo dare una così chiara ed inequivocabile risposta alla domanda dell’umanità.

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Antologia

Il mistero della Chiesa nella sua vita e nella sua storia

«La Chiesa è un mistero in quello che essa è in se stessa, nel suo essere esistenziale; e densa di mistero è pure la sua vita e la sua storia lungo i secoli e lungo i millenni. Le varie ideologie e i movimenti sociali, i sistemi economici e giuridico-politici che da essa scaturiscono o ad esse si ispirano e in esse si alimentano, emergendo nel concerto e nel groviglio delle culture e delle civiltà, non di rado sviluppano fino a toccare la punta più alta dello sviluppo. Ma viene il momento in cui cominciano a declinare; e il loro declino, una volta iniziato, non si arresta più: finché finiscono per disintegrarsi e scomparire. Ben diverso è il corso che contraddistingue la vita e la storia della Chiesa. Quante volte, lungo quel corso, la Chiesa sembrava che stesse per venir meno! E invece, proprio nei momenti di maggior crisi, nelle profondità silenziose del suo essere esistenziale, maturavano forze nuove: forze che esplodendo dall’interno della stessa Chiesa fanno sì che essa riprenda con rinnovato vigore il suo camino nel tempo, esprimendo in nuove e spesso più ricche forme di vita; pur rimanendo, sostanzialmente, sempre se stessa nel Messaggio di salvezza che annunzia e di cui è storica attuazione; e nelle strutture costitutive della sua interna gerarchica organizzazione. Nessuno avrebbe mai potuto prevedere che dalla disintegrazione dell’impero romano sarebbero sorte le nazioni cristiane; e nessuno avrebbe mai potuto prevedere San Benedetto, i Santi Cirillo e Metodio, San Francesco, Santa Chiara, San Domenico, San Tommaso, il Concilio di Trento, Sant’Ignazio. Come si è già accennato, altrettante risurrezioni storiche del Cristo Mistico. E nell’epoca moderna e contemporanea la secolarizzazione e i vari secolarismi in cui la secolarizzazione è deflessa sembrava che avessero determinato un processo inarrestabile di corrosione anche in seno alla Chiesa; e invece ecco esplodere una nuova risurrezione storica del Cristo Mistico: il Concilio Vaticano II e Papa Roncalli, risurrezione non ancora conclusa e che, da molti segni, già si preannuncia assai vigorosa tanto in ampiezza che in profondità».

La campana della storia suona a stormo

«La campana della storia suona a stormo su tutte le regioni della terra; e chiama e invita la Chiesa, o, meglio, chiama e invita tutti i suoi membri – chierici e laici – a essere se stessi; ad essere cioè coerenti nella vita che conducono con la Fede che professano; ad esserlo sempre, dovunque, qualunque sia il contenuto del loro operare, quindi anche nell’operare a contenuto temporale: campo, quest’ultimo, nel quale i laici sono chiamati a svolgere un ruolo proprio e preponderante, a motivo del loro stato di vita; sono chiamati a svolgere quel ruolo - come norma - di loro iniziativae sulla propria responsabilità».

(Da P. Pavan, Chiesa fermento, Piemme, Casale Monferrato 1987, pp. 105-106).

Note

1 Cf. Lettera di S. Tromp SJ a Pavan del 30 dicembre 1960, ASV, Conc. Vat. II, busta 732.

2 A. Melloni, Pacem in Terris. Storia dell’ultima enciclica di Papa Giovanni, Laterza, Roma- Bari 2010, p. 3, pp. 41-49; cfr. Romana Canonizationis Servi Dei Ioannis Papae XXIII, p. 233.

3 G. Alberigo Breve storia del Concilio Vaticano II, il Mulino, Bologna 2005, p. 30; cfr. Ph. Chenaux, Il Concilio Vaticano II, Carocci, Roma 2012, p. 55.

4 Cf. G. Sale, Giovanni XXIII e la preparazione del Concilio Vaticano II nei diari inediti del direttore della Civiltà Cattolica padre Roberto Tucci, Jaca Book, Milano 2012.

5 Cf. ASV, Conc. Vat. II, buste 1020 e 1024.

6 Cf. Storia del Concilio Vaticano II, a cura di G. Alberigo, Peeters/il Mulino, Leuven- Bologna 1995, v. I, p. 279.

7 Cf. R. Burigana, Progetto dogmatico del Vaticano II: la commissione teologica preparatoria (1960-1962), in Verso il Concilio Vaticano II (1960-1962). Passaggi e problemi della preparazione conciliare, a cura di G. Alberigo e A. Melloni, Marietti, Genova 1993,pp. 141-206.

8 Cf. Lettera di Glorieux a Lienart del 9 marzo 1963, ASV, Conc. Vat. II, busta 1189.

9 P. Pavan, Le linee fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa, in «La Scuola Cattolica», 90 (1962), pp. 501-516, in particolare p. 504.

10 G. Turbanti, Un Concilio per un mondo moderno, La redazione della costituzione pastorale “Gaudium et Spes” del Vaticano II, Il Mulino, Bologna 2000, p. 803.