Non si potrebbe sillabare nulla intorno alla statura teologica di Jean Daniélou (1905-1974) senza prima conoscere alcuni tratti della sua biografia e della sua formazione intellettuale. Soltanto a partire da questi due tracciati è possibile scorgere il peculiare interesse che il cardinale gesuita di Parigi ebbe nei confronti sia del mondo che della Chiesa, come testimoniano inequivocabilmente le sue opere e i propri interventi al Concilio Vaticano II. Perfino l’ultimo gesto della sua morte fu un atto di carità evangelica1, come ci ricorda François Dosse nella sua documentatissima biografia2. Basti qui soltanto ricordare che la madre, la signora Daniélou, nata Madeleine Clamorgan (1880-1956), nel 1910 comincia a raccogliere un gruppo di donne che si consacrano all’educazione; la scoperta della spiritualità ignaziana, all’incirca due anni dopo, definisce completamente l’identità missionaria dell’associazione e nasce così la Communauté Apostolique Saint-François-Xavier, che forte influsso ebbe sul giovane Jean. Ma fu soprattutto il secondogenito e fratello di Jean, Alain (1907-1994), che obbligò il futuro gesuita a confrontarsi con culture diverse da quella europea e a prepararsi a diventare quel fine perito conciliare che Jean Daniélou è stato. Alain divenne un fine conoscitore del sanscrito, delle filosofie hindu e dello yoga, ma trasmise soprattutto al fratello Jean un incredibile interesse per le religioni non cristiane e, di conseguenza, per l’annuncio missionario messo alla ribalta dall’impulso del Concilio Vaticano II.
Il teologo radicato nei Padri della Chiesa
La seconda traccia è l’impegno intellettuale di Daniélou. Mentre si percepisce una certa “reticenza” nei confronti di colossi come Tommaso d’Aquino, e ancor più della Scolastica in genere3, il gesuita parigino cita più volentieri autori mistici come Ruysbroeck e Tauler, Bernardo di Chiaravalle, Teresa d’Ávila e Giovanni della Croce, alla pari di Caterina da Genova e di Caterina da Siena, che ritornano soprattutto nei suoi primi scritti spirituali; meno presente è Teresa di Lisieux. È stato influenzato da Charles de Foucauld tanto nella sua vita interiore quanto nella sua produzione teologica; come un’altra influenza particolare gli viene, invece, dal cardinale Pierre de Bérulle e dalla scuola francese della Nouvelle Théologie. Ed è a partire da questi filoni che Daniélou svilupperà una sua “spiritualità”, quella che, non collocandolo ancora troppo precisamente tra la cosiddetta corrente degli “incarnazionisti” o degli “escatologisti”, matura, tuttavia, in lui l’avvertita consapevolezza che lo porterà a scrivere il celebre L’orazione come problema politico4.La sua feconda produzione teologica esibisce la sintesi di almeno tre coordinate caratterizzanti la biografia del gesuita parigino: innanzitutto, l’accostamento pedissequo e ininterrotto alle fonti dei Padri; quindi, la frequentazione di almeno altri due “maestri” che lo stimoleranno alla lettura continuata delle fonti patristiche, Henri de Lubac e Odo Casel; infine, la propria peculiare visione della storia della salvezza quale memoriale del passato e profezia dei magnalia Dei: si pensi, per esempio, alla monumentale Storiadelle dottrine cristiane prima di Nicea: I. La teologia del giudeo-cristianesimo(1958), II. Messaggio evangelico e cultura ellenistica(1961), III. Le origini del cristianesimo latino (1968).
Indirizzandosi a un pubblico molto più vasto, la prima parte della Nuova storia della Chiesa (1963), ripubblicata a parte sotto il titolo di L’Église des premiers temps (1985), offre una visione magistrale della Chiesa dalle origini fino alla fine del terzo secolo.
Pionieristici furono anche gli studi di Daniélou sul giudeocristianesimo, mentre è utile menzionare anche Études d’exégèsejudéo-chrétienne. Les Testimonia (1966), un contributo sulle tecniche di citazioni dall’Antico Testamento all’interno del corpusneotestamentario e della letteratura cristiana arcaica. Altre opere maggiori sono: Sacramentum futuri (1950), che si focalizza attorno al carattere figurativo di Adamo, Abele, Noè, Mosè, e Bibbiae liturgia (1951), un manuale che spiega i riti dei sacramenti alla luce della Scrittura e dei Padri. In questa linea s’innesta il piccolo ma denso libro I simboli cristiani primitivi (1961), che facilita la comprensione di alcuni simboli in ottica sacramentaria. Ma bisogna nominare anche: Il segno del tempio, o della presenza diDio (1942) e i famosi Diari spirituali (1998). Il segno del tempio(1953) offre, in una suggestiva veste poetica, un condensato del suo pensiero: tutto il mistero cristiano viene dispiegato in alcune pagine sotto il segno del Tempio divino, simbolo della presenza di Dio nell’universo, nella Legge mosaica, nel Cristo, nella Chiesa, nella storia, nell’anima cristiana, infine nel Cielo; si vede, così, che la storia santa è, innanzitutto, ciò che Dio compie. I Diari spirituali, invece, rappresentano il “cantiere” aperto di numerose altre opere, in ragione dell’approccio mistico della teologia di Daniélou, caratterizzata da una compenetrazione di contemplazione e speculazione teologica. Si tratta di interessantissimi appunti personali che egli prendeva durante la sua formazione – essenzialmente dal 1936 al 1946, oltre a qualche pagina scritta nel 1957 – spesso durante i suoi ritiri spirituali, e che saranno parzialmente pubblicati nel 1993, dunque quasi vent’anni dopo la sua morte, integralmente soltanto nel 2007.
Alla sua scomparsa era seguita la pubblicazione delle Memorie (19745): anche questa raccolta di ricordi e di interessanti osservazionisul mondo contemporaneo apre una finestra sull’animadel teologo e sulle influenze che, a suo avviso, lo avevano segnatomaggiormente.
Ermeneutica spirituale della Sacra Scrittura
Nel secolo XX la teologia si stagliava in un preciso scenario, con il quale dovette confrontarsi anche Daniélou. Allora i teologi si dividevano tra coloro che intravedevano una salvezza cristiana rintracciabile all’interno dell’impegno ecclesiale incarnato nel mondo, e altri che, invece, proprio alla luce del fatto che tale salvezza non è soltanto di ordine naturale, la prospettavano come sicuramente raggiungibile in un al di là ultraterreno. I primi vengono ancora oggi rubricati quali teologi “incarnazionisti”, gli altri, per converso, come teologi “escatologisti”. Se si pensa alla teologia “della liberazione” si capisce facilmente che il problema non sia affatto nuovo. Si presenta oggi soltanto sotto panni diversi.
Tuttavia, nessuno finora, per quanto consta allo scrivente, ha mai compreso appieno la posizione definitiva assunta dal Daniélou. Non bisogna, però, dimenticare che, attraverso i Padri della Chiesa e le prime testimonianze della fede, il nostro teologo giunge ad accordare un ruolo fondamentale all’interpretazione spirituale della Scrittura applicata alla teologia sacramentaria, adoperando in particolare la tipologia biblica quale categoria preferenziale per autorizzare un’ermeneutica credente dell’impegno missionario5. L’enunciazione dei caratteri – che per Daniélou sono tre – della tipologia biblica in quanto ermeneutica del tempo dell’attualità, distanzia e distingue, pertanto, Daniélou dalle soluzioni delle varie correnti escatologiche, anche se non lo colloca tra gli incarnazionisti; analogamente, il riconoscimento della natura della teologia della storia all’interno del dogma calcedonese6, gli permette di affermare che la parusìa non sarà una conclusione dell’evoluzione dell’umanità, né, tanto meno, che la storia della Chiesa sarà completamente sganciata dal contributo dell’azione umana7.
Rivelazione divina e antropologia teologica
Nel settembre del 1962 san Giovanni XXIII convoca il nostro al Concilio Vaticano II in veste di esperto: Daniélou contribuisce, più o meno direttamente, all’elaborazione di documenti come Lumen Gentium, Perfectae Caritatis, Nostra Ætate, Dei Verbum, Apostolicam Actuositatem, Dignitatis Humanae, Gaudium et Spes. Anche se non lavora direttamente all’elaborazione di SacrosanctumConcilium, la Costituzione integra l’essenziale della sua riscoperta dell’espressione sacramentale della «storia della salvezza nella liturgia». In una pagina dei Carnets spirituels, inoltre, Daniélou si dice impressionato dalla persona del cardinale Wojtyła8. Dopo uno studio attento degli Acta Synodalia, due sono, in sintesi, i contributi di Daniélou al Concilio: quello inerente la divina Rivelazione e quello intorno all’antropologia cristiana, confluiti rispettivamente in Dei Verbum, Lumen Gentium e, soprattutto, in Gaudium et Spes. Durante il primo periodo del Concilio Vaticano II, Daniélou propone di formulare un «proemio» sulla Rivelazione9. Il testo dello schema, che fu consegnato da mons. P. Veuillot (1913-1968) durante la XXIV Congregazione generale (21 novembre 1962) e, successivamente assieme ad alcuni ritocchi, trasmesso dall’allora mons. G.M. Garrone (1901-1994) alla Commissione mista il 26 novembre 1962, si ritrova nella sua formulazione originaria nell’archivio personale di Daniélou, ora pubblicato10. Il rilievo cristologico ivi presente è assai interessante: «Questa rivelazione è stata a noi comunicata (fatta) da Dio in Cristo (Eb 1,1). Egli è l’agnello che apre il libro, nel quale sono contenuti i segreti dell’imperscrutabile volontà divina e che ne scioglie e i sigilli. In esso si svela che gli uomini sono stati eletti prima della fondazione del mondo a diventare figli adottivi di Dio in Cristo a lode e gloria della sua grazia (Ef 1,4-6)»11. Nel n. 4, inoltre, si pone questa importante affermazione: «In Cristo si dà l’ultima e completa [integra] rivelazione (Eb 1,1). In lui, che è il Verbo di Dio, il Padre si è manifestato in modo perfetto (Gv14,2). In questo modo, Cristo è il centro e il fine del tempo, anche di quello presente. [...] Non è pertanto accettabile quella concezione secondo la quale il cristianesimo sarebbe una mera età tra quelle della storia umana, essendo piuttosto l’ultima e definitiva età della stessa storia»12. È significativa, in questo caso, l’osservazione che egli appone allo schema elaborato dalla Commissione preparatoria conciliare Dedeposito fidei pure custodiendo, dove al capitolo 4 (De Revelationepublica et de Fide catholica) a commento del n. 18 (Revelatio ethistoria salutis), scrive: «L’oggetto di fede non è in effetti del tipo di quello delle verità teoretiche, bensì delle opere divine, alle quali le fede aderisce direttamente sulla base della testimonianza infallibile della Scrittura e della Tradizione che ce le dà a conoscere. Sembra che il paragrafo s’ispiri a una deficienza circa la concezione della “storia della salvezza”, quasi si opponesse a quella di “dottrina di fede”, benché questa opposizione sia ingiustificata, poiché attraverso la preposizione dogmatica è la realtà che essa significa che viene messa al riparo»13.
Il personalismo entra definitivamente in Gaudium et Spes
Determinante è, inoltre, il contributo di Daniélou all’antropologia teologica. Egli è convinto che l’uomo, in conseguenza al suo stato creaturale, «esiste solo in quanto è proferito dal soffio di Dio. Esistere per lui è essere in relazione con Dio. Questa relazione è costitutiva del suo essere»14. Daniélou insisterà su questo aspetto, particolarmente sviluppato nella patristica e nella teologia orientale. A proposito di uno schema preparatorio del Concilio così scrive: «Lo schema sottolinea con ragione il dogma della creazione. Ma potrebbe sottolineare maggiormente l’aspetto di dipendenza radicale in rapporto a Dio di ogni esistenza esterna a Lui, e non solamente del fatto della creazione originaria»15. Questi “appunti” di antropologia biblica sono gli stessi su cui Daniélou sperava, nel 1962, che si insistesse al Concilio: la dignità dell’uomo in quanto immagine di Dio; la sua sovranità in rapporto alla natura; la sua costitutiva partecipazione a una comunità umana; il suo relazionarsi a Dio mediante l’adorazione. A questi elementi conviene aggiungere quelli che d’Ornellas ha circoscritto in particolare nel testo intitolato De admirabilivocatione hominis secundum Deum, contributo per l’elaborazione dello Schema XVII largamente influenzato da Daniélou. D’Ornellas sottolinea come l’apporto di Danielou sia stato «determinante», perché «è lui che aveva sottolineato il posto della libertà nella “transizione” fra la prima parte antropologica e la seconda che espone l’ordine morale. Grazie a lui, il pensiero personalista comincia a entrare nella redazione di Gaudium et Spes16. D’Ornellas cita, inoltre, un foglio manoscritto di Daniélou pensato su questo argomento: «È liberamente che l’uomo deve rivolgersi verso il bene. La libertà è un aspetto eminente dell’immagine di Dio nell’uomo, ma questa libertà, inscritta nel cuore dell’uomo, deve anche essere fedelmente esercitata da lui».
Note
1Ciò che ho cercato di dimostrare e documentare in G. Pasquale, Jean Daniélou, («Novecento Teologico», 25), Morcelliana, Brescia 2011, pp. 22-25.
2F. Dosse, Michel de Certeau. Le marcheur blessé, Découverte, Paris 2002, p. 210.
3Così, almeno, egli scrive nelle sue Memorie: J. Daniélou, Memorie, SEI, Torino 1975, pp. 98-111.
4Cfr. J. Daniélou, L’orazione come problema politico, Edizioni Arkeios, Roma 1993.
5Cfr. J. Daniélou, Saggio sul mistero della storia. Premessa di G. Pasquale, («Teologia», nuova serie, 12), Morcelliana, Brescia 20123, p. 6 [or.: Id., Essai sur lemystère de l’historie, Éditions du Seuil, Paris 1953].
6Cfr G. Pasquale, La storia è nel cristianesimo la pazienza che Dio ha per l’uomo, in J. Daniélou, Saggio sul mistero della storia, cit., pp. I-IX.
7Cfr. G. Pasquale, La Chiesa nel «frattempo»: escatologia e Chiesa, in C. Caltagirone, G. Pasquale (a cura di), Ecclesiologia dal Vaticano II. Studi in onore di CettinaMilitello, Marcianum Press, Venezia 2016, pp. 125-143.
8Cfr. J. Daniélou, Carnets spirituels, Les Éditions du Cerf, Paris 1993, pp. 119-120.
9Cfr. Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II, I/III, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1985, pp. 319-320 [d’ora in poi AS].
10Cfr. J. Daniélou, De Revelatione et Verbo Dei, in «Les amis de Cardinal Daniélou» 11 (1985), pp. 9-12, qui pp. 9-10.
11Cfr. AS, I/III, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1985, pp. 319-320, con mia traduzione dal latino.
12Cfr. AS, I/III, p. 287, con mia traduzione dal latino.
13Cfr. J. Daniélou, Observations sur le De deposito fidei pure custodiendo, in «Bulletin des Amis du Cardinal Daniélou» n. 13 (1987), pp. 3-21 qui p. 13, mia traduzione dal francese.
14J. Daniélou, Observations sur le De deposito fidei pure custodiendo, cit., p. 18.
15J. Daniélou, Observations sur le De deposito fidei pure custodiendo, op. cit., p. 10.
16Cfr. P. d’Ornellas, La théologie morale dans le Concile Vatican II, Institut Catholique de Toulouse, Toulouse 1996, pp. 319-322.
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Antologia
«1° gennaio 1958. Ho percepito tutto il pregio della vita di Dio, come un torrente di acqua viva al quale mi sono abbeverato dopo essere stato per molto tempo assetato. Ho sentito il pregio di una vita innocente, dove dimora lo Spirito Santo. Mi sono ricordato della grotta di Lourdes. E ho sentito che da Maria Immacolata, in quest’anno [centenario] di Lourdes, discendeva su di me una grazia di illibatezza» [Retraite de 1957, Carnet spirituels, p. 405].
«Nello stesso modo in cui approfondisce il mistero della santità personale, così, allo stesso tempo, il pensiero cristiano deve aprirsi su prospettive universaliste. Tutte le grandi correnti di pensiero che si affrontano oggi nel mondo presentano un aspetto cosmico. Troppo spesso il cristianesimo, che è per definizione anche cattolico, conserva un carattere limitato e non osa porsi queste grandi prospettive. In particolare, è necessario abituarci a questo pensiero: che il cristianesimo, il quale si è espresso dapprima nelle forme della cultura greco-romana, è chiamato a incarnarsi anche nelle altre grandi culture mondiali, quelle dell’India, della Cina, dell’Africa. Bisogna anche arrivare a dire che qui si trova il mezzo non per un progresso della Rivelazione, che è chiusa con il Cristo, ma di un progresso del dogma, poiché le forme di ogni mentalità permettono di valorizzare aspetti nuovi dell’inesauribile ricchezza del Cristo» [Gli orientamentiattuali del pensiero religioso, p. 123].
«La Bibbia è una storia, una storia molto storica, che si dispiega nella trama della storia delle civiltà del Vicino Oriente, e tuttavia una storia che ha questa differenza con la storia di Erodoto, o con la storia di Tito Livio, cioè che essa non è semplicemente la storia di ciò che il popolo ebraico ha fatto di grande, come Erodoto ci riporta ciò che gli Ateniesi hanno fatto di grande, o come Tito ci riporta ciò che i Romani hanno fatto di grande. Al contrario, la storia santa è piuttosto opprimente per il popolo di Israele, essa non è affatto trionfalistica. Non vi è nulla di meno trionfante che l’Antico Testamento. L’Antico Testamento è un’opprimente requisitoria: è praticamente la storia dei peccati di Israele. Ma, di contro, se l’Antico Testamento è una requisitoria opprimente per il popolo di Israele, esso è il racconto di ciò che Yahweh ha fatto di grande in Israele. [...] La storia di Israele e la storia della Chiesa sono scritte per la gloria di Dio, cioè esse manifestano non la grandezza dell’uomo ma la grandezza di Dio [...]. Siamo in presenza di qualcosa di assolutamente differente» [Miti pagani, mistero cristiano, p. 79].
«Infatti, l’opera di Dio non potrebbe realizzarsi senza la cooperazione della libertà. La persona umana deve conquistarsi e compiersi. [...] Le esigenze morali non appaiono in nessun modo qui come delle costrizioni esteriori che impedirebbero alla persona di realizzarsi, ma descrivono le condizioni della sua realizzazione autentica, conforme alla sua vocazione. Esse sono la proiezione, a livello di comportamenti, della realtà stessa dell’esistenza personale. Certamente, esse possono non apparire sempre nella pienezza della loro giustificazione. Richiedono di essere assunte liberamente e non subite dall’esterno. Ma indicano le sole condizioni nelle quali la vita personale si realizza in modo autentico. Esse delimitano la sola via che abbia un senso. Al di fuori, esistono solo quelle terre impraticabili di cui parla il Salmo. La morale è così la legge interiore della vita personale» [Évangile et mondemoderne. Petit traité de morale à l’usage des laïcs, p. 225].
«Il tempo non è solamente questa misura dell’esistenza che si ripete senza sosta. Esso è la realtà positiva di un accrescimento in cui tutte le cose hanno un inizio, uno sviluppo, un compimento. Al livello dell’uomo, è il tempo di una educazione in cui la libertà progressivamente si risveglia, si mette alla prova, si conferma. A livello di storia umana diventa quella pedagogia descritta da sant’Ireneo in cui l’umanità deve progressivamente abituarsi alla vita dello Spirito, esercitata alla libertà, prima di ricevere in pienezza il dono dello Spirito, e di conoscere, della legge, solo la libertà» [Giovanni Battista testimone dell’Agnello, p. 87].