Vi sono personalità in grado di ispirare e scrivere la storia di un paese, le quali – quasi inavvertitamente – intrecciano la propria esistenza con la trama vitale di una comunità politica ed ecclesiale. È questo il caso di Giuseppe Dossetti: uno dei più brillanti canonisti del Novecento, padre costituente, fondatore della comunità monastica della «Piccola Famiglia dell’Annunziata» e perito del Concilio Vaticano II.
Nacque a Genova il 13 febbraio 1913. Pochi mesi più tardi i genitori decisero di tornare a Cavriago, piccolo borgo vicino a Reggio Emilia in cui la famiglia aveva le sue radici e dove si stabilì definitivamente. Fin dagli studi liceali a Reggio “Pippo”, come lo chiamavano famigliari e amici, si mise in luce per l’intelligenza e la dedizione allo studio. Recenti ricerche hanno messo in luce che il giovane reggiano, nonostante la partecipazione ad alcuni eventi culturali fascisti e il maggioritario clima di adesione al regime respirato negli ambienti educativi, mantenne una distanza netta dall’ideologia dominante. Il vero punto di svolta della formazione del giovane Dossetti fu l’incontro con don Dino Torreggiani, assistente dell’Azione cattolica con il quale collaborò per tutti gli anni universitari all’oratorio San Rocco. Due furono le “attenzioni” che Dossetti sviluppò in quegli anni: quella alle fasce più povere della società (che presso l’oratorio di Torreggiani erano accolte e aiutate ad emanciparsi mediante la cultura) e la lettura assidua della Bibbia (coltivata grazie all’aiuto di don Leone Tondelli, biblista di fama e guida spirituale del giovane).
Nell’ottobre del 1930 Dossetti si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna. Ricorderà più avanti come gli studi procedettero in modo solitario, senza una vera guida, e che fu più importante l’«università della vita»1 vissuta a San Rocco. Il trasferimento di Arturo Carlo Jemolo, al quale Dossetti aveva chiesto la tesi di laurea in Diritto canonico, fu un ulteriore tassello di un percorso universitario senza maestri: svolse la sua ricerca con il civilista Cesare Magni, laureandosi con lode nel 1934 con una tesi dedicata a La violenza nel matrimonio canonico. Svolgimentostorico e disciplina vigente.
La volontà di proseguire gli studi e la propensione per un cammino vocazionale di consacrazione indussero Dossetti a presentarsi a padre Agostino Gemelli, fondatore e rettore dell’Università Cattolica di Milano. Dapprima come perfezionando in Diritto romano e successivamente come assistente volontario alla cattedra di Diritto canonico retta dal professor Vincenzo Del Giudice, il giovane giurista proseguì in Cattolica la sua ricerca sulla violenza nel matrimonio canonico che sfociò alla pubblicazione soltanto nel 1942, dopo numerose insistenze di Gemelli.
L’inserimento in Cattolica fu decisivo soprattutto per l’apertura di Dossetti alla riflessione giuspubblicistica sulla struttura e le funzioni dello Stato moderno. Contribuirono a tale sviluppo di interessi le amicizie con Giuseppe Lazzati, in quegli anni assistente di Filologia classica e dirigente della Gioventù italiana dell’Azione cattolica ambrosiana, e con Antonio Amorth, assistente di Diritto amministrativo con il quale Dossetti si confrontò assiduamente durante i lavori dell’Assemblea costituente.
L’inizio dell’attività politica
Il 1940 fu l’anno di svolta: in ottobre, infatti, cominciarono degli incontri riservati presso la casa di Umberto Padovani, professore di Filosofia alla Cattolica. Tali incontri - a cui parteciparono Amintore Fanfani, Amorth, Lazzati, Sofia Vanni Rovighi, Carlo Colombo, il gesuita Carlo Giacon e saltuariamente Giorgio La Pira - avevano ad oggetto l’interpretazione dei radiomessaggi natalizi di Pio XII e furono il “luogo ideologico” della futura corrente dossettiana. Il dibattito s’incentrò sulla futura struttura dello Stato: Dossetti assunse un ruolo fondamentale di coordinatore del gruppo e insistette, fin da allora, sulla preferenza della dottrina cattolica per i regimi democratici.
Parallelamente a questi impegni proseguiva la carriera accademica: nel 1942 fu incaricato del corso di Diritto ecclesiastico e canonico presso l’Università di Modena, dove sarebbe divenuto ordinario nel 1947.
Con l’armistizio dell’8 settembre, l’azione di Dossetti cominciò a svilupparsi sul piano politico. Nonostante in un primo momento avesse teorizzato la necessità per i cristiani di collaborare al movimento resistenziale senza l’uso della forza, al precipitare degli eventi, insieme al fratello Ermanno, fu coinvolto pienamente negli scontri: prima nel Comitato di Liberazione di Cavriago e poi, dal dicembre 1944, come presidente del comitato provinciale di Reggio Emilia.
Durante la Resistenza Dossetti maturò la consapevolezza che fosse necessario preparare politicamente e ideologicamente il campo della democrazia postbellica. Per questa ragione, pur avendo più volte dichiarato la sua contrarietà alla costituzione di un partito cattolico, puntò a radicare la Democrazia cristiana come partito riformista, alternativo al Partito comunista e senza sudditanze alle istanze conservatrici che emergevano nel mondo cattolico.
A motivo del suo collegamento con la Cattolica e del suo impegno nella Resistenza, Dossetti fu nominato nell’aprile 1945 alla Consulta nazionale, assemblea parlamentare istituita durante la transizione tra la guerra e la Costituente. All’interno della Dc la sua ascesa fu veloce e, per certi versi, sorprendente: dal 12 al 15 maggio 1945 presiedette il convegno nazionale dei gruppi giovanili della Democrazia cristiana ad Assisi; nel successivo Consiglio nazionale fu cooptato come esponente del movimento giovanile ed eletto vicesegretario insieme ad Attilio Piccioni e Bernardo Mattarella.
A seguito di questa nomina il “professorino” si trasferì a Roma, dove si occupò dell’ufficio Spes (Studi, propaganda e stampa) e promosse pubblicazioni di rilievo coinvolgendo alcuni intellettuali a lui vicini (tra cui Costantino Mortati2) e tutti i sodali di quella che, dalla fine del 1946, fu la «comunità del porcellino»3.
La prima grande battaglia politica fu la campagna per la Repubblica in vista del referendum istituzionale del 2 giugno 1946: fu questo il primo terreno di scontro con Alcide De Gasperi, il quale propendeva per una scelta “agnostica” della Dc di fronte alla questione istituzionale. Dopo una lunga campagna per spargere il «seme repubblicano» nelle regioni settentrionali, Dossetti si dimise dalla segreteria del partito il 4 settembre 1946 in polemica con i vertici della Dc, e per concentrarsi prevalentemente sui lavori della Costituente, assumendo progressivamente un ruolo di leadership del gruppo democristiano.
L’attività all’Assemblea costituente
Dossetti arrivò all’Assemblea costituente con un’esperienza da giurista che eccedeva di molto il diritto canonico ed ecclesiastico.
Mentre i democristiani della generazione popolare concepirono la Costituente come il tempo del ritorno alla libertà e i comunisti come inizio della rivoluzione socialista, i “dossettiani” intesero la Costituente come luogo per la rifondazione dello Stato. La matrice dottrinale di stampo neotomista, infatti, imponeva loro di costruire una comunità politica finalizzata non solo a garantire la libertà, ma anche tesa a realizzare la giustizia sociale e l’uguaglianza. Era il sogno di costruire una «democrazia sostanziale, cioè vero accesso del popolo e di tutto il popolo al potere e a tutto il potere, non solo quello politico, ma anche a quello economico e sociale»4.
Dossetti, insieme agli altri membri della «comunità del porcellino», fece parte della Commissione dei Settantacinque deputata alla scrittura della Carta. Fin dalla prima seduta, orientò i lavori e propose una mozione d’ordine sull’organizzazione della Commissione che ripartiva i settantacinque commissari in tre sottocommissioni: sui diritti e doveri dei cittadini; sull’organizzazione costituzionale dello Stato e, infine, sui diritti e doveri nel campo economico e sociale. La mozione non ebbe un mero significato organizzativo, ma contribuì a costruire il disegno di una “piramide rovesciata” della Repubblica, il cui vertice è la persona umana che progressivamente si sviluppa nelle formazioni sociali e nella dimensione politico-istituzionale.
Significativi furono i suoi interventi su numerose materie della prima sottocommissione: sulla proprietà, lo sciopero, il diritto al lavoro, la libertà scolastica, la famiglia (con particolare riferimento alla indissolubilità del matrimonio), sui partiti e i sindacati e, infine, sul rapporto tra Stato e Chiesa e sulla libertà religiosa.
Proprio sui rapporti tra Stato e Chiesa si concentrò l’unico discorso pronunciato dal “professorino” in Assemblea plenaria (21 marzo 1947). L’intervento di Dossetti era il punto massimo di un paziente lavoro di mediazione, politica e giuridica, tra i desideratadella Santa Sede e le istanze dei partiti progressisti. In esso il giurista esprimeva le basi dell’accordo raggiunto: l’indipendenza e l’originarietà degli ordinamenti dello Stato e della Chiesa; la ratifica in Costituzione del solo metodo concordatario (e non la costituzionalizzazione del Concordato del 1929); la rinnovazione del patto tra l’Italia e la Santa Sede a motivo del cambiamento del regime; e, da ultimo, la necessità da parte della Dc che una tale intesa fosse condivisa per giungere finalmente alla pace religiosa in Italia.
Oltre al lavoro svolto sugli articoli 7 e 8, fondamentale fu soprattutto l’apporto di Dossetti alla costruzione di una “ideologia comune” tra le maggiori forze politiche. I “professorini” e le forze progressiste si trovano d’accordo nell’iscrivere nella Carta il principio secondo cui «la libertà esiste, ma intanto lo Stato la deve riconoscere in quanto sia esercitata per un determinato fine». Il principio enunciato era quello della finalizzazione delle libertà, che Dossetti riconobbe come «il principio della nuova Costituzione», attraverso cui valutare tutti i diritti e le libertà costituzionali (si veda, per esempio, all’art. 42, la limitazione della proprietà in vista della «funzione sociale»). La finalizzazione introduceva un riconoscimento graduato e gerarchico delle libertà, sempre correlato ai fini della comunità politica: su questo punto si segnava il più sensibile distacco dalla cultura liberale, che aveva insistito sul riconoscimento assoluto delle libertà, specialmente economiche5.
Nel contesto del dibattito sulla finalizzazione delle libertà, Dossetti propose inoltre un noto ordine del giorno in cui esprimeva, da un lato, la «precedenza sostanziale della persona umana» e dell’altra la «necessaria socialità di tutte le persone […] mediante una reciproca solidarietà economica e spirituale»6.
I tre principi proposti da Dossetti – la finalizzazione delle libertà, l’anteriorità della persona rispetto allo Stato e il finalismo della comunità politica, inteso come l’obiettivo di perseguire una solidarietà di fatto tra i consociati – entrarono nel testo della Costituzione specialmente agli articoli 2 e 3 e costituiscono, ancora oggi, il proprium della Carta italiana e l’architrave su cui poggia l’edificio costituzionale7.
Il ritiro dalla politica
Terminati i lavori della Costituente, visto il mai risolto disaccordo con la linea del partito, Dossetti era deciso a terminare la sua esperienza politica. L’intervento diretto di Pio XII dissuase l’ex segretario, che alle elezioni del 18 aprile, con più di quarantaquattromila voti di preferenza, fu nuovamente eletto alla Camera.
Iniziò allora il secondo tempo dell’impegno politico di Dossetti. Dal 1948 al 1952 egli si impegnò a imprimere una svolta alle politiche economiche, riuscendo a imporre alla Dc un periodo di «riformismo serio».
La prima battaglia fu sull’adesione al Patto Atlantico: in quel frangente il giovane professorino avanzava l’ipotesi di sfuggire al piano bipolare delle relazioni internazionali che vedeva contrapposti Stati Uniti e Unione Sovietica, ma di dare prevalenza alla costruzione europea come polo di mediazione nello scacchiere della politica estera. Il fronte che vide maggiormente impegnati i protagonisti della «comunità del porcellino» fu la politica economica: dinnanzi alla grave crisi sociale che attraversava l’Italia alla fine degli anni Quaranta proposero politiche di impronta keynesiana che si ispiravano a quelle dei laburisti inglesi. Da questa pressione del gruppo dossettiano sul governo emersero importanti programmi di riforma: dalla legge stralcio sulla Sila, alla riforma agraria, all’avvio della Cassa per il Mezzogiorno.
Nonostante fosse stato nuovamente eletto vicesegretario nel 1950, a causa degli scontri accentuatisi nelle prime due legislature, il “professorino” maturò la decisione di abbandonare l’impegno parlamentare dal quale si dimise nel luglio del 1952.
Tale scelta radicale fu messa in discussione quando il cardinal Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, gli “impose” nel 1956 la candidatura alle comunali del capoluogo emiliano. Il risultato elettorale, come lo stesso candidato democristiano aveva previsto, non premiò la Dc: quell’esperienza elettorale lasciò comunque una traccia indelebile a Bologna poiché il sindaco del Partito comunista, Giuseppe Dozza, sostanzialmente adottò le linee d’intervento contenute nel «Libro bianco» scritto da Dossetti per la trasformazione urbanistica della città e per il coinvolgimento democratico nei suoi quartieri. Dimessosi dal consiglio comunale un paio di anni più tardi, Dossetti abbracciò definitivamente la vocazione monastica. Dopo il distacco dall’istituto secolare fondato da Giuseppe Lazzati, a cui aveva aderito nel 1939, egli fondò, nel 1955, una nuova comunità monastica e nel 1959 fu ordinato sacerdote. Avviò parallelamente un gruppo di studiosi sulla storia dei concili ecumenici, che divenne nel tempo un Centro di documentazione sulla storia della Chiesa di rilievo internazionale.
A motivo degli studi storici sui concili e per la dimestichezza di Dossetti nel lavoro delle grandi assemblee, all’indizione del Concilio Ecumenico Vaticano II il cardinal Lercaro lo coinvolse nella preparazione dell’assise conciliare. In particolare gli chiese l’elaborazione di un regolamento dei lavori dell’Assemblea, che effettivamente fu accolto da Paolo VI, e che prevedeva l’istituzione di quattro moderatori delle sessioni del Concilio, di cui lo stesso Dossetti divenne segretario. Alla fine del Concilio ritornò a Bologna per aiutare il cardinal Lercaro nella riforma della diocesi bolognese secondo gli insegnamenti del Vaticano II. Nel 1967 Lercaro lo nominò provicario della Diocesi con l’intenzione di indicarlo come suo successore alla cattedra di San Petronio. La rimozione dell’arcivescovo di Bologna nel gennaio 1968 da parte di Paolo VI interruppe la collaborazione tra i due e indusse Dossetti a consacrarsi integralmente alla vita monastica. Dal 1972 al 1986 fu il periodo del “grande silenzio”: il monaco, infatti, si trasferì a Gerico con alcuni componenti della sua comunità, nei territori occupati da Israele.
Ritornò alla scena pubblica soltanto nel 1986 in occasione del conferimento dell’Archiginnasio d’Oro da parte del Comune di Bologna: durante la cerimonia pronunciò un discorso autobiografico nel quale ricostruiva la sua storia personale e cominciava a far trapelare la sua inquietudine sulla situazione del paese.
Coerentemente con il suo impegno per l’elaborazione della Carta, nel 1994 Dossetti tornò a tenere conferenze pubbliche in difesa della Costituzione, di cui temeva «una modificazione frettolosa e inconsulta […], nei suoi presupposti supremi in nessun modo modificabili». Egli si fece carico e propose la costituzione di comitati impegnati in difesa dei valori fondamentali espressi dalla Costituzione del 1948: all’invito di Dossetti risposero in molti, che si impegnarono in una battaglia culturale che ritardò il disegno di revisione costituzionale.
L’impegno in difesa della Costituzione e «il sogno di una comunità politica sostanzialmente e non solo formalmente rinnovata» lo accompagnarono fino agli ultimi giorni della vita. Morì il 15 dicembre 1996 a Monteveglio.
Note
1 G. Dossetti, Ho imparato a guardare lontano, Pozzi, Reggio Emilia 1992, p. 43.
2 Cfr. U. De Siervo, Costantino Mortati. Il giurista della Costituzione, in «Dialoghi», gennaio-marzo 2017, pp. 99-107.
3 Per una ricostruzione delle vicende della “comunità” che risiedeva a Roma, in via della Chiesa Nuova 14, si veda T. Portoghesi Tuzi, G. Tuzi, Quando si faceva la Costituzione:storia e personaggi della Comunità del porcellino, Il Saggiatore, Milano 2010.
4 G. Dossetti, Triplice vittoria, in Id., Scritti politici, Marietti, Genova 1995, p. 31.
5 Sul punto si permette di rinviare a A. Michieli, La finalizzazione delle libertà, tra anteriorità della persona e nuove funzioni dello Stato. Il contributo di Giuseppe Dossetti alla Costituzione, in «Iustitia. Rivista trimestrale di cultura giuridica», n. 3/2016, pp.439ss.
6 L’o.d.g. fu proposto durante la seduta del 9 settembre 1946. Cfr. Commissione per la Costituzione, I Sottocommissione, Atti dell’Assemblea costituente, p. 22.
7 Questi principi furono ripresi in una celebre relazione di Dossetti ai Giuristi cattolici del 1951, che è stata recentemente ripubblicata: G. Dossetti, «Non abbiate paura delloStato!». Funzioni e ordinamento dello Stato moderno, a c, di E. Balboni, Vita e Pensiero, Milano 2014.
****
Antologia
Il vero concetto di democrazia
Bisogna prendere atto delle grandi forze, delle grandi virtualità e delle estreme possibilità che la Democrazia cristiana può avere oggi in Italia. La eccessiva dinamicità degli avversari finisce talora per dare a qualcuno l’impressione della mediocrità del nostro Partito. Ma il vero valore di esso deve risultare dalla constatazione del gioco effettivo della sua politica. Il partito che soltanto cinque mesi fa ci aveva negata la presidenza, oggi si è fatto promotore della presidenza data a noi. Non si tratta di manovra tattica consigliata dalle circostanze ma di una valutazione oggettiva imposta dalla realtà. La Dc è partito di prevalenti ceti. È chiaro che il grande peso quantitativo poco servirebbe se non fosse avvalorato da peso qualitativo. Il nostro è già il partito della maggioranza relativa e può diventare quello della maggioranza assoluta.
Il vero concetto della democrazia. È questo un concetto perno. Può accadere che in ambiente come questo, con caratteristiche individuate, cioè sostanzialmente cattolico, attaccato ai principi cristiani, si sia portati a riconoscere l’elemento emergente del partito in questo: difesa dei principi cristiani. Non è elemento erroneo ma è imperfetto che non dovrebbe essere preso per giudicare di un partito: questo non è elemento politico, è l’elemento che indica l’ispirazione ma non identifica il partito. Si potrebbe pensarlo come tale in ambiente a confessione mista come in Germania (anche qui abbiamo avversari della verità cattolica ma non basta).
L’azione di un partito è politica, quindi gli elementi individuanti devono venire dalla politica: questa a sua volta sarà di ispirazione cristiana. Per noi dunque l’elemento individuante del nostro partito sta nello specifico concetto di democrazia, unico vero. Esso è condizione della nostra attività, garanzia che non sbagliamo strada e ci assicura che davanti alle difficoltà non ci scoraggeremo.
Che cosa è dunque democrazia? È forse il concetto di libertà reso in atto nella struttura politica? No: la libertà è per noi mezzo, metodo, non essenza né fine. Dobbiamo fare noi una distinzione che non fa il liberalismo: distinzione fra aspetto formale e aspetto sostanziale di democrazia. Sostanza della democrazia sta nella edificazione di una struttura che non è soltanto costituzione politica ma è insieme costituzione politica e sociale nella quale sia sostanzialmente garantita a ciascuno la possibilità di espansione spirituale ma anche fisica del suo essere, pienamente conforme alla proporzionalità delle sue facoltà e dei suoi meriti.
Noi vogliamo dunque assicurare una struttura sociale tale da consentire la massima espansione della persona umana secondo i meriti di ciascuno, senza che a questo giuoco di perfetta adeguazione possano opporsi posizioni di privilegio precostituite. Questa perfetta rispondenza e proporzione fra espansione della personalità e meriti di ciascuno non sarà mai conquistata perché è nella legge delle cose umane che dobbiamo tendere sempre al meglio senza
conquistarlo appieno. Quindi se noi avvisiamo questa piena coscienza, l’obiettivo è quello indicato. […] E questo nostro programma democratico non è solo presupposto politico ma è realizzazione di ciò che vi è di più sostanziale nel Cristianesimo: questo è Cristianesimo in atto, sola forma cristiana di una struttura sociale.
Pertanto anche se si riuscisse a realizzare l’aspetto della libertà come garanzia delle minoranze, non potremmo dire di aver raggiunta la meta. La visione liberale è soddisfatta dell’aspetto esterno della convinzione che, lasciando giocare la libertà, questo gioco delle varie forze automaticamente porterà alla situazione migliore: essi non si preoccupano di raggiungere la meta da noi proposta.
Ma noi sappiamo che le cose umane non vanno spontaneamente verso il bene ma vanno invece spontaneamente verso il male, per questo noi ci proponiamo una struttura sociale che garantisca la proporzionalità accennata.
Persuasi che tutte le deficienze e le infermità inevitabili sono dolorose ma sono il prezzo per conquistare il diritto di edificare l’edificio: – se vi rinunziassimo convalideremmo il fascismo che fu determinato dalla sopravvalutazione dell’inconveniente e dalla rinunzia alla meta – non dobbiamo abdicare al nostro proposito. La nostra esperienza merita di essere tentata.
(Discorso trascritto in Dossetti a Treviso. Il vicesegretario nazionale presiede una riunione del Comitato Provinciale, in «Il Popolo dellaMarca. Settimanale della Democrazia cristiana di Treviso», 22dicembre 1945, p. 1. Oggi in G. Dosetti, L’invenzione del partito. Vicesegretario politico della DC. 1945-46/1950-51, a cura di R.Villa, Zikkaron, Reggio Emilia 2016, pp. 69-73.)