Le democrazie occidentali sono oggi attraversate da profondi cambiamenti indotti in larga misura, da un lato, dalla prolungata crisi economica, che chiede processi decisionali pubblici veloci ed efficaci, dall’altro dalla globalizzazione delle relazioni, che rischia però di sviare il governo verso forme di tecnocrazia. Altro fattore è la rivoluzione tecnologica, che tende spesso a disgregare le tradizionali forme collettive di partecipazione, favorendo modalità individualizzate di presenza nel dibattito in rete condizionate da preclusioni e linguaggi alternativi nella comunicazione politica (su cui si può rinviare al Dossier n. 3/2013 curato da Piermarco Aroldi, che ha tra l’altro analizzato le potenzialità democratiche delle nuove forme comunicative e le prospettive della comunicazione politica, tra vecchi e nuovi media).
Si tratta di fenomeni che mettono in discussione il modello di democrazia liberale e sociale, che si è andato sviluppando con lo Stato nazionale moderno, anche attraverso un ruolo – spesso determinante nelle dinamiche politiche – di organizzazioni sociali intermedie di partecipazione, quali i partiti e i sindacati, particolarmente importanti nell’esperienza italiana del secondo dopoguerra (non a caso qualificata da Pietro Scoppola «democrazia dei partiti»). In effetti emergono sempre più vicende che sembrano minare per molti versi la stabilità democratica: nuovi “mali” della democrazia come l’antipolitica, l’astensionismo, l’esclusione sociale, il populismo, l’arroccamento oligarchico del potere.
La indubbia debolezza e la strisciante crisi di rappresentatività delle istituzioni politiche non possono certo essere sanate – come taluno vorrebbe – dalle sole varianti dei sistemi elettorali di matrice proporzionale rispetto a quelli maggioritari (maggiormente legati ad obiettivi di governabilità del sistema), visto che la frequente inadeguatezza (e corruzione) delle istituzioni pubbliche, oltre che dei partiti e movimenti politici, ridotti in gran parte in meri strumenti per le competizioni elettorali, finisce per alimentare altre derive preoccupanti: da un lato forme spinte di leaderismo iperpersonalizzato, spesso collegate alle scorciatoie della cosiddetta democrazia decidente, dall’altro tentativi di nuove modalità partecipative, in qualche caso potenzialmente utili (v. la cosiddetta democrazia deliberativa), per lo più illusorie (v. il tentativo grillino di rifondazione della democrazia attraverso il web). Si indebolisce comunque sempre più la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, mentre aumentano – seppure con lodevoli eccezioni – il disimpegno e la disaffezione, quando non addirittura l’indifferenza nei confronti della politica e del gioco democratico: fenomeno che appare purtroppo assai diffuso tra i giovani, molti dei quali hanno la sensazione di essere out rispetto alla possibilità di influire sul proprio futuro, sia in ordine alle scelte di lavoro che di vita.
In sostanza, si stanno destabilizzando fortemente punti di riferimento e assetti che hanno finora sorretto e istituzionalizzato le democrazie, in parallelo con la messa in discussione del ruolo e della capacità degli Stati contemporanei – almeno del mondo occidentale – di organizzare e garantire l’ordinato svolgimento delle dinamiche di una democrazia liberale. Si può aggiungere che due questioni di peso crescente concorrono a rendere ancor più problematica la situazione in atto, anche per quanto riguarda il nostro paese. Per un verso si tratta della globalizzazione incontrollata e non governata, che genera inaccettabili diseguaglianze, con conseguenti spinte (di risacca) verso nuovi “sovranismi” nazionalistici, mettendo a rischio l’indubitabile esigenza di collaborazione sovranazionale nella cura delle crescenti interdipendenze (socio-economiche e ambientali) nel pianeta. Per altro verso ci si riferisce alla situazione in forte movimento sul versante delle istituzioni locali, che sono cruciali per il radicamento e la vitalità di un sistema democratico e partecipativo, ma sono in vario modo oggetto di riforme (talora scoordinate) sul piano delle funzioni e della governance, che sembrano perseguire non tanto il rafforzamento di autonomie responsabili verso le comunità rappresentate, quanto visioni piramidali statocentriche delle amministrazioni territoriali. A fronte di questa realtà densa di questioni e interrogativi sul futuro degli assetti politici democratici, il Dossier si propone di offrire qualche riflessione mirata a mettere a fuoco alcuni aspetti che possono aiutare a comprendere sia le cause di queste vicende in chiaroscuro che talune conseguenze e possibili prospettive, essendo ovviamente impossibile in questa sede approfondire in modo adeguato l’intero quadro delle trasformazioni in fieri della democrazia, verificando se si tratti di una crisi di crescita o di una sorta di involuzione in grado di compromettere il modello tradizionale della democrazia liberale e sociale di stampo occidentale.
In tal senso appaiono anzitutto di specifico interesse due analisi, ambedue con spunti teorici assai stimolanti. In primo luogo quella di Paolo Pombeni, che prende in considerazione la crisi attuale che travaglia due istituzioni fondamentali del costituzionalismo democratico anche nel contesto italiano, i partiti e i sindacati, in passato componenti essenziali della dialettica e della rappresentanza politica e sociale nell’esercizio della sovranità, ma ora non più in grado di svolgere quella funzione, senza che vi sia all’orizzonte un’alternativa adeguata. In secondo luogo quella di Bernard Manin, l’illustre politologo autore di specifici studi sul nesso tra principi della rappresentanza politica e la «democrazia del pubblico», che mette lucidamente in evidenza una realtà in transizione, forse una minaccia per la stessa democrazia, allorquando prende il sopravvento la «democrazia dell’audience», che alimenta la sfiducia nei politici e nella politica, con cambiamenti che non offrono però vie d’uscita sul piano di valori condivisi. Una prospettiva che richiama per molti versi l’analisi di Ilvo Diamanti sulla «democrazia ibrida» nel bel volume pubblicato da Laterza nel 2014.
Vi sono poi due saggi dedicati a esplorare i nodi pendenti su due versanti già accennati, altrettanto essenziali per la riflessione sull’evoluzione della democrazia, quello macro del governo della globalizzazione sovranazionale e quello micro del governo locale. Sul primo, di particolare efficacia sono le riflessioni di Vera Negri Zamagni, che si interroga sia sulle derive di un fenomeno finora non governato e lasciato di fatto alle iniziative e alle scorribande della finanza e delle imprese transnazionali, con risultati di maggiori distanze tra ricchi e poveri, ma con reazioni di chiusura nazionalistica di scarso respiro, non in grado di condizionare realmente queste dinamiche, specie se provenienti dai (piccoli) paesi europei. Sul secondo, ricco di spunti interessanti è l’intervento di Vincenzo Antonelli, che da un lato ricostruisce lo stato di salute in chiaroscuro della democrazia locale, significativamente riconosciuta anche nel contesto europeo, ma che appare dall’altro in bilico tra indubbie tendenze involutive, anche sul piano della partecipazione democratica, e spinte innovative potenzialmente in grado di offrire prospettive utili anche per l’integrazione dei non cittadini, nella realtà delle città contemporanee, spesso multiculturali, che sono comunque il baricentro della convivenza tra le persone e dovrebbero quindi essere la prima frontiera di una democrazia effettivamente vissuta e partecipata, dando basi solide anche alle istituzioni nazionali ed europee.
In questo contesto pieno di elementi di crisi e di incognite sui possibili esiti delle dinamiche e delle trasformazioni in atto negli assetti democratici tradizionali, se è illusorio pensare che siano a portata di mano nuovi soddisfacenti equilibri – visto che la storia insegna che in queste grandi fasi di transizione le soluzioni si elaborano lentamente sul campo (Pombeni) –, emerge ancor più la necessità di investire a fondo sul piano culturale, assicurando e migliorando informazione e formazione, che sono capisaldi della democrazia. In tal senso hanno rilievo specifico i due ultimi contributi del Dossier, che evidenziano la necessità di un impegno serio sia per chiarire questioni spesso oggetto di fraintendimento, come la questione del merito nelle dinamiche democratiche, sia per creare i presupposti della cittadinanza democratica.
Nella prima direzione Giuseppe Tognon riprende in modo persuasivo alcune suggestioni stimolanti approfondite di recente nel suo volume La democrazia del merito (Salerno ed., Roma 2016), criticando la corrente nozione di un merito fondato solo in chiave individualistica e competitiva ed evidenziando, al contrario, il nesso stretto tra eguaglianza, merito e democrazia, che è un antidoto alla falsa meritocrazia e una prospettiva che mira a realizzare – a fronte della marea di ingiustizie – una cultura dei diritti e dei doveri in cui ciascuno può fare in modo solidale la sua parte in un contesto solidale consapevole ed educato. Infine Luciano Corradini sottolinea nuovamente, con la forza e la coerenza di una vita dedicata a testimoniare e proporre idonee soluzioni in materia, la centralità che dovrebbe avere una seria formazione scolastica a «Cittadinanza e Costituzione» come matrice del valore del vivere civile e delle responsabilità che ciascun cittadino deve sentire per il bene comune e una partecipazione democratica fondata sulla libertà e l’eguaglianza, come sancito tra l’altro dal fondamentale art. 3 della Carta costituzionale della Repubblica.