Costantino Mortati: il giurista della Costituzione

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Costantino Mortati è considerato unanimemente uno dei più importanti costituzionalisti del nostro Novecento. L’impegno alla Costituente e i suoi studi sono caratterizzati da un approccio realistico ai temi giuridici, sempre nel tentativo di costruire un rinnovato ordinamento democratico secondo i modelli e gli stimoli del migliore costituzionalismo contemporaneo. Mai incline al compromesso, non risparmiò critiche al sistema parlamentare venutosi a costituire all’alba della Repubblica.
 

Nella difficile fase di preparazione dell’Assemblea costituente la Dc fece la felice scelta di impegnare anche molti esperti ed intellettuali, attingendo largamente a studiosi impegnati nelle università e passati attraverso i tanti confronti culturali posti in essere dalle diverse organizzazioni del mondo cattolico. Per di più, a differenza di altre grandi aree politiche (specie quelle marxiste), vari fra questi esperti furono fatti eleggere alla Costituente, così rafforzando notevolmente il peso del partito nei tanti intensi dibattiti che hanno originato la Costituzione repubblicana.

Fra questi studiosi emerge in posizione assolutamente preminente Costantino Mortati, un impegnato e severo costituzionalista caratterizzato da un approccio realistico ai temi giuridici ed impegnatissimo nel tentativo di costruire un rinnovato ordinamento democratico secondo i modelli e gli stimoli del migliore costituzionalismo contemporaneo.

Nato in Calabria nel 1891 da una famiglia della media borghesia appartenente a un insediamento di origine albanese, ma cresciuto tra Messina, Catania e Roma, dove si laurea in giurisprudenza nel 1914, in filosofia nel 1917 e in scienze politiche nel 1929, inizia la sua carriera accademica solo dopo la terza laurea, essendo stato prima molto impegnato in responsabilità familiari, nell’attività militare durante la prima guerra mondiale, nel lavoro come funzionario presso la Corte dei conti. Libero docente dal 1936, anno in cui vince pure il concorso a cattedra di diritto costituzionale, e successivamente professore nelle Università di Messina, Macerata e Napoli.

Studioso molto riservato ed esigente, affronta i temi costituzionalistici anche sulla base di considerazioni modernamente comparatistiche e storiche: anche da ciò deriva la sua grande attenzione alle nuove caratteristiche degli Stati moderni, nelle quali operano enormi masse popolari e grandi partiti politici secondo ideali e programmi lontanissimi da quelli del liberalismo ottocentesco, dei cui limiti Mortati appare ben consapevole. In particolare appare molto interessato dai nuovi rapporti fra la politica e il diritto e coglie l’importanza dei principi e valori delle nuove costituzioni novecentesche, ora imposti dai nuovi partiti politici dominanti. Da ciò anche l’attento esame di alcune delle fondamentali innovazioni prodotte dal fascismo sul vecchio tessuto costituzionale italiano.

Dopo la sconvolgente vicenda della seconda guerra mondiale, la sconfitta militare e il disfacimento dell’ordinamento statutario, si impegna decisamente nei problemi di riedificazione costituzionale del paese: dall’inizio del 1945 è impegnato su questi temi in molte riviste del mondo cattolico e della componente repubblicana della Dc; già nel 1945 è autore di un’ampia monografia sulla Costituente, nella quale non solo si ripercorrono analiticamente le recenti vicende istituzionali e si individuano i prossimi problemi da affrontare, ma si rappresentano le scelte fondamentali che dovranno essere fatte per costruire uno Stato democratico davvero capace di garantire la «partecipazione effettiva e consapevole delle masse» e al tempo stesso di assicurare un governo autorevole ed efficace.

 

Da Dossetti alla Commissione Forti

Rapidamente cooptato nel gruppo degli intellettuali e degli esperti che si viene formando in sede di partito (collabora in particolare con la Spes, allora diretta da Dossetti), entra in stretto collegamento con il ricco ambiente cattolico, sia intellettuale che accademico coinvolto dalle molteplici iniziative di Dossetti, ma anche di De Gasperi. In particolare fa parte del gruppo dei costituzionalisti che operano nella Dc (non da solo: si pensi pure ad Amorth, a Tosato, ad Ambrosini), a cui spetta la decisiva valutazione dei profili tecnici della crisi del costituzionalismo liberale e dell’efficacia dei diversi processi di correzione e di trasformazione. Era evidente, infatti, nella fase di preparazione della Costituente, la necessità di andare oltre ad opzioni genericamente favorevoli alla edificazione di uno Stato democratico, valutando attentamente l’esistenza di efficaci modelli di Stato sociale di diritto ed evitando invece esperienze e soluzioni inadeguate se non addirittura pericolose. A Mortati viene evidentemente riconosciuta una particolare autorevolezza: non a caso viene designato per il partito a far parte della cosiddetta Commissione Forti (operante presso il Ministero per la Costituente), dove farà parte della sottocommissione «problemi costituzionali», ed anche ad essere componente della commissione per la predisposizione della legislazione elettorale per la Costituente. Ciò malgrado che nella Settimana sociale di Firenze dell’ottobre 1945 (sul tema Costituzione e Costituente) proprio il suo recente libro fosse stato esplicitamente contestato da due autorevoli relatori ecclesiastici, in quanto ritenuto poco rispettoso della tradizionale concezione del diritto naturale e comunque contrario a subordinare il lavoro costituente all’esito di un successivo referendum approvativo.

In realtà emergeva un profondo contrasto fra coloro che credevano nella possibilità di un modello di «Stato cristiano», di cui si avrà conferma anche successivamente in vari organismi vaticani e nelle discutibilissime progettazioni di alcuni gesuiti de «La Civiltà cattolica», e coloro che, invece, si stavano preparando a cercare di caratterizzare in modo da tutti accettabile uno Stato pienamente democratico e pluralista, seppur ispirato a principi dedotti dai valori personalisti e pluralisti e al tempo stesso impegnato ad operare a fini di giustizia sociale.

Ma qui la scelta sicura della Dc era nel senso di trovare un solido terreno di incontro comune con le altre forze politiche, recuperando i migliori modelli del moderno costituzionalismo democratico.

Certo Mortati, non solo grande teorico ma anche attento studioso del moderno costituzionalismo comparato, emerge nettamente fra tutti, oltre che per le notevolissime capacità di lavoro, per le sue conoscenze e per l’acuta capacità valutativa delle trasformazioni in corso: non a caso nella Commissione Forti si afferma decisamente fra gli altri pur qualificati componenti ed a lui è affidato l’importantissimo compito di redigere la relazione sui «diritti pubblici subiettivi», un testo decisivo nella individuazione delle situazioni soggettive (diritti e doveri) da inserire in Costituzione e nella configurazione dei diritti sociali. Un testo che, non a caso, verrà largamente utilizzato da La Pira e da Basso nelle loro relazioni alla Costituente sui principi fondamentali e sui diritti e doveri da inserire nella Costituzione.

 

L’Assemblea costituente e la Commissione dei Settantacinque

Mortati, candidato nella lista nazionale della Dc, viene eletto componente dell’Assemblea costituente e subito è nominato nella Commissione dei Settantacinque che doveva elaborare il progetto di Costituzione: componente della seconda sottocommissione competente in tema di «Organizzazione costituzionale dello Stato», è il relatore sul tema decisivo de «il potere legislativo», che peraltro esamina analiticamente solo dopo aver messo lucidamente in evidenza i nuovi problemi degli Stati democratici moderni, tanto diversi da quelli disciplinati dal primo costituzionalismo liberale. In particolare lo preoccupa la conciliazione fra la grande ineludibile espansione dei poteri e degli apparati dello Stato democratico interventista e sociale ed il rischio di eccessiva debolezza e instabilità della direzione politica del sistema democratico, nonché la difficoltà di assicurare leggi adeguate a quei fini di governo e di trasformazione sociale che devono caratterizzare le moderne democrazie sociali. Da ciò la decisiva importanza delle scelte da fare in tema di forma di governo e di sistemi elettorali.

Se nella sensibilità di Mortati non era concepibile un sistema elettorale non basato sul proporzionalismo della rappresentanza elettorale, la garanzia della necessaria stabilità del governo esige l’utilizzazione di una molteplicità di tecniche di stabilizzazione del potere maggioritario (fino all’ipotesi di governi non sfiduciabili prima di un biennio), ma anche l’esistenza di svariati contrappesi contro possibili abusi, ivi compresa pure una molteplicità di strumenti referendari, in nome del primato della sovranità popolare. Inoltre all’esplicita valorizzazione del ruolo decisivo dei partiti politici nel funzionamento della moderna democrazia, si deve accompagnare una loro disciplina che ne esalti il ruolo democratico ma anche riduca i rischi di loro degenerazione.

Più in generale per Mortati occorre giungere a determinare un “sistema complesso” come lo è la società che si vuole far partecipare attivamente alla vita democratica: da ciò anche qualche proposta forse alquanto complicata. Un approccio del genere lo pone in evidente contrasto sia con coloro che in sostanza vorrebbero la riedizione di una sommaria costituzione di tipo liberale, sia con coloro che desidererebbero un ordinamento istituzionale semplicista, tutto derivante da un unico sistema politico accentrato, impegnato in un processo di “democrazia progressiva” (in questa direzione spingevano fortemente i rozzi teorici di ispirazione marxista dell’«unità del potere»). Anche quando si cominciarono faticosamente a trovare punti di incontro specialmente nella definizione dei principi fondamentali e dei diritti e doveri, proprio nella definizione dell’ordinamento repubblicano i contrasti continuarono, restando a lungo irrisolti.

 

Le critiche al sistema parlamentare configurato

Nell’esame dei lavori costituenti appare comunque evidente la grandissima autorevolezza che era unanimemente riconosciuta a Mortati, ritenuto uno dei più attivi protagonisti delle diverse fasi dei lavori, con contributi assolutamente decisivi nella definizione del complessivo modello costituzionale e delle singole disposizioni costituzionali che lo compongono, dalla disciplina dei diritti e doveri alla forma di governo, agli organi di garanzia, all’ordinamento regionale. Specie con il passare del tempo si coglie però negli atteggiamenti di alcuni altri costituenti una crescente insofferenza nei suoi riguardi, imputato di essere troppo pervicace nel tentativo di conseguire gli obiettivi che riteneva decisivi e rigido nel rifiutare compromessi ritenuti incoerenti. D’altra parte il suo carattere era poco incline ai compromessi, di modo che gli apparivano non accettabili alcune mediazioni o rinunce (ad esempio, si prolungarono a lungo i suoi vani tentativi di configurare il Senato come Camera rappresentativa dei portatori di esperienze professionali, eletti dal corpo elettorale su collegi regionali).

Al termine dei lavori costituenti, pur condividendo il risultato complessivo ottenuto, apparve molto critico e preoccupato per il debole sistema parlamentare configurato, per la mancata valorizzazione di tanti soggetti sociali e soprattutto per l’inesistente disciplina dei partiti politici, unici soggetti sociali detentori di grandissimi poteri sulle classi politiche e quindi sulle istituzioni pubbliche. Si rischiava, infatti, di concentrare troppi poteri in soggetti politici privi di regole vincolanti e che quindi avrebbero potuto facilmente abusarne.

Collaboratore di «Cronache sociali», su cui scrive più volte dal 1947 al 1950, espone anche in questa sede le sue critiche al fatto che non si sia andati oltre alla moderna riedizione di una democrazia parlamentare, respingendosi le proposte «relative o all’introduzione di forme di democrazia diretta, o all’utilizzazione dei gruppi sociali per la formazione del Parlamento, o comunque ad un maggiore accostamento fra società e Stato».

Malgrado le sue evidenti qualità ed il grandissimo lavoro svolto nei più diversi settori nella elaborazione della Costituzione, entrò evidentemente in attrito con i vertici della Dc, tanto da non essere ricandidato nel 1948 nella lista nazionale, ma solo inserito nelle liste calabresi, andando così incontro a una campagna elettorale difficilissima, che terminò con la sua mancata rielezione.

Nel 1951, al convegno dei giuristi cattolici su Funzioni ed ordinamento dello Stato moderno, denuncia come la trasformazionedello Stato da liberale ad interventista metta in palese evidenza«come la crisi dello Stato moderno consista nella insufficienza deicongegni ereditati dallo Stato liberale ed ancora in gran parte sussistenti,a disciplinare il nuovo contenuto assunto dell’azione statale». D’altra parte ormai l’attenzione polemica anche di Mortatisi spostava sempre più verso le mancate attuazioni costituzionalidi parti significative della nuova Costituzione.

Tornato pienamente agli studi ed all’insegnamento (dal 1949 è stato edito un suo manuale divenuto rapidamente, per unanime giudizio, il migliore strumento di insegnamento del diritto pubblico per quasi trent’anni), nel 1955 viene chiamato ad insegnare all’Università di Roma.

Nel 1960 viene nominato dal presidente Gronchi giudice della Corte costituzionale, dove opererà fino al 1972.

Malgrado alcune parziali modificazioni di giudizio sui sistemi elettorali e sulla forma di governo, Mortati appare fino in fondo molto coerente alle sue idee di fondo, tanto da scrivere nel 1975, nel Commento all’art. 1 della Costituzione, che se l’attuazione del principio democratico trova le sue radici nel pensiero politico antico, esso «ha trovato poi il suo più profondo fondamento e la più essenziale giustificazione nell’etica cristiana che, mentre attribuisce valore assoluto alla persona umana e così riconosce ad ognuna una pari dignità, quale che sia la condizione e la posizione occupata, impone poi al singolo di considerare gli altri pari a sé, ed a tutti di prodigarsi in una reciproca, operosa gara di affratellamento. Se ogni regime politico ha come suo implicito sottinteso una determinata concezione dell’uomo, quello democratico ne attinge dalla radice cristiana da cui è germinata una, che è insieme ottimistica, collegata com’è alla razionalità umana capace di rivolgersi al bene comune, ma anche pessimistica, derivante dall’immanenza del male nel mondo terreno, dalle tendenze al predominio degli impulsi asociali».

 

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Antologia

X. - Sarebbe assurdo accingersi a disciplinare l’organizzazione dei poteri costituzionali senza avere chiara consapevolezza delle trasformazioni prodottesi nella struttura sociale, trasformazioni che si sono riflesse nell’azione dello Stato, e che hanno dato luogo a quella che si suole chiamare la crisi dello Stato moderno. Crisi esprime appunto una disarmonia fra certi bisogni e gli istituti predisposti a soddisfarli, fra forme congegnate in vista di una situazione e rimaste in vita a ordinare un contenuto diverso da quello di prima.

I caratteri di questa mutazione, per limitarsi solo a quelli di natura più strettamente politica, e prescindendo dagli altri di natura etico-spirituale, si possono così riassumere:

1°) il complicarsi della struttura sociale, e, in conseguenza dell’universalità del suffragio e dell’ingredire nella vita pubblica di tutti gli interessi, la difficoltà di giungere ad una sintesi armonica di questi;

2°) il ricostituirsi ed il potenziarsi dei gruppi sociali, che la rivoluzione francese si era illusa di fare scomparire, con conseguente inadeguatezza delle vecchie forme di rappresentanza a riflettere la nuova realtà sociale;

3°) l’intervenzionismo statale in settori sempre più vasti della vita economico-sociale, e la conseguente possibilità sempre maggiore offerta ai ceti governanti di dominare il Paese;

4°) il formarsi, per lo stesso processo della industrializzazione, di gruppi o coalizioni capaci di esercitare un’influenza occulta e a dominare in effetti la vita dello Stato, rendendo illusoria o deformando la formazione spontanea e libera di una pubblica opinione;

5°) la instabilità della direzione politica, come effetto dei precedenti fenomeni, per la mutabilità dei governi e la mancanza di unità e continuità nella loro opera;

6°) la incapacità degli organismi e dei procedimenti legislativi ad adeguarsi alle nuove esigenze ed a disciplinare nelle forme tradizionali il nuovo contenuto della legislazione, onde il dilagare dei decreti-legge, fenomeno non solo del regime fascista ma anche di regimi democratici, come dimostra l’esempio della Francia dopo il 1934;

7°) la deficienza di competenza specifica all’adempimento dei compiti sempre più tecnici dello Stato.

XI. — Il successo del regime democratico è condizionato alla prova della sua idoneità attuale a superare la crisi dell’autorità. Occorre pertanto ricercare i congegni suscettibili di adeguarsi alla nuova struttura sociale, assicurando, da una parte, la stabilità e l’unitarietà della direzione politica, dall’altra, la tutela della libertà, la certezza del diritto ed il rispetto delle minoranze escluse dal Governo.

Sarebbe gravemente illusorio pensare di raggiungere questo intento limitandosi a disporre un certo ordine di rapporti formali fra i vari poteri costituzionali, poiché esso può ottenersi solo sulla base del raggiungimento di un solido equilibrio sociale.

A prescindere dai presupposti che appaiono sottratti alla possibilità di una qualsiasi proposta di regolamentazione da parte della Sottocommissione, ma che tuttavia per la loro indole pregiudiziale, devono essere tenuti presenti e segnalati, e che possono riassumersi nella attuazione della massima omogeneità della base sociale, si deve richiamare l’attenzione su quelli più direttamente connessi con l’ordinamento dei poteri centrali.

Viene in primo luogo in considerazione l’ordinamento della rappresentanza politica, che deve mirare a riflettere la composizione complessa che sono venuti ad assumere gli Stati moderni. Anche se si decidesse di non includere nella costituzione le forme ed i procedimenti di organizzazione del suffragio, il costituente non può, nell’ordinare i poteri centrali, non considerare l’influenza che sul loro funzionamento esercitano i procedimenti stessi.

Allo scopo di offrire una traccia alla discussione, si darà un cenno dei punti pei quali potrebbe ritenersi conveniente una disciplina, almeno in linea di determinazione dei principî, da parte della costituzione. Così:

a) in ordine alla capacità elettorale (universalità del suffragio, condizioni di età, o altre da porre all’esercizio del diritto di voto, eventuali limiti derivanti dall’esercizio o dal non esercizio di date attività, carattere obbligatorio del voto, diritto all’esercizio effettivo del diritto elettorale, voti supplementari per il possesso di date qualifiche (voto familiare), voto ai militari);

b) in ordine al procedimento elettorale (principio proporzionalistico o maggioritario; determinazione dei collegi, determinazione del giorno di svolgimento delle elezioni);

c) in ordine alle condizioni di eleggibilità (età, data di acquisto della cittadinanza, incompatibilità derivante dall’appartenenza ad antiche famiglie regnanti);

d) in ordine alla determinazione dell’organo destinato al controllo della regolarità delle elezioni (tribunale elettorale).

Particolare interesse può offrire, sempre al fine che qui interessa, l’indagine sulla convenienza di inserire nella costituzione norme relative ai partiti, nel senso di condizionare il loro intervento nel procedimento di formazione degli organi costituzionali al possesso di dati requisiti. Varii e complessi sono i motivi che possono indurre all’una o all’altra soluzione, e la Commissione non potrà non farne oggetto di approfondito esame.

Analoghe considerazioni possono farsi per le categorie professionali, ove si ritenesse di ricorrere a forme di integrazioni di suffragio, sulla base dell’intervento delle categorie stesse nella formazione di uno o più degli organi elettivi.

Anche per gli enti territoriali, i quali, insieme a quelli politici e professionali, completano il quadro degli enti sociali, pei quali più urgente appare il bisogno dell’inserimento nella vita dello Stato, occorre determinare il grado di influenza loro attribuibile nel campo del nuovo ordinamento della rappresentanza politica.

Leggi integrative della costituzione su questi punti, nel caso di soluzione affermativa sul quesito posto, devono essere approntate, per opera della stessa Costituente, onde rendere possibile la concreta applicazione della nuova legge costituzionale.

 

(da C. Mortati, Relazione sul potere legislativo, in Assemblea Costituente - Commissione per la Costituzione - II Sottocommissione, Relazioni e proposte. Atti parlamentari, pp.183 ss.)