Fin dalle prime ore dell’invasione russa dell’Ucraina cristiani e cristiane in tanti luoghi si sono mobilitati per la pace: spesso lo hanno fatto insieme, al di là delle appartenenze confessionali, in nome della comune vocazione all’unità che, soprattutto nel corso del XX secolo, ha portato un numero sempre maggiore di cristiani a scoprire la ineludibile radice evangelica della costruzione dell’unità nella diversità per essere testimoni sempre più credibili e efficaci della Buona Novella nelle proprie comunità e nel mondo. Sono nate così tante iniziative di preghiera per la pace in Ucraina e di accoglienza dei profughi, con le quali rilanciare ancora una volta l’idea che l’ecumenismo trova la sua forza nell’affidarsi a Dio per sostenere il cammino delle Chiese nel mondo verso la piena e visibile comunione.
Le preghiere per la pace in Ucraina – preghiere che hanno animato tante comunità anche in Italia da Biella a Bari, passando per Firenze e Genova, solo per citarne alcune – hanno mostrato come i cristiani insieme chiedano al Signore di essere guidati nella strada della pace nella giustizia, fondandola su una riconciliazione delle memorie da vivere giorno per giorno, che, spesso, appare al mondo niente altro che un’utopia. Di fronte all’incattivirsi della guerra in atto, verso un buio sempre più tetro di morte, violenza e sofferenza, i cristiani, insieme, oltre che nelle proprie comunità, hanno rilanciato l’idea della pace subito, senza se e senza ma, con la quale iniziare un percorso condiviso di riconciliazione che andasse ben oltre gli accordi da firmare e i confini da stabilire nella convinzione che senza una reale, vera e profonda conversione dei cuori e degli occhi non si potesse costruire la pace in Ucraina: una terra abitata da cristiani di tradizione diversa, guidati da una pluralità di autorità, non sempre in dialogo tra di loro, con una piccola ma significativa presenza ebraica e islamica, con decenni alle spalle di persecuzioni e discriminazioni, soprattutto durante l’impero sovietico quando vennero colpiti, con particolare violenza, i fedeli cattolici di rito bizantino uniti alla Chiesa Cattolica di Roma dalla fine del XVI secolo.
Nella richiesta della pace subito, condivisa, in alcuni casi, anche fedeli di altre religioni, il cammino ecumenico, come è stato notato da tanti, non solo dai cattolici, ha trovato sostegno nelle parole e nei gesti di papa Francesco che ha invitato tutti i cristiani alla preghiera e al dialogo, anche quando le parole del Patriarca di Mosca Kirill hanno sottolineato differenze e distanze, come se tutta la Chiesa ortodossa russa si riconoscesse nella descrizione putiniana della guerra. Al tempo stesso il movimento ecumenico, soprattutto negli ultimi anni, è venuto rafforzando il proprio impegno per l’accoglienza dei milioni di uomini e donne in fuga da quelle guerre frammentate che sono state, se non l’unica causa, sicuramente la principale di queste fenomeni migratori; di fronte alla tragedia di donne e bambini, in fuga dall’Ucraina, non si è creata una rete di accoglienza, ma si è rafforzata e sviluppata una rete, già condivisa e sostenuta da tanti cristiani proprio in nome dell’unità da vivere. Non sono mancati, a livello ufficiale e informale, i contatti con il Patriarca Kirill e il suo più ristretto gruppo di collaboratori, tra cui il metropolita Hilarion, responsabile del Dipartimento delle relazioni esterne; questi contatti sono state occasioni, così come è stato possibile sapere, soprattutto quando sono stati resi pubblici, per riaffermare la necessità di volgere lo sguardo a Cristo, insieme, per far trionfare la pace, al di là delle letture che della guerra in atto venivano date. Riaffermare la comune vocazione all’unità nella luce di Cristo, Salvatore delle genti, non è uno slogan ma una strada che i cristiani sono chiamati, pur con le paure e le debolezze personali e comunitarie, a vivere, insieme, con uno spirito ecumenico, come pellegrini, testimoniando la gioia di scoprirsi, nello scambio dei doni di Dio, costruttori della pace evangelica.