Da Firenze all’Ucraina, per costruire la pace

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Mentre si inseguiva l’utopia di La Pira, che immaginava il Mediterraneo simile a un grande Lago di Tiberiade, si è dovuto fare i conti con le acque agitate del vicino Mare d’Azof. Le sue coste sono state insanguinate dall’aggressione russa, così come il resto del territorio ucraino. Uno strano destino quello dell’incontro di Firenze, che ha visto insieme vescovi e sindaci provenienti da varie città del Mare Nostrum: da una parte la straordinaria occasione di confronto tra realtà diverse e spesso ostili fra loro (erano presenti delegati di Paesi di tradizione islamica e cristiana, oltre che di Israele); dall’altra una serie di “intoppi” nefasti. La pandemia da covid a un certo punto aveva minacciato lo svolgersi stesso dell’appuntamento; poi, in concomitanza con l’inizio dei lavori, lo scoppio della guerra russo-ucraina; infine il forfait del papa per il riacutizzarsi del dolore al ginocchio.
L’esperienza cristiana insegna che c’è sempre un calvario da scollinare per giungere alla salvezza. Così è stato per Giorgio La Pira, incompreso e financo irriso per la sua vocazione di profeta di pace. A lui il cardinale Gualtiero Bassetti, che lo conobbe e gli fu amico, si è ispirato per l’incontro dei vescovi a Bari due anni fa e ora per le giornate fiorentine, che hanno ricalcato – anche nei luoghi, a cominciare da Palazzo Vecchio – i Colloqui Mediterranei che il “sindaco santo” promosse tra gli Anni Cinquanta e Sessanta. Ed è stato bello che quelle idee, per tanto tempo ibernate, siano state scongelate dal sindaco attuale di Firenze, Dario Nardella, che ha sposato a pieno l’idea di Bassetti, aggiungendo la sponda civile a quella ecclesiale. La Pira avrebbe di sicuro approvato, lui che ricordava che i cristiani sono i primi “materialisti”, dato che credono a un Dio incarnato nella storia e alla resurrezione dei corpi.
Nell’idea iniziale, Firenze avrebbe dovuto ricordare soprattutto che non esiste separatezza tra le sponde nord e sud del Mediterraneo, oggi usato quasi da fossato per la “fortezza Europa”, spaventata dalla crisi migratoria. Alla fine, con l’umanità minacciata da un conflitto atomico, si è imposta l’urgenza di ribadire prima d’ogni cosa il dovere della pace, parola richiamata peraltro nel titolo- slogan dell’evento. L’Ucraina ha creato dei nuovi paradigmi. Il primo è che profughi e rifugiati non sono solo figli dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, ma possono giungere anche da terre vicine, simili culturalmente alla nostra. Il secondo è che la guerra, finora immaginata soprattutto quale frutto di uno “scontro di civiltà” che vedrebbe opposti Occidente e pianeta islamico, può scatenarsi anche fra due nazioni “cristiane” (come ci ha abbondantemente insegnato la storia del XX secolo).
Negli interventi fiorentini si è parlato del bacino del Mediterraneo come di uno spazio definito, una specie di continente elettivo, culla di fedi e incrocio creativo di popoli. La costruzione, in questa sorta di ombelico del mondo, di un clima di pace e dialogo dev’essere contagioso per l’Eurasia (Urali, Caucaso, Medio Oriente e oltre), dove è in corso in questo momento una pericolosa partita geopolitica. Questa è la sfida che si assume Firenze, sperando che l’incontro di febbraio non rimanga un episodio a sé e che non di debba di nuovo aspettare mezzo secolo per ritrovarsi a discutere in amicizia del comune destino.