Dalla fine della globalizzazione economica verso nuovi modelli locali di sviluppo: il nodo energetico

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Siamo entrati in una fase di straordinaria accelerazione delle trasformazioni, piena di squilibri crescenti/conflitti/incertezze. Oggi più che mai abbiamo difficoltà ad interpretare quanto sta accadendo, a comprendere le relazioni di causa - effetto tra i fenomeni che riscontriamo; nel comprendere quali possono essere i possibili sviluppi futuri dello status quo; a fare opera di discernimento critico per gerarchizzare ciò che è importante da ciò che è meno importante. E quindi nel proporre possibili piste.

Lo shock dovuto alla pandemia e poi quello dovuto all’attuale guerra, insieme alle implicazioni sempre più evidenti del cambiamento climatico e dell’inquinamento ambientale, debbono suggerirci innanzitutto di accelerare la transizione verso la riconversione ecologica. Quanto sta accadendo indica la fine della globalizzazione e l’emergere di un nuovo processo, più attento al locale, alle filiere corte.

Una fondamentale filiera (corta) diventa quella energetica e delle materie prime. La questione energetica è finalmente riconosciuta come affatto centrale. Essa richiede un approccio strategico, cioè collegato ad un orizzonte temporale di lungo periodo. É stato il corto-termismo nella politica energetica a portare a trasformare le relazioni di interdipendenza tra Paesi in relazioni di dipendenza delle democrazie europee dai regimi autoritari.

Oggi finalmente è partita una “operazione verità”: si mette a fuoco la assoluta necessità prioritaria di affrontare il nodo della politica energetica a difesa delle democrazie europee se vogliamo rinforzare una Unione Europea di pace, di protezione sociale, di tutela ecologica e di sviluppo/ prosperità economica.

 

Questo è un momento difficile. Ma è anche il più idoneo per cambiare. Siamo a poco più di 200 km dalla costa africana. L’Africa è un continente tra i più ricchi al mondo di risorse naturali ma anche di irraggiamento solare. Un forte investimento nel fotovoltaico sulla costa nord dell’Africa consentirebbe, insieme alla differenziazione delle fonti e della loro provenienza, una maggiore sicurezza. Nel frattempo gli investimenti nel fotovoltaico ed eolico andrebbero moltiplicati nel nostro Paese, sulla base di una attenta, rigorosa ed efficace cultura della valutazione (degli impatti sul paesaggio). Se la guerra ucraina suggerisce nell’immediato di attivare tutte le possibili fonti energetiche in Italia, (per supplire alle nuove carenze) occorre investire in tutte le diverse fonti rinnovabili (dal solare all’eolico al geotermico al micro-idroelettrico etc.) e anche nell’idrogeno come vettore energetico.

Nel contempo, le attuali vicende suggeriscono di cominciare a sottrarre definitivamente la gestione dei rifiuti in Italia all’economia illegale e di attuare tutte le possibili forme di economia circolare.  Nell’economia circolare ogni rifiuto è una risorsa, come insegna Madre natura ed il suo perfetto metabolismo.

Ma se l’attuale conflitto trova anche una sua origine anche nello scontro tra culture quanto sopra è necessario ma non sufficiente. La visione della società occidentale da parte del mondo asiatico/ musulmano è di una civiltà in declino/decadenza a causa dei crescenti comportamenti antisociali (droga violenza etc.); del decadimento della istituzione basilare di ogni società che è la famiglia; del declino del capitale sociale; della crescente anarchia che si collega alla frammentazione sociale ed al crescere delle organizzazioni criminali; e soprattutto dell'indebolimento della base etica e cioè dei valori caratterizzanti ,fondativi della civiltà occidentale. La percezione che si ha “all’esterno” del mondo occidentale ed europeo è di una società non più capace di rigenerare i valori su cui essa stessa è fondata. Proprio per questo occorre rigenerare questi suoi valori. In analogia a quanto avviene in natura, dove se una risorsa che non è rigenerata decade, degenera fino a scomparire del tutto.

La domanda diventa: “come”, con quali procedure, con quali approcci? I punti di ingresso possono essere molteplici. E fanno tutti riferimento al “potenziale trasformativo” rappresentato dalla città. Nelle città è prodotta la ricchezza di una Regione e di un Paese. La transizione ecologica si attua nelle città. Nelle città si consuma la massima quantità di energia. Nella città si dovrebbe rigenerare l'energia di cui c'è bisogno: sia quella materiale che quella immateriale. Nelle città si dovrebbe rigenerare una cultura della transizione ecologica, per sostenere “dal basso” le trasformazioni innescate dall’alto. E quindi per attuare concretamente i valori che sono connessi al principio della sussidiarietà, di cui alla Costituzione Europea di Maastricht.