All'ordine del giorno del dibattito politico e dell'attenzione dei media in queste settimane sta la tornata autunnale delle elezioni, che riguardano circa 1300 Comuni – pari ad 1/7 del totale – tra i quali peraltro le quattro più grandi città del Paese (Roma, Milano, Napoli, Torino), nonché altri due capoluoghi regionali (Bologna e Trieste) e 15 capoluoghi provinciali. È uno dei ricorrenti appuntamenti con le urne di Regioni ed enti locali, ormai in larga misura sfasate rispetto a qualche decennio orsono per via soprattutto delle molte vicende di scioglimenti anticipati di singole autonomie territoriali, che non rientrano più nella tornata generale delle elezioni amministrative.
Tuttavia in questa occasione – come in precedenti recenti vicende di rinnovo degli organi di talune Regioni – l'interesse dei media è particolarmente attratto dalle dinamiche delle candidature a sindaco delle principali città, dato il rilievo politico che assumono queste scelte, oltretutto effettuate dai vertici delle forze politiche nazionali e non dai responsabili territoriali, a testimonianza anche delle possibili implicazioni sulle alleanze di governo e sui rapporti al centro tra partiti e movimenti. Si può aggiungere che – stante anche la ormai irreversibile crisi dei partiti nella loro organizzazione sul territorio e nella formazione della propria classe dirigente – le candidature prese in considerazione riguardano di frequente personalità senza precedenti esperienze politiche, individuate nella cd. società civile tra figure che godono di un’immagine per la professione esercitata e le attitudini comunicative, piuttosto che per una sperimentata capacità di rappresentanza e gestione di questioni di pubblico interesse.
È questa una prospettiva per molti versi a rischio, perché finisce spesso per non considerare in via primaria la necessità di avere al vertice delle istituzioni comunali sindaci collaudati e in grado di fare squadra in base a relazioni già consolidate, in grado di assicurare da subito – se eletti – quel governo autonomo e responsabile, che è alla base del riconoscimento costituzionale di Comuni e Province come primi protagonisti e sentinelle della democrazia repubblicana, con funzioni fondamentali di prossimità o di area vasta e di attribuzione di risorse in modo oggettivo e perequato.
È quindi importante recuperare nell'arena pubblica un'attenzione corretta alle autonomie comunali e provinciali, queste ultime oltretutto fortemente indebolite dall’assurda riforma di qualche anno fa che ne ha compromesso ruolo e funzioni, per lo più accentrate a livello regionale. In primo luogo è indispensabile attuare finalmente la riforma costituzionale che nel 2001 aveva prefigurato lo spostamento, per quanto possibile, del baricentro dell'amministrazione pubblica sugli enti locali, a partire dai Comuni, ovviamente nel quadro di una cornice unitaria e imperniata sulla collaborazione e il coordinamento tra i vari livelli del sistema, evitando da un lato che gli enti locali siano dipendenti o in balia del centro e dall'altro il degrado nei rapporti tra Stato e Regioni sperimentato durante la pandemia anche per via dello strisciante cesarismo di molti cd. governatori.
È necessario anche riflettere – e adottare misure tempestive – su certi rischi evidenti connessi all'elezione diretta dei sindaci, che ha finito sia per emarginare il ruolo dei consigli comunali, sia per trascurare gli spazi di partecipazione e di cittadinanza attiva. La tendenza frequente a scegliere sindaci solisti, piuttosto che direttori d'orchestra, è probabilmente una delle cause della crescente distanza tra cittadini e istituzioni, fermo restando che in futuro va dedicato un impegno serio e solido alla formazione scolastica all'educazione civica per sensibilizzare e avvicinare realmente i giovani al senso delle autonomie locali
Elezioni amministrative: quale futuro per le autonomie locali?
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