La trappola della Dad

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Comprensibilmente il governo ha annunciato la ripresa delle lezioni in presenza con una certa enfasi, assegnando all’evento un indubbio significato simbolico, di un segnale di speranza e di ritorno alla normalità, sia pure quella con la mascherina, il distanziamento, le finestre aperte e il green pass.
Eppure, una settimana dopo, già si contano un centinaio di classi in tutta Italia in quarantena preventiva e di certo altri casi saranno segnalati nei prossimi giorni: e ciò significa immancabilmente il ritorno alla didattica a distanza (Dad) o alla cosiddetta didattica digitale integrata (Ddi), pseudotecnicismo per indicare sostanzialmente la stessa cosa.
Posto che il futuro rimane incerto, la domanda da porci riguarda gli ultimi tristi diciotto mesi: come abbiamo potuto accettare che la scuola si fermasse così a lungo, come non era mai successo, nemmeno in tempo di guerra?
Io credo che l’abbiamo consentito, per eterogenesi dei fini, proprio a causa della disponibilità della tecnologia, che ci ha permesso di continuare a far lezione, sia pure a distanza, anche nei mesi in cui più duramente siamo stati colpiti dal Covid. Questa possibilità, preclusa fino a non molti anni fa, ci ha illuso che trasferire la scuola sulle piattaforme elettroniche sarebbe stato un buon compromesso, che non avrebbe troppo depauperato il valore di una lezione faccia a faccia; che era comunque meglio di niente. Anche perché l’acquisto opinabile di migliaia di banchi a rotelle aveva presto rivelato quanto già si poteva intuire, e cioè che era un colossale sperpero di danaro pubblico, e che non sarebbe servito a far riprendere normalmente le lezioni. Il potenziamento del trasporto pubblico locale, d’altra parte, lo stiamo ancora aspettando.
Dopo più di un anno, però, possiamo forse riconoscere che ci siamo incautamente cacciati in una trappola: l’esperienza umana della scuola, il rapporto quotidiano che s’instaura tra compagni di classe e insegnanti, il gusto d’imparare assieme, di discutere e approfondire, anche la possibilità dei piccoli fallimenti di un’interrogazione o una verifica andata male, insomma ciò che differenzia nettamente la scuola da un qualsiasi corso d’aggiornamento o da un tutorial su YouTube, tutto ciò è uscito irrimediabilmente impoverito, causando pesanti danni, sia culturali che relazionali, che i ragazzi si porteranno dietro per anni e che segneranno un’intera generazione.
A tal proposito, la docilità, con cui gli studenti hanno generalmente accettato l’alterazione del loro mondo, lascia sbalordito chi, come me, è stato studente – non troppo tempo fa, in fondo, essendomi diplomato nel 2003 – in anni in cui le scuole venivano occupate per molto meno e spesso e volentieri ci si assentava dalle lezioni per sit in di protesta per i più svariati motivi, che comunque mai riguardavano misure radicali come quelle odierne. Mai si era vista una generazione così rassegnata a subire senza protestare; e anche su questo si dovrà riflettere.
Se la pandemia fosse capitata venti o forse anche solo dieci anni fa, probabilmente non sarebbe stato possibile far lezione su Google Meet, su Zoom o su Microsoft Teams, ma paradossalmente avremmo avuto maggior consapevolezza di che cosa significa perdere tanti mesi di scuola e perciò avremmo forse anticipato il rientro, anche al costo di correre qualche rischio. Avremmo avvertito per tempo il male che stavamo infliggendo ai nostri ragazzi. Invece ci siamo affidati a un surrogato insidioso, che ci ha causato una certa dipendenza e impedito di vedere ciò che sarebbe dovuto essere chiaro.
Il sociologo Claus Offe ha usato, per spiegare l’introduzione di nuove tecnologie, la metafora del vapore e del ghiaccio: da una parte esse allargano enormemente le nostre potenzialità (il vapore), ma dall’altra creano dei condizionamenti che irrigidiscono in maniera irreversibile le nostre scelte (il ghiaccio). Ora invece è fondamentale che della nostra libertà ci riappropriamo, e libertà è anche poter studiare e lavorare, vedere gli amici, parlare, scambiare opinioni, vivere appieno, cioè di persona, l’infanzia e l’adolescenza.