La pandemia ha richiamato l’attenzione anche sulla scuola. Si continua a parlarne, anche in vista dell’apertura post natalizia.
La scuola, come altre fondamentali istituzioni e strutture della vita civile (sistema sanitario, in primis), è stata colta alla sprovvista dall’evento pandemico. Ha reagito in un’ottica emergenziale.
Di questi dieci mesi di corsa contro il tempo per chiudere dignitosamente l’a.s. 2019-20 e riaprire il 2020-21 in condizioni accettabili restano fissi nella nostra mente alcuni dati e immagini. Vediamo sinteticamente.
L’organizzazione della didattica on line ha fatto emergere vari problemi: dotazione insufficiente, da parte di molte scuole e famiglie, degli strumenti informatici necessari (Pc, Internet ecc.); impreparazione di non pochi insegnanti alle nuove esigenze lavorative; sovraccarico d’incombenze per i genitori nella gestione dei figli/alunni; ricadute negative sulla dimensione psico-sociale di scolari e studenti, privati dei quotidiani rapporti personali con insegnanti e coetanei; impoverimento generalizzato sul piano degli apprendimenti.
Il dover fare di necessità virtù nella situazione determinatasi ha suscitato in molti ‒ dirigenti, docenti, genitori, ma anche studenti ‒ un insperato spirito d’intraprendenza. Si è prodotta una quantità notevole di «buone pratiche» didattiche, delle quali fare tesoro.
Concluso l’anno 2019-20, la volontà di ripartire nel 2020-21 con didattica in presenza, ma tenendo sempre conto della condizione pandemica, ha fatto subito capire che ai precedenti problemi se ne affiancavano altri da risolvere in fretta: dotazione di nuove attrezzature didattiche (banchi, innanzitutto); riconfigurazione di spazi e orari per alleggerire la contemporanea presenza numerica degli alunni; interventi riparativi dell’inadeguatezza di troppi edifici.
Dunque, a una situazione emergenziale sono state offerte risposte economiche (stanziamenti ministeriali ad hoc), didattiche e organizzative di analoga natura. Inoltre, anche per la scuola, continue sono state le tensioni fra Ministero e Regioni. La grancassa politica ci è andata a nozze e ciascuno, sposando una linea di maggiore o minore rigore sulle condizioni di apertura degli Istituti, ha sperato (e spera) di lucrare per la propria parte.
Tutto ciò considerato, s’impongono alcune rapide considerazioni.
- La pandemia ha svelato la fragilità del nostro sistema scolastico, penalizzato negli ultimi anni da un progressivo decremento degli investimenti. Il contrario di quanto avvenuto nei Paesi europei più avanzati: anche da qui la causa del nostro ritardo nella crescita.
- Dalle stesse risposte all’emergenza didattica, è venuto in evidenza, una volta di più, il gap scolastico fra Nord e Sud. Se non lo si accorcia, con reale contrasto alle «povertà di educazione e d’istruzione», ne scapita il futuro delle nuove generazioni e dell’intero Paese.
- Nonostante i molteplici problemi, la nostra scuola presenta punte di eccellenza, distribuite “a macchia di leopardo” sul territorio nazionale. Devono essere fonte d’ispirazione per un auspicabile avanzamento complessivo del sistema d’istruzione.
- La scuola, in ogni suo livello e articolazione, resta motore imprescindibile per lo sviluppo socio-economico e democratico. In questo senso, occorre insistere su politiche di concertazione fra i soggetti a vario titolo coinvolti (dal Ministero alle autonomie locali, alle rappresentanze socio-economiche e culturali).
- Una volta superata l’esperienza della pandemia, necessiterebbe una grande iniziativa nazionale, di riflessione a tutto campo, sul problema scolastico. In tal caso, bisognerebbe muovere dalla domanda radicale: «a che serve la scuola?», per poi addentrarsi nell’esame delle molteplici questioni sul tappeto (economiche, logistiche, gestionali, organizzative ecc.), in vista di azioni conseguenti.