Un anno è al tramonto ma la pace non sembra all'orizzonte

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In un mondo segnato dai conflitti, la strada è un ritorno al multilateralismo 

Servirebbe un anno giubilare universale per mettere la Terra a riposo dalle guerre. Al momento, però, possiamo contare solo su qualche fragile tregua e su vaghe prospettive di tavoli diplomatici. Il 2025 riceve in eredità dall’anno che si chiude una matassa internazionale quanto mai ingarbugliata. Tanti conflitti regionali vanno formando un unico enorme campo di battaglia, molto somigliante a una nuova guerra mondiale, inedita nelle forme ma identica negli effetti di morte. Non è azzardato porre dei trattini congiuntivi tra la guerra russo-ucraina, quella tra Idf e Hamas, tra Israele e Hezbollah e via elencando. Fino alle crisi armate più remote, dal Myanmar al Sudan. In Ucraina tre anni e mezzo fa l’operazione militare della Russia fu la risposta muscolare di Putin a un Occidente che, agli occhi del Cremlino, s’era fatto sempre più arrogante e minaccioso. Il braccio di ferro tra l’ex potenza sovietica e gli USA si stava consumando da molti anni, soprattutto in Medio Oriente, con toni da guerra fredda. Mosca, vicina all’Iran e alla sua galassia sciita, aveva come alleata la Siria di Assad; gli Stati Uniti, ora con l’incognita della seconda presidenza Trump, hanno il vincolante cordone ombelicale con Israele e storici rapporti politico-affaristici con le potenze arabe sunnite.
 
Pur se a fatica, si potrebbero fin qui ordinare le pedine sulla scacchiera. Sennonché intervengono varianti che fanno saltare le regole del gioco. È il caso della Siria. La Turchia, membro della NATO ma in buoni rapporti con Putin, a novembre “pilota” l’offensiva delle milizie sunnite ex al-Qaeda. In due settimane gli uomini di al-Jolani arrivano fino a Damasco a spazzano via un regime che durava da 54 anni. Dietro a questa mossa c’è il desiderio di Ankara di confermarsi potenza regionale e l’ossessione per il nemico curdo, che da sempre rivendica il diritto a una propria nazione. Ma intanto un altro nemico, Israele, dipinto da demonio per l’operazione su Gaza, approfitta degli ultimi rivolgimenti: invade il Golan e bombarda i siti militari siriani nell’ennesima azione “preventiva” decisa da Netanyahu, indifferente alle accuse delle famiglie dei rapiti israeliani e a quelle di corruzione. Rimane guardinga la Cina, che attende il momento propizio per riprendersi Taiwan. Intanto fa affari col petrolio iraniano invenduto all’Occidente, mentre muove i fili in aree calde di Asia e Africa, a cominciare dalla giunta militare birmana e continuando con l’area sudanese, dove aveva elargito enormi prestiti e investito in infrastrutture petrolifere già prima dell’indipendenza del Sud.
 
E l’Europa? Il suo – ahinoi! – è uno sguardo impotente. La UE è segnata da troppe divisioni e i 27 procedono in ordine sparso. Stessa cosa dicasi per l’ONU e le altre organizzazioni sovranazionali come il G7 e il G20. Proprio questa debolezza, paradossalmente, ci fa capire che l’unico modo per sfiammare il pianeta è il ritorno al multilateralismo.