Tutti coloro che guidano un’auto sanno che nessuno specchietto retrovisore è in grado di inquadrare quello che in gergo si chiama l’“angolo buio”, che rimane invisibile al conduttore e che quindi costituisce un pericolo al quale bisognerebbe rivolgere la massima attenzione. Anche la politica o, meglio ancora, l’azione dei governi subisce questo “effetto ombra”, i cui effetti si possono rivelare col tempo gravi e drammatici.
Sappiamo che in questi mesi si dovrebbe aprire una stagione di grandi riforme soprattutto con l’utilizzazione del “Recovery Fund”. I problemi che saranno affrontati con i fondi europei sono, com’è stato in parte annunciato, molti e certamente fondamentali e si inquadreranno nell’ambito della “governance” del dopo covid o, almeno, del progressivo décalage dell’epidemia. Quelli che non è opportuno dimenticare o sottovalutare sono appunto gli “angoli oscuri” che gravano e graveranno sull’azione governativa, rischiando di renderla insufficiente in punti non certo secondari. Cosa s’intende dire con questo? Basta forse qualche esempio: proviamo ad andare un po’ in giro per qualche scuola, per qualche ospedale, per qualche luogo di lavoro, grande o piccolo, e anche per qualche luogo di ritrovo o semplicemente per strada, per qualche quartiere non necessariamente di grandi città, ma anche di quelle più piccole, in cui la vita quotidiana sembra presentare meno effetti di deterioramento. Cosa si vede, così, a occhio nudo, senza bisogno dell’aiuto di sociologi, psicologi, urbanisti? Si vedono strutture ancora oggi fatiscenti, invecchiate, che sembrano stare in piedi per una speciale grazia divina o per un caso fortunato. Ma non è solo questione di strutture fatiscenti che fanno vergogna a un Paese civile. Si vedono infatti anche, per le vie, comportamenti individuali e di gruppo improntati all’indifferenza, alla superficialità, alla mala sopportazione del prossimo, addirittura alla violenza generata spesso da cause banali, ma talvolta sfociata in esiti estremi.
Ora, tutto questo serve semplicemente per dire che, al di là e al di sotto di ogni macroriforma resta ben solido un costume (in)civile, che assume mille volti differenti, ma i cui risultati convergono in atti, comportamenti, decisioni, atteggiamenti contrari alla ricostruzione di una buona e giusta convivenza. Qui nessuna azione della grande politica (chiamiamola così per intenderci) può arrivare, sia perché essa pare essere decisamente disinteressata a questo fondo oscuro della società, ma anche perché qui servono strumenti diversi dalle azioni di un governo centrale, specie se di composizione “tecnica”. Qui serve, se non è già troppo tardi, l’azione dei governi locali, i più vicini, almeno teoricamente ai bisogni dei cittadini: i comuni, le province, le regioni, insomma la “micropolitica” (se questo nome è adatto), che diventa grande politica nella misura in cui si piega alle esigenze e ai drammi della vita di ogni giorno.
Alle origini della democrazia moderna un grande teorico di essa, Alexis de Tocqueville, scriveva che l’anima del sistema democratico è l’autogoverno locale, a partire dai comuni, dove non solo si possono affrontare i problemi che spesso sfuggono ai governi centrali, ma si può imparare pure a fare politica, perché occuparsi delle questioni apparentemente meno rilevanti abitua a comprendere i desideri, i bisogni, le urgenze che ci stanno lì, vicini, che ci toccano, ma che purtroppo sovente facciamo finta di non vedere. C’è da credere che il tempo che verrà dovrà essere il tempo della riattivazione, non clientelare o strumentale (come spesso è oggi), dall’autogoverno della “società civile” non in alternativa, ma in sintonia con lo Stato. I tanti esempi del volontariato, sia prima che duramente la pandemia, sono un esempio di questa assunzione di responsabilità verso i “beni comuni” nella loro enorme varietà e che insieme dovrebbero convergere con il “bene comune” del Paese. Come si ricostruisce una “comunità”? Il mezzo principale è l’educazione a tutti i livelli. La scuola e l’università - in cui dovrebbero convergere “Humanities” e “Sciences” - sono lo snodo possibile, purtroppo non scontato, della crisi attuale.
I limiti della “grande politica” e le potenzialità dell’autogoverno
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