Il futuro del sogno europeo

di 

Il testo qui proposto è tratto da un articolo pubblicato sul primo numero del 2019 della rivista Dialoghi, dal titolo “Realtà europea e limiti dell’antieuropeismo”.

Nei primi decenni della nostra storia comune la causa dell’integrazione poté avvalersi di un messaggio (messianico, lo ha definito Joseph Weiler) dalla forza emotiva ineguagliabile, «non più guerre fra noi, non più figli, fratelli, padri morti a milioni, non più distese sterminate di croci ai fianchi delle nostre strade». Il messaggio parlava inizialmente alle generazioni che avevano perso quei figli, quei fratelli, quei padri e poi ha continuato a parlare a quelle, immediatamente successive, che li avevano almeno nella memoria. Dopo certo tempo ha perso la sua forza, è diventato esso stesso un argomento (solo) razionale. Ma non è affatto vero – si abbia il coraggio di dirlo – che un argomento razionale è privo oggi di attitudine a circolare e ad essere accolto. Siamo nel tempo dei social, delle fake news che diventano virali, dei pregiudizi a larga circolazione. Trovo paradossale che si pensi a limitazioni legali per combatterli e non ci si adopri piuttosto per contrastarli, facendo circolare, altrettanto largamente, le verità che negano. Se c’è un interesse, c’è anche chi si muove, e l’effetto si ottiene. Pensiamo a quella madre preoccupata che il suo bambino immunodepresso possa trovarsi circondato a scuola da bambini non vaccinati. Ha raccolto duecentomila firme contro i “no vax” e ha consentito così alla ragione di dare un brutto colpo al pregiudizio. Si può fare anche per l’Europa.

Intanto la si può presentare in modo assai meno odioso di come oggi fanno, incontrastati, gli antieuropeisti. È una pletora di burocrati? No, ha meno dipendenti di un grande comune. Passano però la vita a scrivere regole incomprensibili e astruse che noi dovremmo applicare. No, neppure questo è vero. Facciamo il confronto fra una direttiva europea, fatta di articoli brevi e chiari, e una delle tante leggi italiane fatte invece di articoli lunghi ciascuno tre pagine, tutte colme di rinvii ad altre leggi. Fa cose che comunque non ci interessano. Questa è una bugia ancora più grossa. Ci interessa la protezione della natura, ci interessa tutelare i nostri territori dove abbiamo panorami da non deturpare e biodiversità da non distruggere? Noi italiani eravamo stati antesignani in questo, ma poi è stata l’Europa che ci ha pensato per tutti con la sua rete di territori protetti, Natura 2000, e che ora è diventata, anche nei nostri confronti, vigile garante di tali patrimoni. Riteniamo giusto che prima di ogni opera venga fatta la Via, la Valutazione di impatto ambientale? Bene, questa è una invenzione europea, alla quale noi ci siamo adeguati. Siamo contrari alle discariche malsane e maleodoranti? È l’Europa che le ha vietate e che caso mai ci multa, perché noi continuiamo ad averne. Siamo contrari alla proroga delle concessioni senza gara, che premiano sempre gli stessi e impediscono agli altri di farsi valere? È l’Europa che se ne fa carico e combatte questi privilegi.

[…] La verità è che noi siamo insoddisfatti per ciò che l’Europa non fa e che dovrebbe fare, non per ciò che fa e che fa bene a fare. Non sono gli stesso sovranisti a sparare sull’Europa, perché il confine sud dell’Italia è un confine non italiano, ma europeo e dovrebbe quindi essere l’Europa ad occuparsene? Chiedono dunque loro stessi più Europa, non meno, e di più Europa in effetti c’è bisogno. Ce n’è bisogno in materia di immigrazione, nella lotta al terrorismo, dove una intelligence europea sarebbe molto più efficace ai fini della tempestività degli interventi, nella protezione sociale, a garanzia di un livello non valicabile (verso il basso) della stessa protezione, nel governo dell’Eurozona, per far marciare insieme la riduzione dei rischi e la loro condivisione. È dunque il momento di dirle queste cose, con pazienza, ma anche con fermezza, senza il timore di essere emarginati o squalificati in nome della pancia.

[…] La sorte ha voluto che una delle situazioni più difficili attraversate dall’Europa grazie al cumularsi in uno stesso breve arco di anni di crisi diverse (l’economia, le nuove tecnologie, l’immigrazione, il terrorismo), sia arrivata quando a pesare di più erano e sono proprio le generazioni di mezzo; le meno europee, quelle nelle quali il valore dell’Europa è meno sentito. Ciò vale per gli elettori e vale anche per le élite dirigenti, abituatesi sempre di più ad anteporre l’interesse nazionale a quello europeo. Colpisce – e non si può quindi ignorare – che in paesi come l’Austria e l’Italia siano peraltro dei giovani, quarantenni o addirittura trentenni, a prendere in mano il governo sull’onda di posizioni anti o assai poco europee. Colpisce, però, non per smentire quello che dicevo sulle generazioni più giovani, ma perché ci costringe a constatare – e già del resto lo avevamo fatto – che il contagio non risparmia neppure i giovani e in più che anche fra di loro l’opportunismo politico trova i suoi spazi e i suoi protagonisti. Questi protagonisti ci sono, ma ci sono anche gli autori del Manifesto di Villa Vigoni, giovani studiosi, figure del mondo professionale e dell’impresa, tutti trentenni o al massimo quarantenni. Sono le persone giuste, perché parlano a nome di generazioni che a larga maggioranza la pensano come loro. Di qui le ragioni di fiducia; fiducia in un futuro europeo ancora possibile, che oggi dobbiamo sì proteggere dagli strappi degli euroscettici, ma anche far avanzare per non frustrare le generazioni che ci credono e che, col passare degli anni, lo prenderanno sempre più saldamente nelle loro mani.