Care lettrici e cari lettori, inauguriamo con questo articolo la rubrica “Le parole del Sinodo”, con la quale il nostro blog intende offrire un piccolo contributo al dibattito sul cammino sinodale in corso. La modalità scelta è semplice: ciascuna voce interverrà a partire da un termine-chiave, che aiuta a riflettere su alcuni temi del Sinodo.
Nella dinamica del cammino sinodale affiora, qua e là, un “non detto” che è bene intercettare e portare alla luce: quale autorità gestisce tale cammino e alla fine “decide”? Più radicalmente: l’autorità è una “controparte” nel cammino sinodale, alla quale cercare di strappare qualche concessione paternalistica, oppure l’idea stessa di autorità dev’essere ripensata profondamente, anch’essa in senso sinodale? In altri termini: autorità e sinodo sono due “parole nemiche”, oppure due “parole amiche”?
Per rispondere possono aiutarci tre brevi riferimenti. Il primo lo ricavo da un discorso di papa Francesco, rivolto il 18 settembre 2021 ai fedeli della Diocesi di Roma, che contiene un’affermazione importante intorno al Sinodo: «Tutti sono protagonisti, nessuno può essere considerato semplice comparsa». Invitando a leggere il libro degli Atti degli Apostoli come “la storia di un cammino” che parte da Gerusalemme e si conclude a Roma, Francesco ha aggiunto: «I ministeri, allora, erano ancora considerati autentici servizi. E l’autorità nasceva dall’ascolto della voce di Dio e della gente – mai separarli – che tratteneva “in basso” coloro che la ricevevano»; precisando meglio: «Il ‘basso’ della vita, a cui bisognava rendere il servizio della carità e della fede». L’autorità che nasce del servizio, dunque, non giustifica alcuna separazione nella vita cristiana fra “serie A” e “serie B”; esige piuttosto, per la sua credibilità ministeriale, una sintesi incessante fra l’ascolto della voce di Dio che ci giunge dall’alto, e l’ascolto della vita, che non dev’essere strappata dal “basso” di una ordinaria e preziosa quotidianità, a cui anzi occorre rendere il servizio della fede e della vita.
Il secondo riferimento lo traggo dal Documento preparatorio “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. In particolare, al n. 11, dopo aver ricordato come i Padri della Chiesa avevano instancabilmente raccomandato la piena comunione di tutte le Chiese e l’accordo nella fede di tutti i battezzati, contro quanti tendevano a divedere il corpo ecclesiale, si ribadisce che, anche nel secondo millennio, «quando la Chiesa ha maggiormente sottolineato la funzione gerarchica», non è mai venuto meno questo modo di procedere: «quando si è trattato di definire delle verità dogmatiche i papi hanno voluto consultare i Vescovi per conoscere la fede di tutta la Chiesa, facendo ricorso all’autorità del sensus fidei di tutto il Popolo di Dio, che è “infallibile ‘in credendo’”» (EG, n. 119). Il richiamo completo a Evangelii Gaudium illumina meglio questo passo: «Come parte del suo mistero d’amore verso l’umanità – scrive Francesco – Dio dota la totalità dei fedeli di un istinto della fede – il sensus fidei – che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio». Il dono alla totalità dei fedeli di un senso immediato e profondo di fede, che abilita e purifica il discernimento comunitario, non ha un carattere occasionale e straordinario, ma è parte integrante del mistero stesso d’amore di Dio per il suo popolo. Siamo così riportati in un orizzonte che supera qualsiasi lettura puramente sociologica della dinamica sinodale, fatta di una sorta di tiro alla fune tra chi sta “in alto” e chi sta “in basso”. Ciò non esonera, tuttavia, dal dovere di misurarci con forme improprie di autoritarismo ecclesiastico, che in questa prospettiva debbono essere considerate per quello che sono: forme di clericalismo, all’origine di innumerevoli abusi di potere. Il Documento preparatorio al n. 6 è inequivocabile: «La Chiesa tutta è chiamata a fare i conti con il peso di una cultura impregnata di clericalismo, che eredita dalla sua storia, e di forme di esercizio dell’autorità su cui si innestano i diversi tipi di abuso (di potere, economici, di coscienza, sessuali)».
Siamo dunque di fronte a una indispensabile “conversione dello sguardo”. La radice di tale conversione ci viene suggerita da sant’Agostino (ecco il terzo riferimento), che identifica Gesù Cristo come la vera autorità del cristiano. In un sermone (265/A,1) il vescovo di Ippona si esprime così: «Cristo in persona deve essere l’autore (auctor) del nostro discorso, lui che è l’artefice della nostra salvezza». Assumendo la natura umana, Cristo porta a compimento l’ordine della creazione e dona una nuova forma all’umanità, in quanto ha il potere (auctoritas) di rigenerare la vita e immetterla in un ordine di grazia altrimenti irraggiungibile. Il potere di donare, non di prendere; di mettere in cammino, non di bloccare; di accogliere, non di escludere. In questo senso il sinodo è di tutti, perché l’unico vero autore è Gesù Cristo. Nessuno – ma proprio nessuno – dovrà dimenticarsene.