Il rapporto tra informazione e potere si è aggravato in questi anni a causa della ricchezza esibita ed esaltata. Il “governo dei soldi” (plutocrazia) sta accumulando strategie, metodi e profitti. In questo contesto, dove sono l’informazione e la libera opinione? Schiacciate dal digitale, ma non assenti.
È bene non farsi confondere: lo scontro tra l’uomo più potente del mondo – Trump – e quello più ricco – Musk –, non è basato su idiosincrasie personali, ma su modelli e versioni diverse di concepire il mondo, la società e il futuro. Il primo torna, nel suo interesse, a far sentire la voce dello Stato (seppure particolare come gli Usa, centralista e federalista insieme) per imporre regole e strutture. L’altro, fedele al suo mantra iperliberista vorrebbe, nel nome della libertà che evoca, sbaragliare ogni presunto o reale vincolo. Eppure, a prescindere da come andrà il conflitto in termini elettorali, sono chiari la scena e i personaggi che la interpretano: siamo nell’era del governo impetuoso dei soldi, la plutocrazia. E pensare che ci sia un campo immune (salute, terra, famiglia, tecnica, sport, ecc.), è pura ingenuità. Per giunta maldestra, se dovesse essere accompagnata da discorsi che provano a motivarla.
Basta citare alcuni dati, messi in evidenza dall’ultimo rapporto Oxfam sulle disuguaglianze. Dal sito dell’associazione, oxfamitalia.org, si legge: «Nel 2024 la ricchezza dei miliardari è cresciuta, in termini reali, di 2 mila miliardi di dollari, pari a circa 5,7 miliardi di dollari al giorno, a un ritmo tre volte superiore rispetto all’anno precedente. Ogni settimana, in media, sono nati quattro nuovi miliardari». All’opposto, «il numero assoluto di individui che vivono sotto la soglia di povertà di 6,85 dollari al giorno è oggi lo stesso del 1990, poco più di 3,5 miliardi di persone»1. I poveri sono sempre tantissimi e aumentano le disuguaglianze.
Cosa c’entra questo con l’informazione e il potere? C’entra, perché se nei secoli la democrazia si è strutturata, oltre il solo voto, per limitare e contrastare la forza dei pochi facoltosi/potenti, da un po’ di tempo ciò è meno vero. Anzi, è proprio il consenso di chi miliardario/potente non è, di molto o di poco, che ha consentito il trionfo dei privilegiati. Si veda Trump e compagni. Come? Con il potere di un’informazione che ha fatto perno soprattutto su due sistemi complessi, funzionanti insieme, spesso non percepiti in pieno.
Il primo è il potere della narrazione che ha agito, spesso sottotraccia, nel racconto di una ricchezza strabordante, a volte non osteggiata, ma, se non proprio gradita, almeno condivisa con leggera superficialità. Il matrimonio dei Bezos a Venezia di qualche mese fa ne è una prova; ma poi ci sono i tanti casi che informano sulle travagliate vicende ereditarie, le acquisizioni, i trend nel tempo libero, le storie di successo a partire dalla sfortuna e altre amenità con cui i mass media inondano pagine e servizi tv con corredo di immagini e parole accondiscendenti. L’informazione, furba e reiterata, in questi casi prepara il terreno, costruisce un mondo di riferimento, evita che la ragione si attrezzi per resistere al condizionamento. Agisce. L’aveva intuito, agli albori del potere mediatico, un teorico sociale americano Stuart Chase, che nel 1953 scriveva: «La maggior parte della nostra personalità, per lo più, non è logica. Le parole corrono nei sentimenti, i sentimenti nelle parole; la linea di demarcazione non è affatto molto rigida. Ma di tanto in tanto noi rimandiamo le nostre parole, e deliberatamente raccogliamo esperienze e associazioni, prima di cominciare ad agire»2. Sono della stessa idea due esperti del settore, Maldussi e Mercadante, che sottolineano come «la lingua dell’economia, concepita come strumento neutrale e universale, tende a sottrarsi alle istanze locali, affettive, storiche. La sua universalità è in realtà una costruzione ideologica che si regge sull’esclusione: esclude la complessità dell’esperienza, la pluralità dei punti di vista, la legittimità del dissenso»3. Vero: e figuriamoci quando questa millantata neutralità viene “incartata” sotto montagne di racconti spacciati per leggero intrattenimento esenti da effetti dannosi!
Ma, oltre questo impatto effettivo sull’immaginario collettivo, c’è di più. Sapendo di agire sulla base di un terreno ben preparato, si è inserita, e ha man mano conquistato posizioni, potere e miliardi, la tecnologia, in special modo quella pervasiva dei media digitali. L’estrazione in misura di scala di dati personalizzati per arrivare alla «capacità di influenzare i comportamenti reali mentre avvengono negli spazi reali della vita quotidiana», sono gli assi portanti di tutta la teoria di Shoshana Zuboff, la sociologa statunitense che nel suo Il Capitalismo della sorveglianza, documentato testo di riferimento, ha avvertito: «Storicamente, le aziende non hanno mai avuto tanto potere, tanta ricchezza e tanta libertà per mettere in atto economie d’azione con il sostegno di un’architettura globale pervasiva di conoscenza e controllo basata su computer onnipresenti, costruita e mantenuta dalle più costose e avanzate competenze scientifiche»4.
Per capire quanto il potere della ricchezza, intrecciato con quello dell’informazione, sia ormai il cuore del futuro delle nostre democrazie, basta leggere alcuni dati: «le prime sette società americane quotate (dati di metà 2022) sono tutte imprese delle tecnologie digitali: Apple, Microsoft, Alphabet (Google), Amazon, Tesla (le vetture di Musk considerate un computer su quattro ruote), Meta (Facebook) e Nvidia. Imprese innovative, spesso monopoliste con un potere enorme e un valore complessivo pari a quasi un quarto dell’intera capitalizzazione delle Borse […]. Non si era mai visto, nella storia universale, tanto potere concentrato nelle mani di capi di poche aziende che controllano conoscenza, informazione, socializzazione e pubblicità in gran parte del mondo»5. Dati da aggiornare visto che aumentano non solo il numero di chi sta producendo le proprie ricchezze – e quindi potere – decisivo con questo tipo di tecnologie, ma che, soprattutto, influisce in modo strategico e sempre più determinante, sulla qualità dell’informazione, sia privata che pubblica, gestendo un’immensa mole di dati (vedi scandalo Cambridge Analytica) con cui mirano a gestire i comportamenti altrui.
Non si tratta alla fine di capire cosa è vero o falso, come le ormai note fake news, ma la stessa centrale architettura complessiva, ormai insediatasi. Un pensatore particolarmente attento, critico, ma pur sempre ottimista sulla mentalità contemporanea, mette in allarme senza scoraggiare. Sì, più ricerche dimostrano, scrive il filosofo israeliano Yuval Noah Harari, come «l’indignazione e la disinformazione abbiano maggiori probabilità di diventare virali»6 e gli algoritmi hanno contribuito a creare un nuovo sistema sociale che solletica i nostri istinti più meschini. «Come abbiamo visto più volte nel corso della storia, in una lotta per l’informazione completamente libera, la verità tende a perdere»7. Eppure, scrive Harari, «per far pendere la bilancia in suo favore, le reti devono sviluppare e mantenere forti meccanismi di autocorrezione che premino la verità. Questi meccanismi sono costosi e di tanto in tanto mettono in crisi l’ordine, ma se si vuole ottenere la verità, è necessario investire su di essi»8.
Per alcuni è un’illusione. Scrive, a tal proposito, Giovanni Vannini, progettista e consulente in etica per i digital trend e social media e attento osservatore della modernità: «questo immenso potere, capace di sciogliere ogni identità, le relazioni, le comunità, le infrastrutture sociali ed economiche, le condizioni di controllo dell’informazione e tutto, è nelle mani di un irrisorio numero di super-potenze che hanno la caratteristica di essere private, al servizio della finanza speculativa e radicalmente concentrate in pochissime mani. Tali centri di potere sono sempre attivi nel tracciare, monitorare, ascoltare, guardare, sondare l’umano e il naturale al fine di aiutare l’AI a imparare. […] L’attuale frontiera in cui scienza e tecnologia stanno penetrando è l’essere umano. La scienza entra, la finanza investe, la tecnologia replica. Il marketing entra, le Big Tech estraggono profitti, l’intelligenza artificiale aumenta il potere. In questo scenario temo che abbiamo già varcato il punto di non ritorno. Ci ibrideremo»9.
E conclude con uno sguardo, duro, ma non oscuro: «non è forse vero che il cambiamento in atto, irreversibilmente in atto, ci ha posti di fronte alle domande di sempre, chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo? Allora domandiamocelo certi che la risposta non sarà data una volta per sempre né dalla nostra intelligenza, né tantomeno da alcuna delle possibili elaborazioni artificiali che replicano la nostra intelligenza, […] siamo consapevoli che cambia tutto […] decidiamo come procedere. I prossimi passi sono importanti»10. Discuterne, nelle nostre comunità e reti, sarebbe già un buon punto di partenza.
Note
1 www.oxfamitalia.org/disuguaglianza-poverta-ingiusta-e-ricchezza-immeritata/
2 S. Chase, Il potere delle parole. Il linguaggio come malattia del pensiero, Bompiani, Milano 1953, p. 317.
3 D. Maldussi, F. Mercadante, Le sirene dell’economia. Come i potenti ci incantano e ci illudono: il potere della parola e la parola del potere, Il Sole 24 ore, Milano 2025, p. XXXI.
4 S. Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, Luiss University Press, Roma 2019, p.325.
5 F. Bernabè, M. Gaggi, Profeti, oligarchi e spie. Democrazia e società nell’era del capitalismo digitale, Feltrinelli, Milano 2023, p. 107.
6 Y. N. Harari, Nexus. Breve storia delle reti di informazioni dall’età della pietra all’IA, Bompiani, Milano 2024, p. 31.
7 Ivi, p. 352.
8 Ibidem.
9 G. Vannini, Più reale del reale. Artificial influencer ovvero il marketing che mangia il mondo, Dario Flaccovio Editore, Palermo 2020, p. 249.
10 Ivi, p. 258.