Diplomazia, pace e democrazia in un mondo in disordine

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Dalla caduta del Muro di Berlino al ritorno della guerra nel cuore dell’Europa, il mondo attraversa una fase di disordine crescente.
La crisi della diplomazia, il logoramento del multilateralismo e le trasformazioni delle democrazie richiedono nuovi paradigmi di convivenza. Costruire “istituzioni di pace” e rilanciare il principio di sussidiarietà diventa oggi condizione per un ordine internazionale più giusto ed efficace.

Il mondo sta vivendo una fase di turbolenza: è ormai una constatazione largamente condivisa dagli analisti e dall’opinione pubblica. Le ragioni sono molteplici, da quelle prettamente politiche, a quelle economiche e sociali, tutte difficilmente decifrabili fino in fondo, perché frutto di un concatenarsi di situazioni che non sono affatto recenti, ma affondano le radici in fenomeni risalenti a molti anni fa. Se le date possono rappresentare degli spartiacque per comprendere tali fenomeni, certamente il 1989 è una di queste. Ciò che si verificò nel novembre di quell’anno – la caduta del Muro di Berlino seguita da una serie di conseguenze rilevanti in diverse regioni del mondo – è un punto di partenza per tentare di comprendere cosa sta accadendo oggi. È diventato consuetudinario ricordare che, allora, non pochi scenari si basavano su prospettive fin troppo rosee riguardo al futuro della democrazia e agli effetti benefici che avrebbe prodotto la globalizzazione. L’11 settembre 2001 – altra data storica –, la crisi economica della fine del decennio e l’avvento dei populisti di varia natura in Europa e negli Stati Uniti sono solo tre dei principali fatti che obiettivamente ci inducono a considerare quell’ottimismo del tutto superato.

A dire il vero, dall’inizio del secolo, una simile consapevolezza si era già diffusa, senza però farvi conseguire un pieno adattamento dei modelli interpretativi per comprendere le trasformazioni in corso. In altri termini, non sono state poche le occasioni nelle quali si è riflettuto sul futuro del sistema globale avendo in mente le categorie del Novecento, o comunque non prendendo atto fino in fondo che il mondo stava effettivamente ridefinendo i suoi contorni. Questa critica non riguarda solo una parte delle comunità epistemiche, ma tocca anche i responsabili e gli operatori delle istituzioni nazionali e soprattutto internazionali. Per esempio, non aver lavorato a cambiare il funzionamento di alcuni meccanismi decisionali è all’origine dello stallo (o del poco efficace funzionamento) di organismi multilaterali che avrebbero potuto avere un ruolo cruciale nel diradare la nebbia delle incertezze di questi anni. A ciò si aggiunga che è in corso un vivace dibattito sulla reale efficacia della diplomazia nel mondo contemporaneo e in particolare sulla crisi dell’Homo Diplomaticus in quanto «figura primordiale della nostra civilizzazione»1. Un sintomo di tale crisi è dovuto al fatto che spesso fatichiamo anche a cogliere quali siano le funzioni della diplomazia, dell’azione multilaterale, del dialogo tra le parti, perché abbiamo smesso di pensare al futuro se non seguendo una visione ammantata di incertezza, che fa prevalere una concezione estremamente pessimistica del nostro domani. Come ha sottolineato Paolo Soave, «il grado di civilizzazione di una comunità internazionale non risiede soltanto nella fermezza con cui essa reagisce alle aggressioni, ma anche nella capacità di continuare a pensare la pace nel momento più buio»2.

 

Ritorno della guerra e vie (istituzionali) per la pace

E, invece, uno degli aspetti più sorprendenti degli ultimissimi anni è legato al ritorno dell’utilizzo della parola «guerra» nel nostro vocabolario quotidiano3. Ci eravamo illusi che il conflitto armato fosse ormai relegato nei libri di storia o che, comunque, appartenesse ad aree geografiche lontane dai nostri sicuri paesi dell’Occidente e, quindi, eravamo solo invitati a continuare a studiarne gli effetti e i modi per contrastarlo, ma da lontano. La realtà si è incaricata di ricordarci che l’imprevisto è dietro l’angolo e che la guerra non è mai scomparsa, perché si manifesta in maniere e forme differenti. Papa Francesco ci aveva avvertito quando ha delineato il contesto globale come caratterizzato da una «guerra mondiale a pezzi». Questa immagine descrive icasticamente un quadro geopolitico differente rispetto al passato e sollecita a leggere le vicende in corso con canoni interpretativi nuovi, favorendo così una presa d’atto del fatto che le interdipendenze globali sono tali anche per gli aspetti negativi della vita dei popoli e delle nazioni. La diretta conseguenza alla quale possiamo giungere è che – soprattutto oggi – la guerra non è più esclusivamente un problema tra due fronti contrapposti, ma coinvolge anche molti altri paesi e attori (istituzionali e non).

Se, dunque, la guerra è tornata in primo piano, come giusta reazione è doveroso concentrarci sulla pace. Non casualmente, incontrando il Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, lo scorso 16 maggio, papa Leone XIV ha individuato proprio nella pace la prima delle tre parole-chiave che costituiscono i pilastri dell’azione missionaria della Chiesa e del lavoro della diplomazia della Santa Sede. In particolare, ha auspicato che venga ridato respiro alla diplomazia multilaterale e a quelle istituzioni «che sono state volute e pensate anzitutto per porre rimedio alle contese che potessero insorgere in seno alla Comunità internazionale». La cronaca quotidiana ci ricorda che solo con una diplomazia multilaterale è possibile trovare una soluzione accettabile per far concludere al più presto i conflitti in corso, e per fare in modo che non ne scoppino altri. Tale constatazione può apparire agli occhi di qualche lettore come un auspicio utopico. Sarebbe effettivamente così se a questa non ne fosse legata strettamente un’altra, che papa Leone XIV sottolinea pochi giorni dopo l’incontro con il Corpo diplomatico, il 30 maggio, nel discorso ai movimenti e associazioni che hanno dato vita all’Arena di pace di Verona. In tale circostanza, tornando sul tema, ha specificato che, per avere la pace, occorre costruire «istituzioni di pace» che non sono solamente le istituzioni politiche, nazionali o internazionali, ma è l’insieme delle istituzioni – educative, economiche e sociali – a essere chiamato in causa.

Questo allargamento di prospettiva è essenziale per non cadere in una vuota retorica. Pertanto, le vie per costruire la pace devono Diplomazia, pace e democrazia in un mondo in disordine

trovare forza in un approccio diplomatico improntato all’azione multilaterale e, allo stesso tempo, in una serie di istituzioni orientate secondo tale indirizzo4. Tutti sono chiamati a fare la loro parte, cominciando dalle classi dirigenti, le quali sono maggiormente coinvolte nelle scelte che segnano i destini dei paesi, evitando il triste rimpallo di responsabilità al quale abbiamo assistito nel recente passato tra élite nazionali, europee e internazionali.

 

Quale posto per le democrazie nel nuovo ordine internazionale?

Tutti gli auspici a pensare la pace e a operare per realizzarla sono effettivamente messi a dura prova dal fatto che il mondo sembra essere fuori controllo. Lo scenario internazionale ci offre i motivi per sostenere una tale conclusione, specie perché se un ordine è ormai tramontato, un altro fatica a nascere5. Come ha osservato recentemente Alessandro Colombo, per fare in modo che l’idea secondo cui il mondo è fuori controllo non si risolva in una vaga formula retorica, essa deve essere presa nel suo significato letterale, pertanto, «un mondo fuori controllo è un mondo nel quale non funzionano più, o funzionano sempre meno, le forme di controllo proprie del sistema internazionale: la distribuzione ineguale del potere, la gerarchia del prestigio, le norme e le regole fondamentali della convivenza»6. Occorre allora trovare il modo attraverso cui quelle forme di controllo così importanti nello strutturare il sistema internazionale degli ultimi decenni tornino a essere attivate. Siamo in mezzo a un guado, perché – come sostiene ancora Colombo – se «la sintesi di mercato, democrazia, diritti umani e ingerenze umanitarie del recente passato non è più condivisa da una buona parte dei paesi in ascesa, non è ancora immaginabile quale altra sintesi – se mai ce ne sarà una – potrà sostituirla»7.

A partire da tale constatazione, si deve avviare una riflessione di ampio respiro dedicata a capire quale debba essere il nuovo ordine internazionale, e in particolare quale ruolo svolgeranno al suo interno le democrazie. Infatti, non possiamo trascurare che le profonde trasformazioni che stanno cambiando i connotati di queste ultime sono in parte la causa del disordine globale; allo stesso tempo, però, è proprio nei momenti di cambiamento che si può provare a strutturare un nuovo sistema di relazioni internazionali più giusto, capace cioè di trovare un diverso equilibrio che garantisca, dal punto di vista sociale, un’equa distribuzione delle risorse e, dal punto di vista politico, un bilanciamento tra partecipazione e rappresentanza8.

Non mancano le indicazioni su come procedere. Rimane centrale il richiamo al paragrafo 57 di Caritas in Veritate dove si ricorda che il principio di sussidiarietà è particolarmente adatto a governare la globalizzazione e «a orientarla verso un vero sviluppo umano». Quando papa Benedetto XVI scriveva questa enciclica, nel 2009, il mondo si trovava a dover affrontare una crisi economica profonda, come si è già ricordato. Le riflessioni che vi erano espresse erano utilissime per quel contesto, e lo sono ancora oggi, perché mettono in guardia dalla creazione di «un pericoloso potere universale di tipo monocratico» e sottolineano come l’autorità alla base della globalizzazione debba essere di tipo sussidiario e poliarchico «sia per non ledere la libertà sia per risultare concretamente efficace». Queste indicazioni non sono state accolte nella loro interezza. Il contesto attuale ci offre dunque una nuova opportunità. È nostro compito coglierla.

Note

1 P. Soave, Se scompare l’Homo Diplomaticus. L’era postclausewitziana, lisandermag. substack.com/p/se-scompare-lhomo-diplomaticus-lera.

2 Ibidem. Per un approfondimento, si vedano anche gli altri interventi contenuti in questo speciale della piattaforma «Lisander» dedicato al ruolo della diplomazia.

3 Cfr. A. Campati, «Guerra» in G. Formigoni, L. Caimi (a cura di), Dizionarietto di politica. Le nuove parole, Scholé, Brescia 2022, pp. 225-234.

4 Per un approfondimento, con riferimento a un lavoro pubblicato ormai più di dieci anni fa ma ancora utile, si veda: F. Felice, A. Campati (a cura di), Se vuoi la pace, costruisci istituzioni di pace. Atti del Colloquio Internazionale di Dottrina sociale della Chiesa, Lateran University Press, Città del Vaticano 2013.

5 Cfr. G. J. Ikenberry, Un mondo sicuro per la democrazia. Internazionalismo liberale e crisi dell’ordine globale, Vita e Pensiero, Milano 2021.

6 A. Colombo, Il suicidio della pace. Perché l’ordine internazionale liberale ha fallito (1989- 2024), Raffaello Cortina, Milano 2025, p. 266.

7 Ivi, p. 265.

8 Cfr. A. Campati, Democrazia: rischio di arretramento e opportunità di partecipazione, in «Dizionario di Dottrina sociale della Chiesa», 1 (2024), pp. 40-49.