Vaccini e tutela della salute

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Nell'elenco dei successi più clamorosi della scienza medica i vaccini occupano senz'altro uno dei primi posti. Il loro merito è di consentire il controllo di malattie che si diffondono con grande rapidità, come quelle infettive, e di tutelare così la popolazione sin dai primi anni di vita. È grazie a un vaccino se il virus del vaiolo è letteralmente scomparso dalla faccia della terra ed è grazie ad altri vaccini se riusciamo a controllare la diffusione di malattie tremende come la poliomielite, la difterite e l'epatite B.
Fino al 1990 la vaccinazione era un trattamento sanitario praticamente obbligatorio perché il certificato di avvenuta vaccinazione era richiesto ai fini dell'iscrizione dei bambini alle scuole primarie. Tale forma di obbligatorietà indiretta cadde quando si giudicò che il diritto all’istruzione avesse assunto un'importanza maggiore della salvaguardia da malattie ormai quasi scomparse alle nostre latitudini e fu da allora che prese piede, lentamente, una sorta di disaffezione generalizzata nei confronti della pratica vaccinale. È significativo il fatto che questo processo di allontanamento si sia verificato contemporaneamente all'affermarsi di un modo nuovo di valorizzare la dignità della persona che, nel caso specifico del rapporto medico - paziente, aveva assunto la forma del cosiddetto 'consenso informato' in forza del quale ogni paziente ha il diritto di essere reso consapevole del trattamento che la propria patologia richiede e di avere la libertà di accettare o meno la conseguente proposta di cura. Si comprende allora perché il consenso verso il trattamento vaccinale sia andato scemando: un vaccino non è un agente terapeutico, come un farmaco, ma uno strumento di profilassi, capace di impedire la diffusione degli agenti patogeni e se nessuno ha dubbi sulla necessità di assumere farmaci per combattere patologie in atto, l'idea di farsi vaccinare per evitare una possibile patologia futura lascia perplessa molta gente È anche per questo che, insieme alla diffusione dei vaccini e alla loro affermazione, sono cresciuti in parallelo movimenti “No Vax” che si dicono contrari a ogni politica di obbligatorietà e seminano dubbi sulla sicurezza ed efficacia di ogni vaccinazione. Oggi le due opposte tendenze sono ben delineate: da un lato quella più liberista che sottolinea l'importanza della libera scelta individuale e dall’altro quella più attenta alla responsabilità sociale che sottolinea il dovere di tutelare anche il prossimo con ogni strumento preventivo a disposizione.
In questo contesto culturale contraddittorio, a fine 2019 è esplosa la pandemia Covid-19, causata da un virus contro cui non esisteva alcun vaccino. Si è dovuto quindi affrontare il problema di metterne a punto uno in gran fretta visto l'alto prezzo di vite che si stava pagando. Ma produrre un vaccino non è una cosa semplice. In condizioni normali è prevista una fase pre-clinica, che richiede un lavoro di almeno sei mesi, e di una successiva fase clinica (con sperimentazioni sull'uomo) che ne richiede almeno il doppio. L'urgenza dettata dalla tragica diffusione dell'epidemia e i progressi della biomedicina hanno spinto ad imboccare nuove e convincenti strade per la riduzione dei tempi di sperimentazione. All'inizio di luglio 2020, a livello mondiale erano 13 i vaccini ammessi alle fasi della sperimentazione clinica e a novembre dello stesso anno ben 10 erano giunti alla fase dell'approvazione finale. Attualmente sono 4 i vaccini adottati in Europa, tutti assai affidabili e con rapporti costi/benefici molto rassicuranti.
Peccato ci sia ancora chi, per non tradire l'ideale No Vax, è disposto ad infettare se stesso e gli altri.