Essere Chiesa sinodale per testimoniare credibilmente il Vangelo

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Giunti alla terza Assemblea sinodale con l’approvazione del Documento di sintesi del cammino sinodale è quanto mai importante interrogarsi sul senso di quanto abbiamo vissuto in questi quattro anni e sull’orientamento di senso che ne è emerso, perché è soltanto in rapporto all’orizzonte di senso in cui il cammino si è andato via via snodando e allo stile maturato lungo la via, che possiamo comprendere le direzioni di impegno tracciate dal Documento di sintesi. Questo testo, ora affidato al discernimento dell’assemblea dei vescovi italiani perché possano scegliere le priorità che devono guidare il lavoro pastorale delle chiese in Italia nei prossimi anni, ha un taglio molto concreto e sono tante le proposte in rapporto ad ambiti specifici di impegno per la comunità ecclesiale, ma è soprattutto la direzione di senso che occorre avere ben chiara per poter assumere le indicazioni in ordine al fare con intelligenza e creatività. La fase attuativa richiede che non si smarrisca l’orizzonte ma si sappiano fare i passi richiesti alle nostre chiese locali custodendo il sogno di Chiesa che ci ha guidati in questi anni. Non si tratta di un elenco di cose da fare, una sorta di prontuario al quale attenersi, ma è un testo vivo che testimonia la ricchezza di un cammino e restituisce quei germogli che lo Spirito ha suscitato nel discernimento vissuto insieme come chiese in Italia, germogli che necessitano di cure per poter dare frutto.

La bellezza è stata la cifra caratterizzante tutto il cammino, frutto di un coinvolgimento quanto mai ampio del popolo di Dio in tutte le sue componenti e di tutte le diocesi d’Italia nella diversità dei nostri territori, delle storie, degli ambienti di vita. Il cammino sinodale ci ha fatto sentire partecipi di una storia comune che stavamo scrivendo insieme, anche con chi normalmente non frequenta le nostre comunità. Un cammino guidato da una sola grande domanda: come essere Chiesa sinodale per testimoniare credibilmente il Vangelo. Domanda non autoreferenziale, dal momento che il Vangelo è per la vita del mondo, così come non autoreferenziale è stato l’intero percorso arrivato nelle carceri, negli ospedali, nelle scuole, nei luoghi della cultura e dell’arte, nei crocevia della vita pubblica, e persino nei mercati.

Umiltà, coraggio, creatività

Padre Sabino Chialà, commentando in apertura della terza Assemblea sinodale il brano di At 15,22-31, ha illustrato gli atteggiamenti che il cammino ha richiesto e che disegnano uno stile da continuare ad avere, da custodire e alimentare in una Chiesa che voglia essere secondo il sogno di Dio: l’umiltà, il coraggio, la creatività.

Prima di tutto l’umiltà, perché per mettersi in cammino bisogna avere la consapevolezza che abbiamo bisogno di cercare, di aprirci all’ascolto e all’incontro, che non siamo tutto e che non abbiamo già tutto. E poi il coraggio che va di pari passo con l’umiltà. Il coraggio dell’inedito, come è stato questo percorso in cui non sapevamo già dove saremmo approdati; e il coraggio di pensare, di fermarsi a riflettere, che è forse il più richiesto da questo tempo attraversato da una martellante propaganda che anestetizza le coscienze, ma che è chiesto anche dalla nostra fede, per imparare insieme a leggere i segni dei tempi da cui lasciarsi interpellare e per scorgere l’azione di Dio nella storia anche quando ci sembra di muoverci nel deserto.

Abbiamo ritrovato lo spazio fecondo della riflessione del discernimento esercitato insieme: rileggere quello che viviamo, andare in profondità, raccogliere gli interrogativi e le attese, lasciarle emergere per poter valutare e scegliere; è stato un discernere per poter orientare il cammino e operare delle scelte che nascano dall’ascolto e dalla capacità di giudizio in ordine a ciò che vale.

La bussola è stata per noi la Parola, lampada ai nostri passi, e la realtà da leggere e da accogliere è stata la vita concreta delle persone e dei luoghi che abitiamo, storie e volti da riconoscere. Abbiamo compreso sempre di più quanto fosse importante allargare i confini, aprire le nostre comunità, acquisire quello stile di prossimità che viene richiamato con forza dal Documento di sintesi come la direttrice di impegno che è sullo sfondo di ogni ulteriore proposta o iniziativa possibile. La Chiesa è popolo di Dio in cammino con tutta l’umanità e deve poter stare sempre di più per le strade, tra la gente. In questo stile di prossimità c’è poi una scelta che indica una preferenza ma anche un criterio secondo cui muoversi: la scelta per i poveri, per i più deboli, coloro che il sistema dominante lascia ai margini, quanti subiscono le disuguaglianze economiche e culturali, ma anche coloro la cui dignità di esseri umani viene negata attraverso il dilagare di relazioni violente e aggressive, il trionfo della volgarità e della superficialità, la guerra di tutti contro tutti presentata come inevitabile. Essere dalla parte dei più deboli vuol dire chiamare per nome i processi di disumanizzazione a cui siamo esposti e porre in atto una resistenza spirituale ed etica nei confronti di tutto quello che mortifica l’umano e ne impedisce la piena fioritura.

Formazione e corresponsabilità

A ciò si lega anche la priorità della formazione, altra direttrice di impegno tracciata dal Documento di sintesi, che spinge a ritrovare la passione educativa, la responsabilità e la bellezza di un’educazione che contribuisca alla formazione delle coscienze per un autentico esercizio di libertà sorretto dalla sapiente ricerca del vero.

Ribadire il compito educativo della Chiesa vuol dire sottolineare la dimensione comunitaria dei percorsi formativi, la forza che viene dall’intergenerazionalità, l’importanza del protagonismo dei giovani e dei ragazzi, non semplici destinatari, la responsabilità degli adulti, a cui non è possibile abdicare, ma anche quella verso gli adulti dal momento che la formazione degli adulti è emersa chiaramente come necessità da assumere.

Le linee di impegno così tracciate convergono verso la grande questione della corresponsabilità, parola chiave nel Documento di sintesi. Nel cammino vissuto in questi anni abbiamo imparato a sentirci pienamente partecipi della Chiesa e della sua missione: corresponsabili nell’annuncio del Vangelo a partire dalla dignità che ci è data nel battesimo e nella diversità delle vocazioni e dei carismi. Così si comprende l’ampia riflessione sui ministeri e le ministerialità, sul contributo che può venire e già viene dalle donne, sulla sinodalità come criterio con cui pensare concretamente la vita delle nostre comunità a tutti i livelli, sui criteri di trasparenza e di partecipazione allargata che devono guidare le decisioni e le scelte.

Parlare di corresponsabilità non vuol dire divisione di compiti, suddivisione di aree di competenza o peggio ancora di potere, ma vivere la reciprocità delle vocazioni e dei carismi nella Chiesa, e nell’annuncio del Vangelo che a essa è affidata; vuol dire pensarsi come comunità e comprendere la propria specifica vocazione, il dono affidato a ciascuno dallo Spirito a partire dal nostro essere comunità sorretti nel discernimento da una comunità che riconosce e accoglie la varietà dei doni e ne rende possibile il mutuo scambio. Un’autentica corresponsabilità è non solo una responsabilità condivisa ma una responsabilità che genera responsabilità, che si allarga a sempre più ampi coinvolgimenti, articolandosi in maniera differente, molteplice, creativa, senza rigidità.

Una simile responsabilità, come sperimentiamo in Azione Cattolica, consente di maturare uno stile, un modo di stare nella realtà, di vivere gli impegni, di affrontare le questioni che si porta poi ovunque si è. Una responsabilità che non rimane chiusa nei confini della comunità ecclesiale ma che si fa responsabilità per il mondo e per la storia comune, tessendo trame di condivisione. In tal senso la sinodalità diventa profezia sociale, testimonianza della possibilità e della fecondità di quella fraternità di cui abbiamo bisogno per costruire un mondo più umano.

Un’ultima parola vale la pena spenderla per sottolineare il valore dell’imperfezione richiamato da padre Chialà nella sua meditazione. Il Documento di sintesi non è perfetto e non vuole esserlo: è la tappa di un cammino che continua. Poteva essere detto forse di più o forse meglio, ma nel riconoscere con umiltà la parzialità di quello che abbiamo compreso si apre la via per sviluppi ulteriori perché altri possano ancora immaginare strade, esperienze attraverso cui continuare a camminare e a sognare.

L’umiltà apre alla creatività, quella che è chiesta alle chiese locali nell’assunzione delle direttrici di impegno e delle proposte emerse dal cammino sinodale, una creatività che va rapportata alla specificità delle storie e dei territori sulle cui ricchezze far leva con coraggio e capacità di visione.

La creatività di cui abbiamo fatto esperienza in questi anni.

Si tratta di lasciarsi condurre dallo Spirito e sorprendere dallo Spirito imparando gli uni dagli altri, ritrovando il senso della fiducia nell’azione di Dio.

Questo Documento ha dentro una carica profetica che potrà emergere solo attraverso la passione con cui sapremo accoglierlo, raccontandone la visione: la passione con cui sapremo narrare la bellezza di essere Chiesa secondo il sogno di Dio.