Disarmare le parole, custodire la verità

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Il discorso di papa Leone XIV ai media segna una svolta profonda: disarmare la comunicazione non significa addomesticarla, ma orientarla alla verità, alla giustizia e alla pace. Un invito coraggioso a narrare il reale con coscienza, responsabilità e carità.

La sfida dell’informazione secondo Leone XIV

È senz’altro giusta l’enfasi posta sul passaggio più netto dell’udienza concessa da papa Leone XIV agli operatori dei media1: quel «disarmare le parole» suona come una profetica “linea editoriale”, tra l’altro in piena continuità con analoghi auspici espressi da Francesco. Tuttavia, sarebbe un errore considerare questo “disarmo” alla stregua di un intiepidimento del lavoro informativo. Ed è lo stesso Leone XIV a far capire, proprio all’inizio del discorso rivolto ai giornalisti, come per lui disarmo coincida con coraggio. Il primo pensiero rivolto ai «giornalisti incarcerati» è infatti estremamente indicativo della postura del nuovo pontefice rispetto al ruolo dell’informazione. Chi paga «per aver cercato di raccontare la verità» è un «testimone», in modo particolare sono testimoni «coloro che raccontano la guerra anche a costo della vita», chi «difende la dignità, la giustizia e il diritto dei popoli a essere informati, perché solo i popoli informati possono fare scelte libere».

Un incipit che rivela un legame solido tra Leone XIV e le prospettive di pace, sviluppo e solidarietà che sgorga dalle democrazie compiute, quelle in cui, per l’appunto, l’informazione, il diritto di cronaca e la libertà di espressione sono pilastri che il potere politico non può e non deve intaccare in nessun modo.

E attenzione, anche il passaggio immediatamente successivo è rivelatore di cosa Leone intenda per “disarmo”. Non un omaggio al politicamente corretto, a forme quasi puritane di offrire contenuti a cittadini, lettori e spettatori. Il Papa ha incontrato i cronisti avendo ben presente le pagine di giornali su retroscena più o meno veritieri e più o meno “scandalosi” sulle dinamiche (presunte) del Conclave, del pre-Conclave e del post-Conclave. Leone XIV non si scompone, sa che fa parte di uno schema che al netto delle estremizzazioni e del gossip fine a se stesso consente di afferrare dinamiche umane e di libertà. «Siete riusciti a narrare la bellezza dell’amore di Cristo che ci unisce tutti e ci fa essere un unico popolo, guidato dal Buon Pastore», dice Leone non con un atto di “perdono” per le esagerazioni, ma perché fortemente convinto che il racconto non debba essere condizionato dalle manie di controllo dell’autorità. Quasi a rafforzare questo concetto, poco dopo il Papa, rivolgendosi agli operatori dell’informazione, dice: «La Chiesa deve accettare la sfida del tempo e, allo stesso modo, non possono esistere una comunicazione e un giornalismo fuori dal tempo e dalla storia». Il controllo dell’autorità su ciò che “viene fuori” da contesti e situazioni è proprio il tentativo di tenere il lavoro informativo fuori dal tempo e dalla storia, staccando anche i cittadini dalla realtà.

Il racconto è il racconto. I fatti sono fatti. Poi ci sono le volontà, le finalità, gli obiettivi. La “linea editoriale”, dunque. Che arriva ad affiancare il racconto, non a sostituirlo o a sovrastarlo. Papa Prevost sembra averla dentro, questa lezione democratica. E lì, sul f ine, si può fare la differenza. «Oggi», dice Leone XIV, «una delle sfide più importanti è quella di promuovere una comunicazione capace di farci uscire dalla “torre di Babele” in cui talvolta ci troviamo, dalla confusione di linguaggi senza amore, spesso ideologici o faziosi. Perciò, il vostro servizio, con le parole che usate e lo stile che adottate, è importante. La comunicazione, infatti, non è solo trasmissione di informazioni, ma è creazione di una cultura, di ambienti umani e digitali che diventino spazi di dialogo e di confronto».

Qui interviene davvero la scelta del giornalista e del media. Scelta che si opera in coscienza. Compreso un fatto, e raccontatolo così com’è, si procede a una lettura, se necessaria e utile per i diritti di cittadinanza. Lettura che può essere di aiuto, persino di conforto, se riduce il caos di Babele, se si àncora ad elementi oggettivi, condivisibili, persino di buon senso, lontano da interessati furori di parte. E capace di governare la macchina, gli algoritmi, i tentativi esterni di indirizzare l’opinione pubblica verso pensieri unici e fissi. La capacità di offrire dunque letture sapienti e d’amore diventa addirittura “missione”, specie nell’era dell’intelligenza artificiale «col suo potenziale immenso, che richiede, però, responsabilità e discernimento per orientare gli strumenti al bene di tutti, così che possano produrre benefici per l’umanità».

È solo al culmine di un ragionamento così profondo e denso che arriva l’invito che ha riempito i titoli dei giornali: «disarmiamo la comunicazione». Già, ma da cosa? Dalla cruda realtà? Dalle fragilità dell’uomo e della Chiesa? Disarmare per edulcorare? No. Disarmare da «pregiudizio, rancore, fanatismo e odio». Disarmare da… non disarmarsi e subire passivamente il pregiudizio, il rancore, il fanatismo, l’odio, l’aggressività.

Questo disarmo diventa dunque un modo per “combattere”, resistere, non cedere, non arrendersi, non gettare la spugna. Lo si può fare, conclude papa Leone XIV, partendo dall’ascolto, ovvero dall’esatto opposto di quanto dimostrano molti cronisti, più ansiosi di dire la loro verità che di estrarla dal cuore vivo della società. Ovvero dalla «voce dei deboli che non hanno voce», mettendo “in prima pagina” «il lavoro silenzioso di tanti per un mondo migliore».

La «comunicazione di pace» disegnata dal nuovo Papa è tutto tranne che arrendevolezza, dunque. È fatta di scelte impopolari. È fatta di sfide, soprattutto alla “cliccomania”. È fatta anche di prezzi da pagare in prima persona, sia come cronisti sia come media che continuamente devono rapportarsi al potere. Lungi da noi pensare che saremo condotti da Prevost a una mera “ripulitura lessicale”. Chi ha così inteso il suo primo incontro con il mondo dell’informazione rischia di andare davvero fuori strada. E chi pensa che la strategia comunicativa della Chiesa lungo il pontificato sia quella dell’addomesticamento trascura un dato: quanto per il nuovo Papa sia centrale l’accesso all’informazione per la promozione umana delle popolazioni più deboli.

La trasformazione è dunque di postura: da una comunicazione di giudizi a una comunicazione di sguardi. «La pace comincia da ognuno di noi: dal modo in cui guardiamo gli altri, ascoltiamo gli altri, parliamo degli altri», dice il Papa tornando ai primi passaggi del suo discorso ai media. Si può fare, se la professione dell’informare viene vissuta senza disumanizzarsi. Senza cedere al cinismo, al sorriso beffardo, a quel “le ho viste tutte, ne ho viste tante” che conduce a non stupirsi più, o a non indignarsi più per niente. Nelle conclusioni della Rerum novarum, Leone XIII ricordava che «la carità è signora e regina di tutte le virtù». Un’informazione che non dimentica la carità, disarma il male e contribuisce alla pace.

Nota

1 Leone XIV, Discorso agli operatori della comunicazione, 12.05.2025.