Sessant’anni fa, papa Giovanni XXIII promulgava la lettera enciclica Pacem in Terris. La denuncia dell’irrazionalità della guerra, l’idea che la pace non sia semplice assenza di conflitti, il ruolo fondamentale delle Nazioni Unite nella cooperazione internazionale e il disarmo sono elementi che ancora oggi risultano di forte attualità.
L’attuale insieme globale degli Stati sovrani non è in grado di conservare la pace, né è in grado di salvare la biosfera dai danni causati dall’uomo.
Arnold Toynbee1
La Pacem in Terris, pubblicata l’11 aprile 1963, fu l’ultima enciclica redatta da san Giovanni XXIII, al quale era stato diagnosticato un cancro nel settembre 1962; il papa morì due mesi dopo il completamento dell’enciclica. «È l’ultima volontà e il testamento di Papa Giovanni», disse il biografo Peter Hebblethwaite2. Tra le tante curiosità della biografia di san Giovanni XXIII sottolineo – a riguardo del tema della pace – che fu l’unico papa ad aver prestato due volte il servizio militare e l’unico ad essere stato capo-missione (Nunzio apostolico della Santa Sede) presso un organo delle Nazioni Unite. Pubblicata il Giovedì Santo del 1963, il papa stesso definì l’enciclica il suo «dono pasquale»3. L’enciclica fu rivolta non solo ai credenti, ma a tutte le persone di buona volontà.
In quel momento della storia c’era nel mondo e in tutti i leader politici e spirituali la grande paura di un’intensificazione del confronto tra Est e Ovest del mondo e tra Nord e Sud. Il muro di Berlino era appena stato costruito e molti avevano capito che le armi nucleari proliferavano e potevano uscire dai loro hangar. La guerra fredda tra Occidente capitalista e Oriente comunista si era trasformata in diverse guerre reali per procura: la crisi nucleare di Cuba raggiunse il suo momento più acuto nell’ottobre 1962 e le rivolte delle antiche colonie avevano creato diversi conflitti in Africa e in Asia, il più grave dei quali nel Vietnam, già agli inizi degli anni Sessanta, vedeva coinvolte Unione Sovietica, Cina, Francia e Stati Uniti. Allo stesso tempo, il segretario generale delle Nazioni Unite Dag Hammarskjold aveva perso la vita insieme a diversi collaboratori mentre mediava il conflitto del Katanga, in Africa. Fu certo l’osservazione delle principali minacce alla pace di quel tempo a orientare il sottotitolo sintetico della Pacem in Terris, «fondata sulla verità, sulla giustizia, sull’amore e sulla libertà». Nel paragrafo più forte, nel testo originale in latino, l’enciclica denunciò con chiarezza che la guerra in epoca moderna è irrazionale, anche se nel testo italiano spuntò un «quasi»4; ma la denuncia rimase radicale, senza avverbio diminutivo, in tutte le altre lingue. Quella visione della guerra come pura follia viene da molto lontano nella storia dell’umanità, mentre in Italia, proprio nel 1963, comparivano i primi obiettori di coscienza cattolici).
La pace non è la privazione della guerra
Abbiamo sentito dire tante volte che la pace non è solo l’assenza di guerra. Il primo riferimento a questo postulato viene attribuito al filosofo Baruch Spinoza (1670): «Uno Stato, i cui sudditi non prendono le armi per paura, è da dirsi piuttosto senza guerra che con pace. Perché la pace non è la privazione della guerra, ma una virtù che nasce dalla forza d’animo»5.
Una visione olistica e universale della pace come bene comune dell’umanità
I cristiani hanno sempre perseguito una visione della pace olistica, universale, multisettoriale e interculturale. Nel primo millennio, la beatitudine evangelica degli operatori di pace, proclamata da Gesù Cristo, ispirò la nonviolenza delle prime comunità cristiane. All’inizio del secondo millennio, san Francesco d’Assisi, nel suo Cantico delle Creature e nella preghiera semplice per la pace, propose il suo manifesto internazionale di pace vissuta. Circa 500 anni fa, la visione di Tommaso Moro di popoli pacifici e felici che vivevano nella pratica il Vangelo della pace si espresse nel suo romanzo Utopia. Nel 1957, il pastore battista Martin Luther King definì la vera pace con queste parole: «La vera pace non è semplicemente assenza di tensione; è la presenza della giustizia. Non vengo a portare una pace negativa, ma vengo a portare una pace positiva. Non vengo a portare questa vecchia pace che è semplicemente assenza di tensione; vengo a portare una pace positiva che è la presenza della giustizia e del Regno di Dio. La pace non è semplicemente l’assenza di qualcosa, ma è la presenza di qualcos’altro»6.
Nel 1968, Martin Luther King fu assassinato, ma le sue visioni sulla pace, in particolare la sua nonviolenza radicale, divennero note in tutto il mondo, cristiano e non. Ma non erano visioni condivise da tutti i cattolici, molti dei quali discettavano di guerra giusta e ingiusta e non ammettevano il disarmo, né l’obiezione di coscienza all’uso delle armi.
La data di concepimento della Pacem in Terris nella mente di papa Giovanni XXII è il 31 ottobre 1962. Dopo aver parlato a braccio della crisi di Cuba all’udienza generale, il papa annotò alcuni pensieri nella sua agenda: «Agnus Dei [...] dona nobis pacem». Secondo la testimonianza riferita dal suo segretario mons. Capovilla, il papa decise quel giorno di scrivere un’enciclica sulla pace per far tesoro dell’esperienza della crisi di Cuba e mettere a frutto le consultazioni e le visioni che erano emerse subito dopo. Forse sollecitato dal papa stesso, mons. Pietro Pavan7, scrisse al papa attraverso il suo segretario per proporgli di scrivere un’enciclica che offrisse la visione cristiana delle vie di costruzione della pace. Pavan si preoccupò di chiedere di non rivelare il contenuto della lettera ad altri prominenti dicasteri del Vaticano, preoccupato evidentemente dalle opposizioni e critiche che la Pacem in Terris avrebbe sollevato in seguito alla sua pubblicazione8.
In mezzo a tanti conflitti gravi e alle diverse visioni sul contributo che i cattolici potevano dare alla loro risoluzione, san Giovanni XXIII promulgò l’enciclica Pacem in Terris, certo che la paura della guerra potesse incoraggiare l’umanità intera a cercare altre vie di risoluzione dei conflitti, puntando soprattutto su una nuova responsabilità fondativa di eliminare le cause della guerra.
Stavano sorgendo nuovi orizzonti di cooperazione globale
Nello stesso periodo, sotto la spinta della decolonizzazione, si erano formati diversi programmi e agenzie delle Nazioni Unite per facilitare e rafforzare la cooperazione internazionale allo sviluppo. San Giovanni XXIII riconobbe l’interdipendenza tra i popoli e la loro collaborazione mutua come il fulcro del futuro assetto del mondo e dei beni pubblici globali, condizioni necessarie per una vera pace duratura: «Le comunità politiche economicamente sviluppate, nel prestare la loro multiforme opera, sono tenute al riconoscimento e al rispetto dei valori morali e delle peculiarità etniche proprie delle comunità in fase di sviluppo economico; come pure ad agire senza propositi di predominio politico; in tal modo portano un contributo prezioso alla formazione di una comunità mondiale nella quale tutti i membri siano soggetti consapevoli dei propri doveri e dei propri diritti, operanti in rapporto di uguaglianza all’attuazione del bene comune universale»9.
Miti e realtà dei costruttori di pace
La più grossa novità della Pacem in Terris fu l’accorato appello del papa a una vera e completa rinuncia alla guerra attraverso negoziati e a un reale disarmo globale, proposte ampiamente articolate nei paragrafi 59-63 dell’enciclica. S. Giovanni XXIII auspicò che le due nuove vie di costruzione della pace, la cooperazione e il disarmo, fossero rese possibili da un salto di qualità dell’efficienza ed efficacia delle Nazioni Unite, il cui operato era stato insufficiente nei suoi primi vent’anni di diplomazia internazionale: «Auspichiamo pertanto che l’Organizzazione delle Nazioni Unite – nelle strutture e nei mezzi – si adegui sempre più alla vastità e nobiltà dei suoi compiti; e che arrivi il giorno nel quale i singoli esseri umani trovino in essa una tutela efficace in ordine ai diritti che scaturiscono immediatamente dalla loro dignità di persone; e che perciò sono diritti universali, inviolabili, inalienabili. Tanto più che i singoli esseri umani, mentre partecipano sempre più attivamente alla vita pubblica delle proprie comunità politiche, mostrano un crescente interessamento alle vicende di tutti i popoli, e avvertono con maggiore consapevolezza di essere membra vive di una comunità mondiale»10.
Se – in un futuro che spero vicino – l’umanità si costituirà in un corpo politico globale, pacifico e inclusivo per le aspirazioni alla felicità di tutti i popoli, Pacem in Terris sarà riconosciuta universalmente come una visione originale davvero rigeneratrice di una nuova era di giustizia.
Note
4 Pacem in Terris, 67: «Quare aetate hac nostra, quae vi atomica gloriatur, alienum est a ratione, bellum iam aptum esse ad violata iura sarcienda» («Per cui riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia») – bit.ly/3BYkstw, ultima consultazione, 29.05.2023.