Dare fondamento alla sinodalità

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L’ultima opera di Giacomo Canobbio sulla teologia del sinodo ha il merito di distinguersi da altra letteratura sul tema per alcuni aspetti peculiari evidenziati dall’autore. Particolarmente interessante si rivela il focus sul sinodo, non solo per dare consistenza alla sinodalità, ma anche per mostrare come proprio l’evoluzione della concezione del sinodo dei vescovi diventi oggi l’occasione per pensare una nuova forma di Chiesa.

Il testo di Giacomo Canobbio (Un nuovo volto per la Chiesa? Teologia del sinodo) si aggiunge alla vasta bibliografia sul tema della sinodalità, ma già il titolo inquadra la questione in un modo non scontato. Anzitutto il sinodo è una realtà ben precisa nel vissuto ecclesiale, che si può descrivere, di cui si può fare la storia e che ha norme e scopi individuabili. Questa concretezza, essenziale per uno studio che possa offrire un reale contributo alla riflessione sulla sinodalità che prende il nome proprio dal sinodo, può tutelare da approssimazioni e strumentalizzazioni. Così inquadrato il tema evita il rischio, denunciato dall’autore, che i fin troppo reiterati riferimenti alla sinodalità diventino un improvvisato ombrello contro la pioggia del cambiamento o della riflessione chiara e informata, in favore, nel primo caso, di una non detta quanto ferma volontà di non cambiare niente e, nel secondo, di uno stravolgimento non pensato di ciò che esiste. Per evitare quanto appena paventato, questo volume offre un cammino chiaro e convincente, sostenuto da un apparato critico ricco e puntuale.

Il primo passo del volume è affrontare il significato del termine sinodo, indicato non primariamente in quello ovunque ripetuto di camminare insieme, ma in quello di varcare la stessa soglia, cioè di riunirsi per decidere. Proprio questo significato evita l’evanescenza gattopardesca della retorica sinodale: la sinodalità ecclesiale, come il sinodo, ha a che fare con una decisione da prendere, non con un vago ascoltarsi. D’altra parte – sottolinea Canobbio – fare riferimento all’atto di camminare, come nel significato più diffuso, ci aiuta a mettere in luce meglio come il percorso della decisione sia dinamico. Ora, chiariti i significati di sinodo, si passa alla sinodalità, intesa come dimensione fondamentale, seppure per lungo tempo dimenticata, della Chiesa. Il capitolo si chiude con una domanda che spinge a passare subito al secondo: come è accaduta questa dimenticanza?

Per rispondere, Canobbio parte dal processo di riscoperta della sinodalità, a lungo sommersa da una visione di Chiesa in cui il principio d’autorità e l’evoluzione del papato avevano portato a pensare che si potesse fare a meno persino di convocare un Concilio (termine che va considerato a tutti gli effetti, almeno nell’origine storica e nel suo significato fondamentale, sinonimo di sinodo). Come allora con una tale idea di Chiesa è riaffiorata la consapevolezza dell’indole sinodale? Per rispondere Canobbio passa al rinnovamento del primo Novecento che, come sappiamo, si nutre della rivitalizzazione degli studi biblici e patristici, nonché della vivacità del movimento ecumenico e liturgico, ma risale anche più indietro fino a Newman, Möhler e Rosmini, mettendo bene in evidenza il contributo di ciascuno in ordine al processo in oggetto. Non basta indicare però coloro che hanno contribuito al riaffioramento della sinodalità nella coscienza ecclesiale, occorre indagarne il percorso carsico concentrandosi sulla sorte dell’asserto “ciò che riguarda tutti deve essere deciso da tutti” e ritornando a mettere in luce, lungo la storia ecclesiale, il sorprendente accentramento pontificio.

Solo adesso, ci si può dedicare all’ultimo Concilio che, se non si occupa della sinodalità, è senza dubbio il responsabile primo del suo riaffiorare. Il Vaticano II infatti è determinante in ordine alla consapevolezza della partecipazione dei credenti alla responsabilità e alla missione della Chiesa. E tenendo ben fermo questo tema, il volume si dedica a una disamina magistrale dell’ecclesiologia conciliare, toccando questioni specifiche quando necessario e allo stesso tempo offrendo un quadro generale e completo del perché e del come il Vaticano II abbia favorito la partecipazione di tutti i fedeli alla missione. Da qui nascono tutti gli istituti ecclesiali partecipativi e, se anche è vero che viene ribadita la struttura clericale perché il collegio dei vescovi e il presbiterio hanno un rilievo diverso rispetto ai consigli laicali, si apre comunque alla multiformità delle partecipazioni, determinate non da un principio teologico a priori, ma dalla missione della Chiesa: questa apertura è la porta d’ingresso da cui possono passare altre forme di partecipazione e altri istituti ecclesiali.

Seguono ora due capitoli essenziali per comprendere il post-Concilio e l’attuale dibattito ecclesiale, perché uno (il terzo del volume) si dedica al sinodo dei vescovi e l’altro (il quarto) all’insegnamento di papa Francesco. Ci si ferma in particolare sul sinodo dei vescovi, che Paolo VI aveva voluto come attuazione della collegialità episcopale, intendendolo come consiglio permanente del papa. Il sinodo porta Canobbio alla domanda su quale collegialità episcopale si esprima in esso: è solo rappresentativo della collegialità episcopale o ne è espressione effettiva? Perché in questo secondo caso sarebbe facile arrivare a un suo ruolo deliberativo e non meramente consultivo. Il capitolo si fa tecnico sotto il profilo ecclesiologico e porta un reale progresso nel dibattito: si apre alla questione della rappresentanza della Chiesa, mettendo in evidenza come il rapporto fra papa ed episcopato sia stato stretto così tanto da arrivare a pensare i vescovi non come rappresentanti delle proprie chiese, ma aiutanti del papa. D’altra parte è stata proprio l’antica dottrina del sinodo come repraesentatio concordiae ecclesiae, non più utilizzata da secoli, e lontana dalla mens dell’istituzione del sinodo dei vescovi da parte di Paolo VI, ad aprire il processo che ci ha portato, con papa Francesco, a recuperare la consapevolezza dell’indole sinodale. A questo punto il volume si dedica al magistero di papa Francesco, analizzando contenuti e radici dell’intero discorso pontificio. Altre pubblicazioni si sono fermate su questi temi, ma di particolare interesse in questo caso è la sottolineatura del percorso relativo al sinodo dei vescovi, divenuto espressione della sinodalità della Chiesa intera. Questa evoluzione porta a compimento l’insegnamento conciliare sulla partecipazione di tutti i credenti alla missione e alla vita della Chiesa, ma apre un dibattito, la cui oscillazione è ben resa dal modo di procedere del capitolo, sotto il profilo istituzionale, temendo la perdita della centralità del vissuto ecclesiale se ci si dovesse concentrare eccessivamente sui sinodi. D’altra parte il papa non vuole certo questo, quanto proporre uno stile di Chiesa. E proprio questa proposta realizza una nuova recezione del Concilio che dà spazio a una nuova forma di Chiesa.

A questo punto resta da chiedersi come attuare la sinodalità nella Chiesa, cercando di indagare il rapporto fra identità della Chiesa e sinodalità. Difficile fondare una prassi sinodale oggi – nota giustamente Canobbio – sulla prassi della Chiesa antica o su sporadici brani biblici. Decisamente più fruttuoso è trovare nella Scrittura la visione di una Chiesa costituita di membra vive e partecipi. Solo il riconoscimento di tutte le membra, infatti, apre alla prassi sinodale. Il riferimento alla Chiesa antica, poi, può essere proficuo proprio per lo strutturarsi di una rete di Chiese in reciproca relazione, ancora oggi visibile, anche se diversamente, nell’esperienza della Chiesa ortodossa. Proprio il dialogo con questa Chiesa è stato di grande aiuto per la riscoperta della sinodalità, come lo è il cammino ecumenico in genere, preso ora in considerazione dall’autore. La chiusura del capitolo è dedicata alla ricerca di un fondamento teologico per la sinodalità ed escluse alcune piste (dall’estremizzazione analogica, se si prende la Trinità, alla retorica, se si sceglie l’Eucaristia), Canobbio ritorna al dato biblico fondamentale: la base più solida della sinodalità è la Chiesa costituita di membra vive.

Il volume si chiude con un epilogo nel quale, alla luce di quanto chiarito ed esposto fin qui, si delinea nettamente una figura di Chiesa in cui lo Spirito abita tutti, nella quale tutti sono attivi e chiamati a far parte del processo decisionale. Questa figura di Chiesa ha bisogno però di strutture che ancora non ci sono, cioè di una riforma. Le ultime parole – significativamente – sono per la condizione delle donne nella Chiesa, così attive e così drammaticamente ai margini. Una Chiesa in cui la sinodalità non voglia essere solo retorica non può fare a meno di farci i conti, presto e bene.

IL LIBRO

G. Canobbio, Un nuovo volto per la Chiesa? Teologia del sinodo, Morcelliana, Brescia 2023.