...Trame di pace

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Con l’incontro di riflessione e di spiritualità “Mediterraneo, frontiera di pace” le Chiese che si affacciano sul mare nostrum hanno intrapreso il cammino indicato da Francesco: ricostruire i legami che sono stati interrotti, infondere speranza a chi l’ha perduta e guardare «questo, che è già diventato cimitero, come un luogo di futura risurrezione di tutta l’area».

I presidenti e alcuni rappresentanti delle conferenze episcopali e i capi delle Chiese cattoliche orientali dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, su proposta della Conferenza episcopale italiana, si sono incontrati il 19-23 febbraio 2020 a Bari per un dialogo fraterno e per guardare insieme alle gioie e alle fatiche che vivono i popoli del nostro «grande lago di Tiberiade».
Con la sua visita il Santo Padre ha sigillato il valore dell’incontro: «Questa è una prima volta di tutti i vescovi che si affacciano sul Mediterraneo. Credo che potremmo chiamare Bari la capitale dell’unità, dell’unità della Chiesa […]. Quando, a suo tempo, il cardinale Bassetti mi presentò l’iniziativa, la accolsi subito con gioia, intravedendo in essa la possibilità di avviare un processo di ascolto e di confronto, con cui contribuire all’edificazione della pace in questa zona cruciale del mondo». Un valore storico, pertanto, che si colora di molteplici risvolti e potenziali ripercussioni: in ambito ecumenico e interreligioso, in ambito socio-culturale ed economico-politico. Ma l’incontro è stato di natura prettamente pastorale, vero dialogo fraterno in un esercizio di collegialità episcopale.

La trasmissione della fede
La prima tematica su cui si sono soffermati i presuli riguarda la trasmissione della fede. I luoghi tradizionali di essa incontrano difficoltà dovute sia alla secolarizzazione, sia alla migrazione dei cristiani verso altre terre, sia ai cambiamenti sociali e demografici. Ad esempio, essendo la famiglia il primo luogo della trasmissione, per la crisi nella quale essa versa nei paesi occidentali o per lo sradicamento dalle proprie terre, cui è costretta in paesi afflitti da guerra o da tremende crisi economiche, essa non riesce a svolgere questa vitale funzione di trasmissione sia della fede sia dei valori che spesso con essa si accompagnano. I vescovi, nondimeno, ritengono necessario sostenerla e accompagnarla fin dal suo formarsi, nella nuova condizione culturale che si delinea, in quanto la riconoscono come protagonista nell’evangelizzazione, nell’iniziazione cristiana dei figli e nella fedeltà alla loro vocazione.
Tenendo conto che le comunità cattoliche spesso sono una piccola minoranza nei paesi rivieraschi, l’annuncio del Vangelo non può che passare dalla testimonianza e dalla condivisione della vita personale e comunitaria. L’annuncio, infatti, passa attraverso l’esperienza e aiuta a leggere l’esperienza, quella propria di ciascuno e quella condivisa. In modo particolare i giovani con il loro coraggio, la loro freschezza e il loro entusiasmo, sono i veri protagonisti dell’evangelizzazione e del futuro dei nostri Paesi; sono quelli che possono rinnovare i linguaggi della trasmissione della fede alla luce dei segni dei tempi.

Il rapporto delle comunità ecclesiali con gli Stati e le società
La seconda tematica ha approfondito il rapporto delle comunità ecclesiali con gli Stati e le società nelle quali esse vivono, nel contesto di una nuova rilevanza che il Mediterraneo acquisisce nelle dinamiche del mondo globale. Questo rinnovato interesse soprattutto delle potenze mondiali verso il Mare nostrum riporta a vivo le ferite che segnano questi popoli, marcando la loro distanza. Se il Mediterraneo ha mostrato al mondo la sua ricchezza per non aver fatto esplodere la sua naturale pluralità, oggi le tensioni tra le sue diversità crescono, creando separazioni e contrapposizioni. Guardando al Buon Samaritano del Vangelo, i delegati di Bari hanno riaffermato la volontà di farsi prossimi alle sanguinanti ferite dei popoli mediterranei: guerre, stermini, deportazioni, espulsioni di popolazioni, spesso differenti misure di pulizia etnica che dal secolo scorso mirano a scompaginare il quadro di convivenza secolare in questo bacino. Compito della Chiesa di Cristo è una testimonianza coraggiosa alla verità, la denuncia profetica, l’educazione a una cultura della fraternità e della pace, aiutando a vincere la paura e l’odio presenti sulle sue sponde (Nord, Sud, Est, Ovest). In tale compito la Chiesa parla a tutti, rivolgendosi in modo speciale all’opinione pubblica e ai governanti, aiutando e accompagnando i protagonisti ad alzare la voce per richiamare al rispetto del diritto umanitario nelle situazioni di conflitto e delle norme internazionali in ogni circostanza.
In modo particolare, la presenza dei cristiani in Medio Oriente ha un grande significato ecclesiale, spirituale e sociale, in quanto appartengono a Chiese di origine apostolica. Eppure la loro sopravvivenza è oggi messa a rischio dalle condizioni di ingiustizia e di precarietà che spingono persone e intere famiglie a partire, impoverendo le comunità ecclesiali. La preoccupazione per questo fenomeno è grande ed esso va considerato a tutti i livelli.

Il «mare del meticciato», delle relazioni e interazioni
Non si può dimenticare, d’altronde, che il Mediterraneo non ha perso il carattere peculiare di bacino di relazioni e interazioni, anche conflittuali; «è il mare del meticciato», ripete il Papa facendo eco a La Pira. Infatti le dinamiche globali hanno avviato tra XX e XXI secolo processi generatori di nuove forme di convivenza, come quelle provocate dai movimenti migratori, sia nei paesi della sponda nord che in quelli della sponda sud. Papa Francesco ha sottolineato che «proprio in virtù della sua conformazione, questo mare obbliga i popoli e le culture che vi si affacciano a una costante prossimità, invitandoli a fare memoria di ciò che li accomuna e a rammentare che solo vivendo nella concordia possono godere delle opportunità che questa regione offre dal punto di vista delle risorse, della bellezza del territorio, delle varie tradizioni umane». Perciò, «ai nostri giorni l’importanza di tale area non è diminuita in seguito alle dinamiche determinate dalla globalizzazione; al contrario, quest’ultima ha accentuato il ruolo del Mediterraneo, quale crocevia di interessi e vicende significative dal punto di vista sociale, politico, religioso ed economico. Il Mediterraneo rimane una zona strategica, il cui equilibrio riflette i suoi effetti anche sulle altre parti del mondo».
Insistere su un carattere peculiare del Mediterraneo significa dar voce a una visione unitaria del destino delle genti che lo popolano che, per i pastori, implica discernere la vocazione di questo mare, il legame tra il piano divino rivelato in Cristo e il cammino di questi popoli. A monte di ogni analisi delle problematiche e delle crisi che investono quest’area, i pastori hanno il dovere di indicare come la strada nella quale il Mediterraneo è immesso sia connessa con il piano divino di salvezza in Cristo, quanto se ne allontani e dove Dio vuole che si indirizzino i passi dei cristiani per rimanere fedeli a lui, Signore della storia.
Significative, in proposito, le parole di La Pira a Pio XII del maggio 1958: «Vi dico subito, Beatissimo Padre, qual è la “intuizione” che da qualche tempo fiorisce sempre più chiaramente nella mia anima. Questa: il Mediterraneo è “il lago di Tiberiade” del nuovo universo delle nazioni: le nazioni che sono nelle rive di questo lago sono nazioni adoratrici del Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe; del Dio vero e vivo. Queste nazioni, col lago che esse circondano, costituiscono l’asse religioso e civile attorno a cui deve gravitare questo nuovo Cosmo delle nazioni: da Oriente e da Occidente si viene qui: questo è il Giordano misterioso nel quale il re siro (e tutti i “re” della terra) devono lavarsi per mondarsi della loro lebbra (2Re 5,10)».
Credo che l’intuizione del sindaco fiorentino apra ancor oggi davanti a noi il percorso da compiere. Qual è il senso del nascere e fiorire in questo bacino delle tre religioni che si autoproclamano rivelate e di valore universale? Occorre vedere in questa luce teologica i singoli problemi che ci attanagliano, consapevoli che «proprio nel nostro tempo – nel tempo, cioè, nel quale sembrava che fosse per sempre “caduta in crisi” la presenza di Dio nella storia del mondo – questa presenza misteriosa appare ogni giorno di più la “dominante” che dà finalità e struttura al movimento intero della storia».

L’altro per conoscere se stessi
L’esperienza del meticciato dei decenni successivi a La Pira ha spinto la riflessione sull’unità nella diversità verso l’approfondimento dell’identità medesima: questa non è acquisita una volta per tutte o fissata in un empireo dal quale riattingerla ma, immessa in un processo storico, è soggetta all’interazione con la di versità e la differenza, anzi si lega strettamente al “esser altro da”, all’alterità, fino a individuare quest’ultima quale suo coprincipio.
Di conseguenza si riconosce necessario l’altro per conoscere se stessi. Ciò è premessa indispensabile per riscoprire la fraternità e costruire la pace, tramite dialoghi da instaurare e convivialità da sperimentare. Mi sembra che vi abbia alluso il Pontefice, quando nell’ampia visuale, anche di un dialogo interreligioso, ha dichiarato che «c’è bisogno di elaborare una teologia dell’accoglienza e del dialogo, che reinterpreti e riproponga l’insegnamento biblico. Può essere elaborata solo se ci si sforza in ogni modo di fare il primo passo e non si escludono i semi di verità di cui anche gli altri sono depositari. In questo modo, il confronto tra i contenuti delle diverse fedi potrà riguardare non solo le verità credute, ma temi specifici, che diventano punti qualificanti di tutta la dottrina».
Indubbiamente, se le Chiese del Mediterraneo intraprendono il cammino intravisto a Bari, potranno anche determinare delle ripercussioni positive sugli operatori di decisioni, sia politiche sia economiche, a vantaggio dei poveri. Esse nondimeno sanno che sostenere la prova è condizione che accompagna l’intero cammino dei discepoli del Maestro di Nazaret, crocifisso e risorto. Il loro impegno perseverante per la pace e la fraternità non si fonda in altro che nella potenza della risurrezione di Gesù il Cristo, come in chiusura di discorso il Papa ha ribadito, benedicendo l’opera dei pastori riuniti in quel consesso: «Ecco l’opera che il Signore vi affida per questa amata area del Mediterraneo: ricostruire i legami che sono stati interrotti, rialzare le città distrutte dalla violenza, far fiorire un giardino laddove oggi ci sono terreni riarsi, infondere speranza a chi l’ha perduta ed esortare chi è chiuso in sé stesso a non temere il fratello. E guardare questo, che è già diventato cimitero, come un luogo di futura risurrezione di tutta l’area. Il Signore accompagni i vostri passi e benedica la vostra opera di riconciliazione e di pace».