Farsi Dio

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La domanda cruciale è: chi sono, che cosa posso essere? Dentro la storia, rispetto alle cose, nel rapporto con gli altri, nella profondità di me stesso. Questo Dossier vuole essere un aiuto e una provocazione a pensare il clima culturale in cui siamo immersi, a partire da questa istanza e dalla risposta in merito alle possibilità dell’umano. Delirio di onnipotenza o tensione all’infinito?

“Farsi Dio” o “diventare Dio” sono la stessa cosa? Quando abbiamo immaginato questo Dossier, siamo stati a lungo a discutere sul titolo e sulla differenza, non semplicemente di termini ma di prospettiva, presente nelle due diverse formulazioni. Ma altre questioni accompagnano queste formule in rapporto al tempo presente: c’è veramente un’aspirazione ad elevarsi, a toccare il cielo, Dio è ancora il termine della ricerca che attraversa l’esistenza degli uomini o non è forse semplicemente in gioco la realizzazione dell’uomo, la sua affermazione incondizionata, per cui dell’uomo e non di Dio si tratta, e di un uomo che di Dio non ha più nessuna nostalgia?

Siano messe in campo semplici sfumature di senso o raffinate questioni teoretiche, il dato di fatto con il quale facciamo i conti ogni giorno, l’aria che respiriamo, sono tutte dentro il gioco di significato che unisce queste due formule.

Non c’è dubbio che più cresce il disorientamento e l’incertezza rispetto al futuro, più le identità si compattano e che quando la precarietà investe ogni angolo, anche il più segreto del nostro vivere, più forte è la ricerca di assoluti a cui aggrapparsi. E non importa se sia la fede, la dieta, il fitness o la tecnologia più avanzata. Quello che conta è che conferisca stabilità, certezza, che dia il senso di un rinnovato potere sulla realtà, sulle cose, ma soprattutto su noi stessi. Perché in fondo in fondo, come Kierkegaard ha splendidamente intuito, non si dispera mai semplicemente di qualcosa ma sempre ed essenzialmente di se stessi. E non si ricerca semplicemente qualcosa ma sempre ed essenzialmente se stessi.

Eccolo infine il cuore del problema: chi sono, che cosa posso essere. Dentro la storia, rispetto alle cose, nel rapporto con gli altri, ma soprattutto nell’intimo più intimo a me di me stesso, là dove l’infinito e il finito si toccano.

Questo Dossier vuole essere un aiuto e una provocazione a pensare il clima culturale in cui siamo immersi a partire da questa istanza e dalla risposta che rimbalza a differenti livelli in ordine alle possibilità dell’umano. Delirio di onnipotenza o tensione all’infinito, le nostre vite sono attraversate dal desiderio di superare il già dato, di oltrepassare il limite, anche quello estremo della morte; e in ogni caso quello che il tempo porta con sé: il limite che è nel consumarsi, l’esaurirsi, il passare. Per quanto assurdo possa sembrare, l’epoca in cui tutto cambia aspira a trattenere il tempo, a fermarlo. È quanto emerge dall’interessante forum che apre il nostro Dossier con gli interventi di Adriano Fabris, Veronica Neri, Luca Grion.

Nel trionfo della frammentarietà e della differenza si ricercano nuove rassicuranti totalità, orizzonti che possano inglobare riducendo la complessità. Così è per la tecnica che diventa ciò a partire da cui non solo gestire, ma pensare la realtà nel suo insieme, incluso quel che noi siamo. Ed è «il potere di potere», «il cambiamento per il cambiamento a prevalere», come acutamente osserva nel suo contributo Mauro Magatti.

Il tema della conoscenza diventa in tal senso assolutamente centrale. E questo quanto più cresce l’incertezza sull’uomo che è sempre più enigma a se stesso – si veda il bel testo di Donatella Pagliacci. Ma è la conoscenza come tecnica appunto, strategia di controllo e di gestione, strumento di dominio piuttosto che percorso di scoperta in cui l’interiorità si plasma e si affina. Una conoscenza che diventa di per sé e da se stessa principio di salvezza. Ci si salva dalla precarietà e dal rischio di perdersi solo attraverso la conoscenza: è questa l’idea dominante. Una conoscenza destinata a crescere su se stessa fino a produrre da sé il reale, piuttosto che aiutare ad immergersi in esso scoprendone il fondamento e l’orientamento profondo. La tentazione gnostica si riaffaccia prepotentemente. E ciò anche all’interno della religiosità contemporanea, in seno alla rinnovata ricerca del sacro. È la perdita di contatto con la densità e il peso della realtà o il desiderio di lasciarsela alle spalle che conduce a immaginare una conoscenza che consenta di ridisegnare il tutto e di determinarlo in maniera assoluta. Nulla a che vedere con quella che Lorizio significativamente chiama la gnosi autentica, la gnosi dei “piccoli” e dei semplici, di chi non insegue sogni di onnipotenza: una conoscenza donata e amante che ha il sapore della gratitudine e della assunzione di responsabilità. Nessuna condanna, nessun sospetto nei confronti del sapere come tale, quanto piuttosto la domanda sul senso che la conoscenza assume e sulle radici che essa riconosce come proprie. È l’antica questione che già la Bibbia si pone nel racconto del peccato originale e che in maniera puntuale viene qui analizzata da Rosanna Virgili.

“Fuoco, acqua, luce” è la vita di Dio in noi, la partecipazione per grazia alla pienezza dell’essere, di cui parlano i Padri e che essi non temono di chiamare “divinizzazione”. Diventare Dio, nella riflessione dei Padri greci riproposta con intensità da Piero Pisarra, non è lo slancio prometeico di chi vuole affrancarsi dai limiti della condizione umana, ma lo svelarsi della bellezza originaria che è in noi, che siamo a immagine di Dio, e che sarà pienamente manifestata quando ogni cosa sarà trasfigurata e unificata in Dio.

Diventare Dio è dunque ciò per cui siamo, il senso profondo del nostro essere che in Dio ha il suo respiro. Ed è da qui che viene il desiderio di infinito che ci portiamo dentro, il desiderio di quello che Capograssi definiva «infinito intensivo», un desiderio che ci fa però assumere fino in fondo la concretezza del finito. Farsi Dio è invece la pretesa, sempre ritornante, di prescindere dal finito, nel momento stesso in cui lo si esalta, di fare di noi stessi un assoluto: sciolto da ogni vincolo, sottratto ad ogni dipendenza.

È nel gioco di questi significati che la nostra vita si costruisce ed è nella densità di questo intreccio che, con quanti vorranno seguirci, continueremo a inoltrarci, come già in questo, nei Dossier dei prossimi numeri.