Il potere della comunicazione

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Il complesso quadro nel quale si dispiega e avviene l’agire comunicativo oggi.
L’infinita possibilità di contatti che possiamo stabilire, ci facilita negli scambi e aumenta il numero delle nostre conoscenze, ma nel contempo ci allontana dalla densità della nostra vita reale. Tutti condizionati e connessi in un sistema di informazioni e relazioni che in realtà ci isolano.
 
 

Papa Francesco, nel suo Messaggio alla 53ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, coglie bene un tratto caratteristico e peculiare del nostro tempo, quando ci avverte che «l’ambiente mediale oggi è talmente pervasivo da essere ormai indistinguibile dalla sfera del vivere quotidiano».

Siamo, infatti, tutti condizionati e connessi in un sistema di informazioni e relazioni che, amplificando in modo esponenziale il nostro narcisismo, ci illudono di essere connessi gli uni gli altri, quando in realtà ci isolano, impedendoci di vivere in modo sano la vasta gamma delle relazioni affettive che hanno bisogno, oltre che di parole, anche della tenerezza di uno sguardo e della delicatezza di una carezza.

Il complesso quadro nel quale si dispiega e avviene l’agire comunicativo costituisce, dunque, il tema di fondo che accompagna i saggi del Dossier del presente numero, nella condivisa consapevolezza che il presente che stiamo vivendo è quanto mai complesso e articolato. L’infinita possibilità di contatti che possiamo stabilire in tempo reale con persone sparse nell’intero globo terrestre, ci facilita negli scambi e aumenta il numero delle nostre conoscenze, un tempo accessibili solo ai pochi, ma nel contempo ci allontana dalla densità della nostra vita reale, fatta di incontri e della continua ricerca di mediazioni con l’altro per permettergli di essere se stesso, di riconoscerlo nella sua identità e dignità e di renderlo sempre più prossimo e sempre meno estraneo.

Uno dei miti con i quali il sistema comunicativo cerca di imporsi come modello positivo eparadigmatico, quasi un sinonimo dell’efficienza, finora mai raggiunta, è il mito della trasparenza che, come avverte Carla Danani, si presenta come la condizione di possibilità di una sincerità sempre cercata, rivendicata, esibita quale criterio per ogni relazione che conta, specie quando si tratta dell’ambito politico. Come osserva Danani, il vero problema è che, invocando la trasparenza, ci si dimentica di considerare che questa può anche diventare «strumento di controllo e sorveglianza», alimentando così, di fatto, una cultura del sospetto e della sfiducia, delle quali siamo ormai tutti orwellianamente prigio­nieri. Il fatto è, osserva con puntualità l’autrice, che dovremmo guardare a costruire qualcosa che vada oltre la stessa trasparenza e cioè una dimensione autenticamente comune e condivisa, nella certezza che «la costruzione del “pubblico” è molto più esigente rispetto alla sola trasparenza».

La comunicazione si rivela il cuore della relazione interpersonale e istituzionale, specialmente nell’era digitale, contrassegnata, come rilevano anche Fabio Bordignon e Luigi Ceccarini, dal processo di disintermediazione. Questa permette ai cittadini di essere a più diretto contatto con la sfera pubblica, creando una serie di altri intermediari che, in realtà, guidano e orientano i flussi e i consensi in una direzione piuttosto che in un’altra, da un lato scompaginando la vecchia mediazione e, dall’altro, ricompaginandola attorno ad altri attori, sempre più presenti e, forse, sempre meno competenti: gli influencer. Tutto ciò, come osservano ancora Bordignon e Ceccarini, incide in modo sempre più significativo anche sulle scelte e decisioni a livello politi­co. Da qui, con grande lucidità, gli autori ricostruiscono i mec­canismi connessi alla filter bubble nella quale siamo tutti, volenti o nolenti, inseriti. Il potere manipolatorio della comunicazione

non è certo un’invenzione recente, ma la facilità d’accesso ai dati e la vastità delle informazioni che possono essere utilizzate definiscono in modo sempre più stringente i compiti e le respon­sabilità dei cittadini, chiamati, oggi più di ieri, ad essere attori consapevoli e non spettatori inermi o navigatori senza bussola nel mare delle reti digitali.

Un ancoraggio solido è costituito dal valore della parola, come ben sottolineato dal saggio di Marco Rizzi. In questo senso si può, come mostra l’autore, per un verso fare i conti con il potere manipolatorio della parola e, per l’altro, rivendicarne il valore psicagogico. La lezione di Schumpeter, argutamente ripercorsa lungo tutto il saggio da Rizzi, trova nell’efficacia performativa della parola il punto di massimo interesse per il nostro lavoro. Da qui è rilevante anche osservare come la parola sia stata intesa e utilizzata certamente quale strumento di potere, ma essa è altresì fecondamente correlata anche ad una dimensione più edificante che ha a che fare con la possibilità, costruita sul dialogo, di creare un’autentica comunione. In particolare poi, avverte Rizzi, «nella tradizione ecclesiale, razionalità ed emozione, insegnamento e pathos si sono sempre uniti nella parola predicata, per una psicagogia consapevolmente assunta e vissuta tanto da chi proferiva la parola, quanto da chi la riceveva».

Nel quadro così delineato, i giovani risultano essere i veri protagonisti e i principali obbiettivi di chi gestisce il sistema comunicativo. L’impegno di comprendere le trappole e le possibilità della Rete risalta nella proposta di Mario Morcellini che, in modo efficace, ricostruisce la genesi e lo sviluppo della comunicazione, compresa la sua stessa rinuncia a valere, orientare e «funzionare da accompagnamento ed ammortizzazione dei processi di cambiamento», come dimostrerebbe lo stesso aumento dei toni dei decibel dell’informazione e, possiamo aggiungere, di molti di­battiti televisivi. Il tempo nel quale stiamo vivendo è un tempo avvelenato e, per molti versi, viziato da una serie di profondi mutamenti da cui dipendono, sottolinea ancora Morcellini, una serie di processi senza ritorno, come nel caso dello «svuotamento progressivo di quelle forme di mediazioni sociali», le cui prime vittime sono proprio i giovani. Il loro bisogno comunicativo, di condivisione e di partecipazione, viene spesso soddisfatto fino al limite estremo, che la massima connessione coincide con il massimo isolamento. Perdono, in tal modo, progressivamente di significato le stesse istituzioni, vissute dai più con sospetto, nella sempre più diffusa convinzione che la partecipazione si possa esprimere nascondendosi dietro uno schermo e premendo un pulsante della propria tastiera.

Un utile ed essenziale glossario ricostruito puntualmente da Nicoletta Vittadini ci orienta sulla complessa significazione dei termini in uso nel mondo dei social. Dall’uso dell’Algoritmo nella funzione comunicativa, alla sempre più soffocante Bubble, che ci imprigiona in un mondo nel quale ci illudiamo di essere liberi; dalla Credibilità, che innesta un meccanismo fiduciale sempre più complesso e distante dagli autentici riferimenti affettivi di un tempo, alla Misinformation, da cui dipende la credulità collettiva che trova nelle fake news il suo fenomeno più inquietante. In ultimo, tanto l’Effetto a cascata, che influenza l’orientarsi dell’opinione pubblica, quanto l’Omofilia delle reti con la quale si intende il fenomeno per il quale ci avviciniamo sempre a ciò che ci è più simile, ci confermano il carattere pervasivo e potere di manipolazione della Rete.