Tra libertà e disciplina

di 

Partendo da recenti gravi fatti avvenuti nella scuola italiana, che hanno colpito l’opinione pubblica e suscitato preoccupazioni, l’autore propone alcuni elementi per una più corretta lettura della realtà scolastica, utili per un nuovo investimento di energie e di speranze nella formazione delle giovani generazioni.

Negli ultimi mesi si sono accavallate notizie, spesso veicolate ed ingigantite dai media vecchi e nuovi, provenienti dal mondo della scuola e tutte piuttosto impressionanti: si va dalle aggressioni di genitori ai danni di docenti per presunti torti subiti dai loro figli, a numerosi episodi di bullismo, talvolta purtroppo terminati in maniera tragica, sino a penosi filmati, prodotti e moltiplicati tramite smartphone, che mostrano un insegnante di scuola superiore il quale, apparentemente senza alcuna reazione, subisce vessazioni ed umiliazioni da parte di alcuni suoi alunni.

Di fronte ad un tale crescendo non è opportuno indulgere in generalizzazioni allarmanti ma neppure sottovalutare la portata ed il valore di fenomeni siffatti, poiché essi rappresentano, seppure attraverso lo specchio deformante di una informazione gridata e poco rispettosa delle vicende dei singoli e dei contesti in cui si generano i diversi episodi, tanti segnali di disagio rispetto a quanto avviene dentro le aule scolastiche e, più in generale, per la condizione in cui oggi in Italia viene esercitata l’azione educativa verso le nuove generazioni.

Val la pena, sommessamente, ricordare che sono già passati dieci anni dal tempo in cui Benedetto XVI, con una accorata lettera indirizzata «alla diocesi e alla città di Roma»1 , sollecitava in modo tutt’altro che generico l’attenzione sulla cosiddetta «emergenza educativa» di cui già allora si parlava, chiamando a raccolta perlomeno le forze più avvertite, dentro e fuori il perimetro della cattolicità, perché non si abbassasse l’attenzione su questo crinale impegnativo e fondamentale. Essa non ha certamente perduto di significato, anzi. Fu anche a partire da quell’appello che la Chiesa italiana decise di caratterizzare un intero decennio sul tema della educazione2 , in relazione però da ciò che le è precipuo, ovvero l’educazione «alla vita buona del Vangelo».

Né possiamo sottacere lo sforzo che ha pure caratterizzato una stagione della progettazione politico-legislativa, riassunta nella normativa della cosiddetta «Buona scuola», cioè l’approvazione della legge 107 nel luglio 20153 , seguita da un consistente numero di decreti legislativi sulle questioni più disparate.

Anche un certo orientamento culturale ha sicuramente contribuito a mantenere viva l’attenzione sulle tante questioni inerenti l’impegno educativo; basti citare, in questa sede, la puntuale disamina di Massimo Recalcati, noto psicanalista, che invita con forza a ridare peso al «vero cuore della Scuola», ovvero alla «bellezza dell’ora di lezione»4 ; oppure all’interessante riflessione del sociologo Franco Garelli, proposta in un suo testo recente5 in cui invita, tra l’altro, ad abbandonare gli stereotipi del discorso comune su giovani e famiglie.

Ma tale imponente quadro sembra non incidere davvero sulla quotidianità sfilacciata dell’istituzione scolastica; è come se si tornasse, ogni giorno, alla casella di partenza, come se le tantissime energie buone che in essa si sono profuse non riuscissero davvero a ricomporre una vetrata in frantumi.

Serve forse far crescere una rinnovata visione della scuola attorno a poche questioni fondamentali, senza le quali ogni specifico intervento rischia di essere vanificato; ne elenco tre, sapendo in partenza di non riuscire a coprire l’intera gamma delle problematiche.

Certamente, al primo posto va messa la progettualità che richiederebbe la figura del docente, a partire da ciò che può davvero significare nell’attuale contesto culturale e sociale. Se è persino scontato denunciarne la sua attuale debolezza, come figura professionale e come mediatore credibile di conoscenze, è però altrettanto vero che sulle spalle di ogni insegnante si è accumulata nei decenni una molteplicità di richieste e di urgenze tale da rendere impossibile l’esistenza di un modello praticabile ed applicabile nelle differenziate realtà del nostro paese. Due sarebbero forse i veri criteri di nuova definizione del suo ruolo, sui quali ricostruirne una credibilità: la verifica della capacità di far assaporare la bellezza di una disciplina, cioè di un sapere che può essere narrato mille volte con gusto ai più giovani, perché veicolato da chi quei contenuti ha fatto propri, ha sentito attraenti per sé, e tenta ogni giorno, aprendo la porta di una classe, di comunicarli nel modo più chiaro possibile. Chi non si mettesse in gioco in questo modo andrebbe, con tutte le cure del mondo, orientato a fare altro. Inoltre, è fondamentale che oggi i docenti di una istituzione scolastica imparino a lavorare insieme, radicandosi in un quadro valoriale condiviso; senza questa espressione comune di scelte, ogni intervento educativo rimarrebbe depotenziato, oppure lasciato alla iniziativa di singoli. Ma per far ciò le singole scuole devono poter contare su organici stabili, che si impegnino a sottoscrivere per davvero un “patto di corresponsabilità” e si presentino alle famiglie con un linguaggio univoco.

Quanto alle priorità nella didattica, oggi va affrontata seriamente la tensione tra percorsi individualizzati e obiettivi standard (di conoscenze, competenze, valori); troppe volte infatti, negli ultimi anni, una concezione mercantile della scuola ha propugnato una eccessiva personalizzazione delle attività, col rischio di non credere più nel valore del gruppo-classe come soggetto pluriforme che cammina dentro un processo di crescita condiviso. Se un portato positivo delle normative più recenti sta inoltre nel riconoscimento delle diversità e delle fragilità, da non cancellare ma da accompagnare (già don Milani, modello spesso sbandierato nel Sessantotto, ma mal compreso, reclamava la necessità di «non fare parti uguali tra disuguali»), è però anche evidente che non può accadere che ciascuno, tanto gli studenti quanto soprattutto le famiglie, si rappresenti il cammino nella scuola come un percorso in solitaria, tagliato su misura, senza relazioni con gli altri. Ogni docente e, meglio ancora, ogni équipe educativa, è chiamata a conoscere il contesto di partenza dei propri alunni, facendosene carico; però la forza di ogni esperienza formativa sta nella possibilità di vivere una avventura insieme, di raggiungere traguardi di crescita neppure immaginati, ma coltivati giorno dopo giorno nel confronto, se vogliamo nella competizione ma anche nell’aiuto, degli altri.

Ultimo aspetto, l’urgenza di un sistema di regole che sia chiaramente narrato e riconosciuto da tutti gli “attori” del processo educativo: studenti, docenti, genitori. Nella lettera del 2008 papa Benedetto lo definiva in modo efficace come il «punto forse più delicato dell’opera educativa: trovare un giusto equilibrio tra la libertà e la disciplina. Senza regole di comportamento e di vita, fatte valere giorno per giorno anche nelle piccole cose, non si forma il carattere e non si viene preparati ad affrontare le prove che non mancheranno in futuro». Non sono più in tanti, forse, a credere che la scuola educhi attraverso il fare scuola: l’ordinato susseguirsi delle ore di lezione, la loro ritualità, la serietà delle richieste, la fatica di superare ostacoli progressivi, la felicità per un risultato buono, l’impegno a ripartire quando le cose non sono andate bene... Dando a tutti fiducia e stimoli, ma pretendendo (non mi viene altro termine) che ciascuno si impegni seriamente per il meglio che può fare. La scuola forma una coscienza civica aiutando i giovani a riconoscere che esistono limiti anche alla libertà, e questi limiti hanno il volto e le storie degli altri con cui si sta camminando; contemporaneamente, esiste un enorme spazio di creatività, nella bellezza di scoprire che il tesoro culturale delle passate generazioni ora sta nelle proprie mani, purché siano disponibili, con la mente, col cuore, ad accoglierlo senza sconti.

Note

1 Cfr. w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/letters/2008/documents/hf_ben-xvi_let_20080121 _educazione.html

2 Cfr. Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2010, ottobre 2010; li si trova, oltre che in numerose pubblicazioni ad essi dedicate, anche in P. Triani (a cura di), Educare, impegno di tutti. Per rileggere insieme gli Orientamenti pastorali della Chiesa italiana 2010-2020, Editrice AVE, Roma 2010, pp. 161-261.

3 Cfr. www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/07/15/15G00122/sg

4 M. Recalcati, L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, Einaudi, Torino 2014, p. 7 (si noti come, in tutto il testo, la parola scuola sia volutamente scritta sempre con la lettera iniziale maiuscola).

5 Cfr. F. Garelli, Educazione, il Mulino, Bologna 2017; la parte specificamente dedicata alle questioni scolastiche si trova alle pp. 89-109.