I vaccini tra storia, attualità e pandemia da Covid-19

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Dopo la messa a punto del primo vaccino contro il virus del vaiolo, sono stati fatti enormi progressi in questo campo e, in occasione della presente pandemia da Covid-19, si sfrutta questa forma di difesa per controllare il virus SARS-CoV-2 che la scatena.

La storia della vaccinazione è strettamente legata al virus del vaiolo, un virus in grado di determinare una grave infezione contagiosa, caratterizzata da pustole e lesioni cutanee, e morte nel 30% dei casi. Grazie all’uso dei vaccini, la circolazione del virus del vaiolo fra la popolazione umana è stata completamente azzerata (Dichiarazione Oms del 1980).

Il trattamento utilizzato in Oriente per più di mille anni per proteggersi dal vaiolo veniva definito «variolizzazione» e consisteva nella inoculazione in soggetti sani di materiale proveniente da pustole di soggetti affetti da casi di vaiolo leggero. La pratica fu introdotta in Europa da  Lady Mary Wortley Montagu (1689-1762), una letterata e poetessa, moglie di un ambasciatore inglese in Turchia. Lì Lady Mary vide praticare la variolizzazione.

Rimase entusiasta di questa scoperta e, spinta anche dalla sua passata esperienza della malattia, la usò per i figli e si impegnò a diffonderla in Inghilterra e poi nel resto dell’Europa e in America. Pochi anni più tardi un medico inglese, Edward Jenner (1749-1823), perfezionò la tecnica utilizzando, per l’inoculo, materiale ottenuto dal vaiolo bovino. Il primo trattamento fu effettuato nel 1796 su James Phipps, un bambino di otto anni.

Per identificare l’affezione dei bovini, Jenner usò la dizione variolae vaccinae. I francesi utilizzarono il termine vaccination per il trattamento messo a punto da Jenner e tale denominazione fu poi estesa a tutte le pratiche di immunizzazione. Da Jenner in poi, il progresso delle  conoscenze a livello microbiologico e immunologico ha permesso di mettere a punto numerosi vaccini in grado di proteggere da malattie gravi e potenzialmente letali causate da agenti infettivi.

Finalità della vaccinazione

L’uso più frequente della vaccinazione è di tipo preventivo, ha cioè lo scopo di indurre, senza causare la malattia o le sue complicanze, una reazione immunitaria di difesa contro un determinato agente infettivo (virus o batterio), attrezzando in tal modo l’organismo a difendersi da una eventuale futura infezione provocata dal medesimo agente. I vaccini quindi agiscono su individui sani perché non si ammalino e, per ottenere questo risultato, è necessario che il sistema immunitario del soggetto vaccinato venga stimolato in modo da dare una risposta simile  a quella che si verifica nel corso delle infezioni spontanee e che porta all’eliminazione dell’agente infettivo, cioè alla guarigione dall’infezione. Tuttavia, per essere in grado di funzionare nel momento imprevedibile in cui nel soggetto vaccinato potrà verificarsi l’infezione, la  vaccinazione deve essere capace di indurre non solo una risposta immunologica entro i tempi immediatamente successivi alla somministrazione, ma una risposta che deve perdurare nel tempo, costituendo quella che viene definita “memoria immunologica”. Il sistema immunitario del soggetto immunizzato, cioè, deve essere in grado di ricordare per tempi sufficientemente lunghi il precedente contatto con quel determinato agente infettivo, in modo da poter reagire con maggiore rapidità e intensità, provocando quella che viene definita una “risposta di tipo  secondario”.

Virus e vaccinazione

La pandemia da Covid-19 che stiamo vivendo è causata da un tipo particolare di virus appartenente alla famiglia dei coronavirus, il SARS-CoV-2. Come tutti i virus, è un’entità biologica la cui struttura non è di tipo cellulare ma estremamente più semplice, essendo costituita da  materiale genetico – che in questo caso è una lunga molecola di Rna – contenuto in un doppio involucro proteico e lipidico. Il nome “coronavirus” si deve ad alcune proteine di forma allungata, dette spike, che sporgono dalla superficie come dei raggi e sono la sede dell’interazione del virus con le cellule che vengono infettate. I virus infatti non hanno a disposizione quelle strutture molecolari che servono alla loro riproduzione e sono quindi costretti a invadere cellule vive, all’interno delle quali trovano tutte le risorse necessarie per sintetizzare nuovi virus identici a se stessi. Sono dei “parassiti endocellulari obbligati”.

L’organismo reagisce all’invasione virale (risposta immunitaria) producendo grosse molecole (anticorpi) che riconoscono il virus, lo avviluppano e impediscono che si leghi con le cellule. Nel caso particolare del SARS-CoV-2, la risposta immunitaria deve essere tale da inibire l’azione della proteina spike, che è la chiave usata dal virus per aggredire ed entrare nelle cellule da infettare. Si comprende allora quale sia l’obiettivo principale di una vaccinazione: quello di prevenire l’infezione o, nel caso in cui la risposta del sistema immunitario non riesca a  bloccarla completamente, di fare in modo che la conseguente manifestazione patologica decorra in maniera più blanda o quasi asintomatica e senza complicanze.

La vaccinazione è fonte di benefici non solo per i singoli individui, ma per la società tutta. Infatti, quando la totalità o un’alta percentuale dei membri di una comunità è immune nei confronti di un determinato agente infettivo, questo non può più diffondersi con facilità. In tal modo, è possibile impedire al virus di raggiungere anche quegli individui ai quali non è possibile somministrare il vaccino, come i bambini troppo piccoli o i soggetti in particolari condizioni di salute.

Differenti tipi di vaccini

Numerosi sono i vaccini attualmente in uso contro le infezioni virali in genere e, in maniera specifica, contro il SARS-CoV-2, l’agente responsabile della pandemia che stiamo vivendo. L’attuale rapida e molto diffusa circolazione del SARS-CoV-2 e la speranza di poterla controllare  attraverso la vaccinazione sono state di stimolo alla produzione di vaccini seguendo modalità diverse rispetto a quelle precedentemente utilizzate1.

In base a come vengono preparati, possiamo distinguere:

  • vaccini a base di virus inattivati: sono costituiti da virus che sono stati resi inattivi con mezzi chimici o fisici. Il trattamento deve essere tale da inattivare la capacità replicativa del virus, lasciando però inalterate le caratteristiche da cui dipendono le interazioni con  l’organismo. Nei confronti del virus SARSCoV-2 sono in corso sperimentazioni in Cina e in India. I vaccini Sinovac Biotech e Sinopharm di aziende cinesi sono di questo tipo.
  • vaccini a base di virus vivi attenuati: sono costituiti da virus che mantengono la capacità di dare infezione e di stimolare il sistema immunitario, ma non sono più in grado di dare manifestazioni patologiche. L’attenuazione si ottiene per lo più con passaggi successivi dei virus in colture cellulari. Per il momento, non risultano in preparazione vaccini di questo tipo contro il SARS-CoV-2.
  • vaccini con frazioni di virus: contengono parti del virus capaci di stimolare risposte protettive, che possono essere ottenute o prelevandole direttamente dal virus o sintetizzandole in laboratorio. I vaccini Novovax e Sanofi sono costituiti dalla proteina spike.
  • vaccini genetici: sono stati messi a punto e usati per la prima volta in occasione dell’attuale pandemia. In luogo di iniettare direttamente la proteina spike, viene inoculato il materiale genetico (Rna o Dna) che dirige la sintesi di questa proteina. Le cellule la sintetizzano, l’organismo non la riconosce come propria e reagisce scatenando le difese immunitarie. I vaccini genetici a Rna attualmente distribuiti sono Pfizer e Moderna.

I vaccini genetici che veicolano l’informazione per la sintesi della proteina spike mediante molecole di Dna sono “a vettore virale” perché, per introdurre il Dna nelle cellule dell’organismo, si utilizzano virus incapaci di replicarsi. Sono di questo tipo il vaccino Astra Zeneca (ora Vaxzevria) (Regno Unito), il vaccino Janssen (Usa) e il vaccino Sputnik (Russia).

 

Nota

1 Cfr. C. Buddy Creech, S.C. Walker, R.J. Samuels, SARS-CoV-2 vaccines, in «JAMA», 25/2021, pp. 1318-1320.