Riflettendo sulle vie che portano alla verità, così scrive Platone (Fedone, 85 C-D): «Trattandosi di questi argomenti, non è possibile se non fare una di queste cose: o apprendere da altri quale sia la verità; oppure scoprirla da se medesimi; ovvero, se ciò è impossibile, accettare fra i ragionamenti umani quello migliore e meno facile da confutare, e su quello, come su una zattera, affrontare il rischio della traversata del mare della vita; a meno che si possa fare il viaggio in modo più sicuro e con minor rischio su più solida nave, ossia affidandosi ad una divina rivelazione».
Queste parole, che la mano sicura di Platone ci lascia attribuendole al filosofo tebano Simmia mentre interloquisce con Socrate, ci sono di stimolo e ispirazione nell’affrontare l’argomento di questo Dossier dedicato a Scienza e futuro. Certo, la differenza che passa tra l’interesse di Socrate a conoscere la verità e la ricerca della verità che ispira il nostro lavoro è ragguardevole. Qui desideriamo solo mettere in chiaro quanto un particolare tipo di conoscenza, quella scientifica, possa fornirci notizie su un altrettanto particolare aspetto della vita, il futuro. Tuttavia, nonostante questa evidente diversità nella gerarchia delle finalità, i suggerimenti socratici sulla scelta dei percorsi da tentare per giungere alla meta risultano preziosi anche per il nostro lavoro. Iniziamo, allora, dando ascolto al primo dei suggerimenti platonici e chiediamoci se non sarebbe proficuo, oltre che meno impegnativo, metterci in ascolto di quanti discettano sul futuro pretendendo verità. L’esperienza invita alla prudenza: troppe volte, in passato, le sentenze dei futurologi si sono rivelate illusorie, specie se riferite a eventi del futuro profondo. Proviamo allora a seguire il secondo suggerimento e cerchiamo di scoprire il futuro da soli. Anche in questo caso, però, dovremo ben presto arrenderci di fronte all’evidenza quotidiana di quanto sia difficile fare previsioni veritiere persino su ciò che conosciamo meglio.
Non ci rimane allora che prendere in considerazione il terzo suggerimento: far leva su una delle conoscenze umane «meno facili da confutare» come la scienza e, aggrappati ad essa, sfidare i flutti dello sterminato mare dell’ignoranza. In questo caso, l’esperienza personale e quella di molti altri sono dalla nostra parte: la conoscenza scientifica ha dato buone prove di essere solida. Ricordiamo che è stata la scienza a specificare la distinzione tra previsione, preveggenza e profezia. Nel passato il rapporto degli esseri umani con il futuro passava in gran parte per l’esercizio professionalizzato della preveggenza, che sovente sfociava in pratiche propiziatorie. Per capire il futuro si interrogavano gli astri. Astronomia e astrologia a lungo furono accomunate dall’apparato tecnico delle conoscenze e per secoli al Tolomeo astronomo dell’Almagesto fu affiancato il Tolomeo astrologo delle Tetrabiblos. Il percorso di differenziazione fu lungo e accidentato e le vie delle due discipline si separarono tardi, dopo la rivoluzione scientifica del Seicento e grazie all’imporsi della scienza galileiana. Probabilmente risentiamo ancora oggi di questa lunga convivenza, se talora sembra che si chieda alla scienza, come alla religione, la capacità di preveggenza che esse non possono avere.
La scienza non è capace di preveggenza, ma di previsione. Inoltre prevede solo il prevedibile. Questo gioco di parole esprime la serietà della scienza stessa, che non azzarda previsioni laddove non possieda conoscenze ben fondate. E, anche in quest’ultimo caso, prevedere rimane difficile, perché è necessario seguire percorsi analitici diversi a seconda del grado di complessità dei sistemi dei quali si desidera conoscere il comportamento futuro1 . Previsioni affidabili possono essere fatte solo per quei processi che rispettano andamenti regolari e ripetitivi, come i moti planetari, le traiettorie dei proiettili, sotto certe condizioni. Se il corso futuro degli eventi è dipendente da fattori che sono suscettibili a variazioni nel tempo, le previsioni sono legate alla conoscenza approfondita delle condizioni al contorno, non sempre facili da definire. Quando poi si tratta di fatti storici, è addirittura problematico parlare di leggi e più che di “previsioni” è giusto parlare di “simulazioni” o “estrapolazioni” delle serie storiche sul futuro.
Da quanto detto non si può che concludere che la scienza è in grado di fare previsioni attendibili solo se riguardano sistemi con dinamiche controllabili e un futuro non lontano.
Sia che si muova nel campo del prevedibile sia che sia costretta a ragionare del plausibile, oggi la scienza ha nella tecnologia una compagna di lavoro imprescindibile e, se la congiunzione di scienza e tecnologia è stata la meta di un lungo e faticoso cammino, oggi è ben difficile mantenere separate queste due modalità di guardare e interagire con la natura.
Se la scienza cautamente prevede e se la tecnologia crea le condizioni per meglio osservare e per passare all’attuazione di quanto è previsto, è essenziale mettere a fuoco sia i benefici che potrebbero derivare da questa loro azione congiunta, sia i rischi che ne potrebbero scaturire: sono queste le basi su cui poggia il giudizio etico. Gli autori di questo Dossier, essendo uomini di scienza, non affrontano direttamente tali problematiche. Non ne avrebbero la competenza. Forniscono però in modo puntuale e chiaro gli elementi obiettivi sui quali gli esperti di etica potranno fondare le loro considerazioni. E così Ildo Nicoletti descrive quella nutrita serie di novità che stanno spianando la strada a una medicina nuova, dal carattere fortemente “personalizzato”. Parla dei contributi della biologia sintetica, dei big data, dell’intelligenza artificiale. Espone i benefici contributi che fin d’ora si possono intravedere come frutto della loro applicazione nella pratica medica, ma non dimentica di sottolineare i pericoli che deriverebbero da un loro godimento riservato ai soli popoli ricchi. Con lo sguardo più decisamente rivolto sull’umanità nella sua globalità e sui suoi bisogni più impellenti, il contributo di Fabio Veronesi prende in esame il problema di assicurare un’adeguata alimentazione a una comunità umana in costante crescita numerica. Parla degli sforzi che si stanno facendo per adeguare i sistemi agricoli alle accresciute conoscenze scientifiche, così da aumentare adeguatamente la produzione delle risorse alimentari. Espone accuratamente gli apporti, che si stanno rivelando positivi, delle biotecnologie e della bioinformatica e discute su come ampliare il loro utilizzo in vista di una prossima e auspicata «evoluzione assistita» delle colture alimentari. All’intelligenza artificiale, alla quale fanno riferimento tutti coloro che progettano un futuro buono e sostenibile, è dedicato il contributo di Angelo Montanari. Vi si dimostra come l’intelligenza artificiale («cervello senza corpo») del futuro dovrà essere, prima di tutto, affidabile. Dovrà, inoltre, progredire in consonanza con la robotica («corpo senza cervello») nella crescente consapevolezza dell’impossibilità che ci sia un’intelligenza artificiale priva di “corporeità”. La strada intrapresa ci condurrà, in un futuro ormai prossimo, a una sempre maggiore collaborazione/integrazione fra robot e tra robot ed esseri umani. Il punto sulle biotecnologie lo fa Carlo Cirotto, focalizzando l’attenzione su quella particolare metodica, conosciuta come «editing genomico», che porta con sé molte e vantaggiose promesse per il futuro.
La sua applicabilità ad ogni tipo di cellula promette sviluppi positivi sia nell’ambito agronomico che in quello medico. La lotta contro alcune malattie genetiche del sangue è già iniziata e i risultati sono decisamente incoraggianti. Risultati altrettanto promettenti vengono dalle ricerche sulla produzione di varietà vegetali utili all’alimentazione.
Affinché l’apporto delle nuove tecnologie risulti realmente efficace nella costruzione di un futuro buono per l’uomo, è indispensabile che sia promosso un costante dialogo tra le stesse tecnologie e coloro che ne usufruiscono. Solo così potrà essere assicurata un’interazione costruttiva orientata a vantaggio dell’umanità. È questo il compito del machine learning, una tecnologia che si è imposta e si è fatta indispensabile anche nella vita di ogni giorno.
Basta avere una minima dimestichezza con il computer di casa per toccare con mano con quanta efficienza gli algoritmi “apprendono” dalle nostre attività e “interpretano” i nostri gusti e le nostre tendenze. Comprendere e valutare le potenzialità di queste tecnologie, afferma Simone Scardapane nel suo contributo, è un modo efficace di aprire una finestra sul nostro futuro.
La scienza, pur con i limiti che le sono propri, ci permette dunque di prevedere in modo attendibile il futuro, almeno quello prossimo. Ma non si limita a questo; ci offre anche i mezzi per progettarlo e indirizzarlo. Il futuro, infatti, come affermano i filosofi, è epistemicamente aperto: «Il futuro è molto aperto, dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani, e dopodomani»2.
E torniamo infine a Platone. Nella nostra parafrasi abbiamo tralasciato la conclusione del passo citato: la divina rivelazione è un modo per navigare sulla zattera con il rischio minore. La divina rivelazione ispira sentenze profetiche. Circa il presente sappiamo che «tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» (Rm 8,22). Circa il futuro, sappiamo che la ricompensa «è un dono eterno e gioioso» (Sir 2,9). Senza piegare la volontà divina con atteggiamenti propiziatori, è epistemicamente sostenibile che il nostro impegno decida oggi quanto sarà vivibile il domani.
La volontà divina vedrà con occhio benevolo un impegno volto a rendere il futuro accogliente per tutti quelli che verranno.
Carlo Cirotto e Flavia Marcacci
Note