Un cambiamento epocale
Nei prossimi mesi si prevede che la metà di questi lavoratori continuerà a lavorare da casa in maniera continuativa. Molte aziende hanno adottato in maniera radicale e strutturale l’idea di un lavoro basato su obiettivi, mansioni e responsabilità da svolgere fuori dai tradizionali uffici e stanno ripensando in modo convinto il senso dei propri modelli organizzativi. Altre ne hanno colto soprattutto il vantaggio economico: meno buoni pasto, niente straordinari, nessuna indennità di trasferta e nel medio periodo una drastica riduzione degli spazi aziendali e di rappresentanza.
Un vantaggio immediato che in parte coincide con quello dei lavoratori. Rimanere a casa alcuni giorni alla settimana o in maniera stabile può costituire una grande occasione di revisione dei propri tempi di vita, può consentire di ridurre il numero di spostamenti casa-lavoro e favorire la conciliazione con le attività familiari.
È venuto in luce il paradosso dei grandi uffici raccontato da Jason Fried: abbiamo per anni costruito “luoghi per lavorare” già sapendo che in quei luoghi non saremmo riusciti a farlo al meglio. Basti pensare alla fascinazione collettiva per gli open space, spazi aperti e affollati, dove si viene continuamente distratti dalla presenza di altri che come noi cercano di lavorare, con grande fatica e reciproco disturbo.
Oggi la questione appare paradossalmente rovesciata. L’improvvisa privazione di spazi di lavoro in comune ci pone domande di segno opposto. Riusciamo a immaginare un mondo in cui ciascuno lavora da solo, davanti ad un monitor, magari a casa, senza scambi diretti con colleghi e pari, né occasioni di confronto? Ovviamente no.
Vite, organizzazione familiare, tempi di vita, assetti delle città, crisi di alcuni settori economici e nascita di nuove economie, tutto è strettamente legato e richiede di essere ripensato.
Abbiamo ereditato dal passato assetti urbani organizzati intorno a relazioni di tipo spaziale: sia la città fabbrica che la città del terziario è definita da grandi contenitori di funzioni (uffici, banche, servizi) e con una separazione stretta tra tempo/spazio di lavoro e tempo/ spazio di vita.
Se però il lavoro individuale si svincola dal legame con luoghi collettivi, diventa mansione o obiettivo che ciascuno può svolgere altrove, in autonomia e isolamento, è evidente che gli impatti più forti li vediamo proprio nei contesti urbani prima più dinamici ed evoluti.
Che ne sarà di quelle decine di centri direzionali, palazzi di rappresentanza e grattacieli che le città hanno edificato negli ultimi decenni per dare visibilità e identità al lavoro collettivo? Si svuoteranno le città a vantaggio di territori più periferici, delle aree interne o del Sud del paese?
L’appello di fine estate del sindaco di Milano Beppe Sala, il suo illuministico richiamo a tornare al lavoro, ad un lavoro in presenza e dentro la città, seppure generoso e condivisibile, dimostra tutta la fatica di immaginare un altro modello di relazione tra abitare e lavorare e dimensione urbana. Nulla può tornare come prima, potremo solo capire in quale modo interpretare il cambiamento, come favorire nuove forme di socialità lavorativa, come evitare isolamento e frammentazione nelle nostre comunità.
Dobbiamo pensare “le città-fuori-dalle-città”, nelle loro relazioni lunghe con contesti territoriali più ampi, con le città medie, persino con le aree interne, tra Nord e Sud. E l’occasione è propizia.
Coworking e nuove forme di condivisione
In pochi mesi tempi di vita e tempi di lavoro sono molto cambiati.
È almeno in parte finito quel mondo ordinato e scandito da tempi quotidiani (otto ore di lavoro, lunghi spostamenti, poi ferie e tempo libero), dalle stagioni della vita (occupazione poi pensionamento), da stipendio e risparmio (vita di lavoro e di sacrificio, di compromesso e di abnegazione e poi vita liberata dal lavoro in cui ci si può finalmente dedicare ai viaggi e alle proprie passioni). Si è allungato il tempo e l’aspettativa di vita e si sta ridefinendo un continuum di vita e di lavoro intrecciati, che caratterizzano la vita lavorativa e potenzialmente perdurano fino all’età più avanzata.
Questa più sfumata distinzione tra lavoro e vita non significa per forza un ritorno del lavoro dentro le mura di casa, come da tutti noi sperimentato con qualche fatica e costrizione nelle settimane di lockdown. Anzi, proprio la difficile sovrapposizione tra sfera familiare privata e attività professionali ha confermato la necessità di immaginare alternative allo spazio domestico.
Se questo è vero per tutti, lo è in primo luogo per le donne, per le quali è particolarmente urgente lavorare in luoghi diversi da quelli dove crescono i figli o si dedicano alle attività familiari. La perfetta sovrapposizione tra spazio di lavoro e casa può riguardare solo una piccola parte dei lavoratori e solo alcuni mestieri e alcune attività.
Sta già emergendo in molte città anche medio-piccole una forte domanda di spazi di lavoro condivisi, dove ricreare condizioni di lavoro e di socialità, di scambio e di mutuo aiuto, come nella tradizione del co-working, anche tra persone che svolgono lavori molto diversi tra loro. Le città dovranno immaginare sistemi ibridi, facilitando il più possibile la condivisione di spazi extradomestici; le aziende dovranno valutare seriamente quali attività ciascuno potrà svolgere in autonomia e quali richiederanno condivisione e prossimità, progettando in forme più mature ed evolute il lavoro da casa (andando oltre il telelavoro. Dovranno capire in quali modi valorizzare e integrare le piattaforme di videoconferenza che offrono grandi potenzialità d’uso, ma che dimostrano anche, in modo evidente, l’indispensabilità della nostra presenza fisica nei luoghi di lavoro, per attività creative e di programmazione).
La soluzione non può essere che lavoro e scuola entrino in casa per rimanervi, ma che si aprano spazi di immaginazione per ripensare sia l’esperienza scolastica che il lavoro in forme molto diverse e libere. Riprogettare spazi di lavoro condivisi è cruciale per ridare un senso alle città, spazi che aumentino il benessere individuale, ma anche dove coltivare creatività e nuove forme di collaborazione.