La scelta religiosa come via di santità laicale

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La canonizzazione di Pier Giorgio Frassati, giovane torinese vissuto all’inizio del ’900, e avvenuta lo scorso settembre insieme a quella del giovane Carlo Acutis, è un motivo di grande gioia per tutta l’Azione Cattolica Italiana ma anche una preziosa occasione per approfondire uno stile e una via di santità che oggi la Chiesa ci indica.

La vita di Frassati esprime una luminosa capacità di abitare in pienezza diversi ambiti di vita, una delicata e appassionata cura per le persone e per il valore delle relazioni autentiche (e per converso anche un deciso rifiuto di legami che strumentalizzano e mortificano la persona), nonché una gioiosa tensione a tenere insieme tutto questo radicandolo nella ricerca, concreta ed esistenziale, del primato del Vangelo e di una profonda vita di fede.

Essa «rappresenta una luce per la spiritualità laicale. Per lui la fede non è stata una devozione privata: spinto dalla forza del Vangelo e dall’appartenenza alle associazioni ecclesiali, si è impegnato generosamente nella società, ha dato il suo contributo alla vita politica, si è speso con ardore al servizio dei poveri», ha affermato papa Leone XVI. La vita cristiana è un invito a sperimentare, in profondità e nella concretezza quotidiana, la bellezza travolgente di un Amore che continuamente intreccia legami autentici e relazioni significative di condivisione con tutti, a cominciare dai più fragili e da coloro che il mondo tende ad abbandonare ai margini. Essa, come mostra tutta l’esistenza di Frassati, si apre naturalmente alla costruzione di legami sociali “nuovi”. La santità di Pier Giorgio ci ricorda che non possiamo fare a meno di impegnarci, prendere posizione, dedicare energie e passioni nel migliorare le condizioni di vita delle persone e operare per la giustizia sociale e il bene comune, dobbiamo farlo cercando continuamente di stabilire alleanze e reti di amicizia e di fraternità attraverso tutti gli strumenti che ci sono offerti – e la politica e le istituzioni democratiche certamente lo sono! –, maturando sempre la fiducia profonda di appartenere a un regno che va sempre oltre i confini di ogni costruzione mondana e che ci incoraggia ad avere uno sguardo mai rassegnato ma sempre aperto all’inedito dello Spirito. Il cambiamento delle forme sociali e delle istituzioni esige una profonda conversione di sguardo e una paziente e umile tessitura dal basso.

Come credenti siamo invitati a vivere e camminare insieme, cercando sempre l’unità, per risultare, così, credibili e convincenti: è il lavoro paziente della comunità che deve affrontare la pluralità e la differenza come sfide e occasioni, piuttosto che come ostacoli, accogliendo come provocazione spirituale lo stile dell’ascolto, del dialogo e dell’incontro, anche quando questo avviene in condizioni drammatiche e di conflitto.

È una tessitura di amicizia sociale, aperta e inclusiva che incoraggia uno stile di condivisione con tutti e, nello stesso tempo richiama la paradossalità espressa nel celebre testo cristiano dei primi secoli «A Diogneto»: i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo.

Un lavoro che deve fare i conti oggi con la crisi della vita democratica e delle sue istituzioni, con l’affacciarsi nel mondo di nuove forme di governo esplicitamente non democratiche che ambiscono a esercitare un nuovo ruolo sulla scena globale ridisegnando nuove sfere di influenza a scapito del multilateralismo.

Tutte le confessioni e istituzioni religiose, vengono strattonate dai nuovi poteri autocratici alla ricerca di nuova legittimazione, riaprendo la strada a nuove teologie politiche in grado di esercitare una forza seduttiva nei confronti di non poche élite ecclesiastiche ma anche dei movimenti religiosi che manifestano sovente tratti di integralismo.

Assistiamo a tentativi, talvolta anche maldestri e sgraziati – come quello della Premier in coda al suo intervento a Rimini – di strumentalizzazione della vita religiosa e della dimensione spirituale da parte della politica e dei suoi interessi di parte.

Rigenerare la vita democratica, ripensare le sue pratiche e le sue regole, riformare le sue istituzioni diventa pertanto un tema centrale anche per i cattolici italiani.

La 50a Settimana Sociale svoltasi a Trieste è stata, lo ribadiamo con grande convinzione, una preziosa occasione per rimettere a tema le sfide che oggi pone la crisi della democrazia, particolarmente in quei paesi dove la grande e antica tradizione e pratica democratica non sembra essere la condizione per un suo automatico sviluppo nel futuro. Diversi i percorsi e i processi che si sono attivati nelle giornate triestine, caratterizzate da un metodo e uno stile nuovo che identifica nella tradizione del pensiero e del magistero sociale della Chiesa un bagaglio prezioso per interpretare le sfide contemporanee e individuare principi e criteri per elaborare azioni e progettualità in grado di farvi fronte. Non da soli, ma cercando nuove possibili alleanze per il bene comune.

Una responsabilità che investe tutti, ma che è particolarmente avvertita in questo tempo dal laicato cattolico e da moltissime aggregazioni: ritrovare la strada possibile della fraternità, sostenere il cammino sinodale di tutta la Chiesa, sperimentare nuove forme di amicizia sociale rimettendo al centro i valori della persona e della vita, la cura dei legami, l’attenzione ai più fragili e vulnerabili, la custodia dei beni comuni e delle risorse ambientali, il protagonismo delle generazioni più giovani.

Un processo che ripropone in termini attuali, questioni e sfide per le quali ci sono state risposte molto diversificate, e che richiede oggi l’attivazione di almeno tre dinamismi, emersi nel tumultuoso, ma ahimè troppo interno, dibattito del dopo-Trieste. In primo luogo, occorre un più deciso e coraggioso investimento nella formazione spirituale e culturale delle persone, perché siano sempre più attrezzate per leggere e interpretare la contemporaneità, leggere i segni dei tempi e riconoscere la propria vocazione a servizio degli altri. La vita cristiana è immersione profonda nella vita e nella storia e non certamente estraniazione o peggio ancora fuga o difesa da esse.

Una crescente complessità chiede maggiore comunità, parafrasando Edgar Morin.

Sono necessari – ed è questo il secondo dinamismo – luoghi vitali di discernimento comunitario, di discussione e dialogo ben argomentato e fraterno e di elaborazione e sperimentazione, dove ci si forma a vivere la comunità di tutti e a ragionare nella prospettiva del «bene di noi-tutti» per utilizzare un’efficace espressione di Benedetto XVI: le aggregazioni laicali devono fare i conti con tale prospettiva che il cammino sinodale ha, per certi versi, soltanto sfiorato. Luoghi, ad esempio, in cui incontrarsi come persone impegnate nell’amministrazione e nella politica soprattutto locale in cui condividere l’esperienza del servizio, esercitarsi in una dialettica politica fraterna, affrontare nella concretezza i nodi e le difficoltà di elaborare politiche pubbliche capaci di promuovere la persona, individuare possibili percorsi istituzionali di comune collaborazione: ritengo che sia questo il ruolo della rete di Trieste.

Il terzo dinamismo riguarda il piano dell’iniziativa più propriamente politica che vede numerose sperimentazioni in atto che si confrontano nello spazio pubblico alla ricerca di un consenso più ampio, facendo i conti con l’attuale schema bipolare e la legge elettorale, ma soprattutto con la fine di forme partitiche complesse e plurali, spiazzate dalla personalizzazione della politica e dall’abbaglio di una democrazia diretta che ha contribuito a una sostanziale disintermediazione dei meccanismi di partecipazione e rappresentanza.

La significatività dei credenti nello spazio pubblico oggi deve fare i conti – a mio parere – con tutti e tre i dinamismi, senza confonderli e cercando di distinguerne i piani, restituendo valore e significatività a ciascuno senza confondimenti o sovrapposizioni.

Si rivela così la straordinaria attualità della «scelta religiosa» compiuta dall’Azione Cattolica di Vittorio Bachelet e don Franco Costa e sostenuta da tutta la Chiesa e dal pontefice – oggi santo – Paolo VI, per aiutare tutte le comunità cristiane ad attuare il Concilio Vaticano II.

Riconoscere il primato dell’evangelizzazione nel tempo della «esculturazione del cristianesimo», ritrovare un sentiero comune percorrendo la via dell’umanesimo cristiano ed esplorando percorsi di fraternità a ogni livello della vita sociale, accogliere la sfida di dare ragioni attuali e forme istituzionali alla giustizia e alla pace: percorsi distinti che richiedono strumenti e linguaggi differenziati e una nuova capacità di sintesi e intelligenza della storia.

È questo l’orizzonte che sfida oggi l’Azione Cattolica Italiana.