La forza delle preposizioni

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Non avevo mai pensato al valore delle preposizioni al di là della struttura formale di un testo. Eppure la lingua reca in sé un mondo: quello in cui ci muoviamo. Non ha un carattere puramente convenzionale, ma attiene ai significati con i quali percepiamo le cose e al modo di stare dentro la realtà.

Così le preposizioni sono quegli elementi che collegano, articolano una frase. Non sussistono in sé, non si reggono da sole, ma hanno valore unicamente in questa funzione, essenziale perché il pensiero si costruisca e la comunicazione diventi possibile.

Alle preposizioni è stata singolarmente dedicata l’omelia del cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, in occasione della messa celebrata nella cattedrale di Praga l’8 febbraio, durante lo svolgimento dell’assemblea continentale europea del sinodo che stiamo vivendo come Chiesa universale.

Muovendo dal commento di Mc 7,14-23, Grech ha definito il sinodo «sinodo di preposizioni» e «non necessariamente di proposizioni»1. Può sembrare un gioco di parole, ma non lo è affatto. Chi si aspetta da questo sinodo “proposizioni”, definizioni dottrinali rivoluzionarie o di rigida riaffermazione delle verità della fede non ha compreso affatto lo stile e la finalità che orientano l’intero percorso. Il sinodo non intende prendere posizione su questa o quella questione direttamente, o almeno non primariamente; intende piuttosto attivare una rivoluzione nel modo di procedere al quale siamo abituati. Non si tratta immediatamente di “risolvere i problemi”, ma di ritrovare prima di tutto il gusto di lasciarsene interrogare insieme, imparando ad accogliersi nella reciproca diversità.

Non è così scontato. Il sistema in cui siamo immersi spinge a pensare la vita come continua e rapida soluzione di problemi, assottiglia il tempo dell’ascolto e della riflessione. E se è vero che l’uomo è «l’essere che esita» (Blumenberg), un simile sistema produce una crescente disumanizzazione, perché chiede di ridurre il tempo di esitazione, in una produttività ad ogni costo e a ritmi sempre più competitivi. Chi esita rimane indietro o rischia di scivolare inesorabilmente ai margini.

Il tempo del sinodo è invece un tempo di riflessione, di ascolto – e in tal senso di “esitazione” – in cui più che la soluzione ai problemi, vale il cercarla insieme, riconoscendo di essere diversi ma in relazione. Per questo le preposizioni sono importanti.

«I sostantivi – ha affermato mons. Grech – senza preposizioni che indicano luogo, direzione, temporalità, avrebbero poco o addirittura nessun senso». Le preposizioni mettono in connessione ciò che rimane distinto ma si definisce all’interno di una relazione e di questa dinamicamente vive.

Mettere in connessione è quanto ci è chiesto nei più diversi ambiti dell’esperienza. Senza quest’arte difficile e affascinante non si costruisce la trama del discorso sociale, della storia, delle esistenze, della vita comune, e neppure dell’esperienza ecclesiale.

Mettere in connessione non vuol dire pretendere di uniformare, né chiedere che si abbia tutti la stessa velocità, correndo nella direzione di un cambiamento che si avverte non più prorogabile o frenando la corsa per difendere assetti e identità minacciate.

Mettere insieme richiede che si cammini con passo diverso, ma imparando a conoscere il passo dell’altro così che si dia quella feconda e reciproca contaminazione che è l’intreccio delle vite e delle storie, lasciando che il passo dell’altro renda più saldo o più agile il proprio.

Questa Chiesa che accetta di mettersi in cammino, per comprendersi in relazione, per ritrovare la forza delle relazioni, non è una Chiesa che rinuncia alla propria identità, ma che vuole compren-derla all’interno di relazioni che non vogliamo e non possiamo ignorare. «Che il nostro sforzo – ha auspicato il cardinale Grech al termine della sua omelia – non diventi un esercizio di distinzione esclusiva tra chi è dentro e chi è fuori. In altre parole, una distinzione senza relazione che alla fine non porta a nessuna distinzione», ma neanche «una relazione  senza distinzione che alla fine porta a nessuna relazione». Il sinodo «non è fatto per distruggere [...] per spazzare via le distinzioni».

È un’indicazione di metodo, ossia di stile e di percorso, che è sicuramente da accogliere a più livelli. Non ultimo quello della vita politica. Che cos’è infatti la politica se non l’arte del confronto e dell’incontro costruttivo tra prospettive, interessi, mondi diversi?

Eppure assistiamo al prevalere di logiche di contrapposizione, a un modo di concepire e di condurre la vita politica che favorisce la polarizzazione, che appare preoccupato solo di catalizzare consensi tanto massicci quanto fragili, alla crescente personalizzazione dei partiti e  allo svuotarsi delle realtà di intermediazione, quelle che avrebbero il compito di articolare la diversità consentendo di cercare insieme sintesi dinamiche e progettuali. La radicalizzazione delle opinioni nelle società democratiche, a ben vedere, ha a che fare con la difficoltà a  intessere un dibattito civile e alto che consenta il maturare di una visione di futuro.

Forse anche in politica, allora, dobbiamo riscoprire e far valere la forza delle preposizioni.

Cultura politica cercasi è il titolo del dossier di questo numero; e alla necessità di ripensare la politica saranno dedicati i dossier dell’anno, a partire dalla considerazione delle trasformazioni che segnano l’attuale scenario nazionale e internazionale, le questioni a cui aprono, le istanze che pongono. È un modo di continuare a stare dentro la realtà del nostro tempo, provando a leggerla criticamente: con passione e assunzione di responsabilità, in dialogo con tutti. Un modo per continuare a declinare la fede e la vita; per cogliere la valenza più ampia  del cammino sinodale che come Chiesa stiamo sperimentando.

Note 

1 M. Grech, Omelia, Santa Messa nella cattedrale di Praga, mercoledì 8 febbraio 2023 (le citazioni che seguono sono tratte dal testo di questa omelia).