Quando le frontiere diventano porose

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Dalla metafisica all’ermeneutica1; Nel segno della cura del bene2; Elogio della porosità3: sono tre testi recentemente pubblicati.

Ad accomunarli è il loro nascere da storie di ricerca e di insegnamento (quelle di Piergiorgio Grassi, di Luigi Alici, di Giuseppe Lorizio); da un intenso lavoro di interrogazione e di approfondimento portato avanti nel tempo in una capacità di tessere coinvolgimenti ampi, di aprire percorsi, di mettere in circolo intuizioni e idee quanto mai feconde.

Se volessimo indicare la cifra che caratterizza queste storie, potremmo dire che è sicuramente nella interconnessione e nel dialogo a tutto campo.

Lo si coglie assai bene nel titolo del libro in onore di Giuseppe Lorizio: Elogio della porosità. La porosità viene qui presentata come connotazione propria di una teologia che voglia ripensare se stessa, sapendo stare sulle frontiere. Ma, a ben guardare, la porosità è del sapere come tale, così come è nella filosofia della Scuola di Urbino o nella ricerca filosofica condotta a Macerata. Come potrebbe d’altra parte irrigidirsi un sapere che voglia effettivamente seguire la sinuosità della vita, riflettendo quella che Blondel chiama la “logica del disordine”? Non una atomizzazione senza scampo, ma una pluralità, talvolta contrastante, da imparare ad attraversare e ad abitare sapendo riconoscere gli intrecci, e soprattutto quei segreti fili che legano il finito all’infinito, le tracce dell’invisibile e dell’assoluto nel tempo.

In un recente studio pubblicato da Stefano Bancalari, Fenomenologia della religione. Parole chiave4, troviamo una parola che aiuta a capire questi intrecci con sorprendente efficacia. È la parola “sovrapposizione”. Siamo abituati a guardarci da ogni sovrapposizione come una forma di confusione, se non addirittura di violenza. Teniamo in modo particolare a distinguere, separare perché le realtà a cui ci rapportiamo non si mescolino tra loro. Ma “sovrapposizione” può indicare, come suggerisce Bancalari, il superamento di una logica di opposizione o di contrapposizione e il riconoscimento di una alterità che “come una carezza” interviene non quale necessario sviluppo di ciò che è già ma inaspettata e irriducibile; quel che tocca sfiorando, senza far violenza, facendo piuttosto essere e aprendo imprevedibili orizzonti di comprensione. Pensata in questi termini, la “sovrapposizione” non confonde, non mescola, ma fa vedere.

È quanto accade nella dimensione simbolica dell’arte, dell’esperienza religiosa o della comunicazione interpersonale, ma è anche l’intuizione che regge la transdisciplinarietà da più parti invocata. La realtà nella sua concretezza e le nostre esistenze non sopportano un sapere disgiuntivo, una settorializzazione che soffoca il fluire della vita e il suo ritmo interiore. È proprio piuttosto di ciò che è vivo e vitale la “logica del paradosso” o la “logica dei doppi pensieri”, per usare un’espressione cara a Italo Mancini.

Un sapere che si costruisca come intimamente dialogico e l’intreccio tra saperi diversi non sono semplicemente la risposta strategica alla complessità del reale, quanto piuttosto il riconoscimento della necessità di non comprimerne la ricchezza, ma di saperla scoprire e accogliere, trovando le categorie giuste per dirla. 

Sicuramente quella di “frontiera” è una categoria di tal genere. A patto però che se ne sappia cogliere l’ampio spettro semantico e si sia consapevoli delle sue ineliminabili ambiguità.

All’Ambivalenza delle frontiere è dedicato questo numero 1/2024 di «Dialoghi». Il Dossier, muovendo dal significato che le frontiere rivestono nel quotidiano, dall’architettura al funzionamento della vita organica e alla geopolitica, ricostruisce la storia delle frontiere nel rapporto tra i popoli fino all’attuale rischio di una loro sacralizzazione e al loro diventare luogo di violenza e di respingimento dell’altro. Le frontiere sono necessarie perché la vita prenda forma nel delinearsi delle identità e perché le relazioni si costruiscano nel rispetto delle differenze, ma sono fatte per essere attraversate, perché attraverso di esse abbia luogo quel flusso continuo e  vitale senza di cui non solo non c’è crescita e sviluppo ma neppure il mantenersi in esistenza, come attesta lo studio degli organismi viventi. È il carattere relazionale delle frontiere quello che emerge dunque con chiarezza e che chiede di essere sempre ritrovato; perché il senso dell’umano non si perda, ma affiori nella capacità di stare nel “tra”, di un attraversamento che è anche un “intrattenersi”. 

Anche le rubriche di questo numero riguardano però il tema delle frontiere e la necessità di saperle abitare come spazio di relazione. A cominciare dai due “Primo piano” tenuti insieme da uno sguardo che spazia sulle sfide del nostro tempo e si sofferma sulle loro profonde interconnessioni. Il primo rilegge il cammino assembleare che l’Azione cattolica vive in questi mesi come un esercizio di partecipazione democratica che rafforza il senso dell’appartenenza all’associazione e alla comunità ecclesiale, ma anche come uno spazio privilegiato per interrogarsi sulla testimonianza del Vangelo in questo tempo e sulla necessità di rafforzare la trama dei legami associativi, così come le alleanze e le sinergie di cui l’associazione deve diventare sempre più capace. Al multilateralismo è dedicato il secondo “Primo piano” che, esaminando quanto emerso dalla recente conferenza sul clima a Dubai, aiuta a comprendere il nesso tra le questioni climatiche e l’acuirsi delle disuguaglianze tra i popoli, ponendo l’esigenza di un approccio realmente multilaterale ai problemi e alle sfide globali di questo momento epocale. La via dell’insieme è l’unica via percorribile per trovare risposte efficaci.

Anche in “Eventi & Idee” le questioni affrontate sono tali da esigere una trattazione che tenga insieme più fronti e sappia sostare nelle interconnessioni, senza liquidarle rapidamente. Così è per il tanto dibattuto tema dell’intelligenza artificiale che non può essere affrontato solo da una prospettiva scientifica o sul versante di un possibile sviluppo tecnologico, presentando piuttosto molteplici implicazioni sul piano antropologico oltre che politico ed economico, e che, proprio per questo, necessita di un adeguato sforzo normativo. Così è anche per l’esplodere del tema di una educazione all’affettività che non può essere delegata ad alcuni soggetti o enti, e meno che mai alla scuola isolatamente considerata, ma che necessita di alleanze e corresponsabilità e di un approccio trasversale. Anche le recensioni che proponiamo sono state scelte in rapporto al tema delle frontiere e riguardano frontiere da saper abitare come quella dedicata al recente testo di Edgar Morin, L’avventura del Metodo. Come la vita ha nutrito l’opera o quella al testo di Oscar Cullmann, Dio e Cesare sul rapporto tra tensione escatologica e ordine politico, ma anche la recensione al testo di Nicola La Sala, L’universo narrativo dei social media. Racconto e responsabilità al tempo della rete e quella al testo di Antonio Scurati, Fascismo e populismo. Mussolini oggi: perché le frontiere possono irrigidirsi ed essere gestite per contrapporre, escludere, esercitare un potere che si pretende assoluto.

È in particolare il profilo dedicato alla figura di Simone Weil che ci ricorda, invece, quanto sia importante non concepire le frontiere come blocchi invalicabili, ma comprenderne il carattere dinamico e mobile, dovunque esse si diano; quanto sia importante stare sulla soglia, sapendo spingersi oltre proprio perché la si sa abitare: stare sulle molte soglie del vivere comune senza separare, contrapporre, ma tenendole insieme, riconoscendone il “sovrapporsi”. 

In uno scritto del 1924 Napoli porosa5, Walter Benjamin offre una plastica immagine della “porosità” che egli riconosce nella pietra, nell’architettura e nel modo di vivere di questa città mediterranea. Non una separazione netta tra i luoghi del sacro e la vita quotidiana, tra le case e la strada, tra tempo della festa e ordinarietà dei giorni, ma un fluire, un “sovrapporsi” che, anche se non privo di problematicità, apre uno spazio di luce e di relazione inaspettato e sorprendente che accoglie e coinvolge. Ma forse è questa la porosità di cui l’umano ha bisogno. Per non smarrirsi e per crescere.

Note

1 P. Grassi (a cura di), Dalla metafisica all’ermeneutica. Una scuola di filosofia a Urbino, Vita e Pensiero, Milano 2023.
2 C. Danani, D. Pagliacci, S. Pierosara (a cura di), Nel segno della cura del bene. Scritti in onore di Luigi Alici, eum, Macerata 2022.
3 S. Gaburro, A. Sabetta (a cura di), Elogio della porosità. Per una teologia con-testuale. Miscellanea di studi per il prof. Giuseppe Lorizio, Studium, Roma 2024.
4 S. Bancalari, Fenomenologia della religione. Parole chiave, Morcelliana, Brescia 2024. 
5 W. Benjamin, A. Lacis, Napoli porosa, trad. it. a cura di E. Cicchini, Dante & Descartes, Napoli 2020.