L’ONU, un’organizzazione inadeguata per attuare la pace?

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L’Onu ha rappresentato e rappresenta ancora una grande conquista del Novecento, che ha potuto, pur tra limiti e difficoltà, garantire processi di pace e di rispetto per i diritti umani. Sono evidenti, però, soprattutto alla luce degli ultimi eventi nel panorama internazionale, alcune questioni che andrebbero affrontate con determinazione per una riforma realistica e possibile della stessa Organizzazione.

Al momento della creazione dell’ONU, durante la conferenza di San Francisco il 26 giugno 1945, il Presidente statunitense Truman dichiarò: «La carta delle Nazioni Unite che state firmando è una struttura solida sulla quale possiamo costruire un mondo migliore. La storia vi onorerà per questo». È in questi termini utopisti che gli Stati firmatari espressero la loro visione del ruolo di pacificazione di questa organizzazione di un nuovo genere.

Il multilateralismo onusiano era fondato sull’impegno degli Stati membri a rispettare i principi della carta e a gestire collettivamente le grandi sfide mondiali. L’intento era di porre fine allo stato di anarchia del sistema internazionale (cioè all’assenza di una autorità regolatrice sopra allo Stato) mediante la socializzazione internazionale degli Stati-nazione all’interno di un’organizzazione meta-statale. Essa avrebbe contribuito alla riduzione della diffidenza tra gli Stati, al rafforzamento della loro interdipendenza, allo sviluppo degli interessi comuni e alla diffusione di una cultura cosmopolita mondiale1.

La costruzione del multilateralismo onusiano fu attuata nell’ambito di una densa architettura di cooperazione essenzialmente intergovernativa. Tra gli organi centrali delle Nazioni Unite, l’Assemblea generale rappresenta il centro di gravità politico dell’organizzazione. È in questa sede che vengono discusse le grandi questioni internazionali, ed è qui che gli Stati dispongono dello stesso peso in termini di voto. Il Consiglio di sicurezza rappresenta l’arena strategica in cui vengono trattate le crisi internazionali in termini di guerra e sicurezza, l’unica che dispone di un potere coercitivo per attuare le sue risoluzioni in caso di minaccia alla sicurezza mondiale o di aggressione di uno Stato. Si tratta tuttavia dell’arena meno rappresentativa all’interno dell’ONU. Oltre ai dieci membri non permanenti, è composta di cinque membri permanenti che dispongono ciascuno del diritto di veto. Il Segretariato generale ha il ruolo di coordinare e di gestire burocraticamente l’intero sistema, mentre il Consiglio Economico e Sociale coordina l’attività economica e sociale dell’ONU. La Corte Internazionale di Giustizia, l’organo giudiziario dell’organizzazione, ha la funzione di regolare le controversie giuridiche tra gli Stati.

Ampliando i suoi strumenti per attuare la pace, ma anche per andare oltre i blocchi del Consiglio di Sicurezza dovuti all’opposizione dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti durante la guerra fredda, l’ONU si dotò negli anni Cinquanta di una forza militare multinazionale, i “caschi blu”, che interviene nelle operazioni multilaterali di pace su decisione del Consiglio di Sicurezza2 . Nel 1998, non senza difficoltà e resistenze, fu creato inoltre il Tribunale Penale Internazionale, abilitato a processare le persone responsabili di crimini di guerra o contro l’umanità. Sia il TPI che le operazioni multinazionali di pace sono un’assoluta novità nella storia internazionale.

L’architettura dell’ONU comprende inoltre una miriade di organismi sussidiari e agenzie specializzate che trattano di problematiche di stabilità e di sicurezza in senso più ampio, spesso legate alla “sicurezza umana”, come i diritti umani, la salute, l’azione umanitaria, la cooperazione allo sviluppo, la protezione dell’ambiente3 .

Questo formidabile sistema di cooperazione è considerevolmente cresciuto in termini di Stati membri (da 51 nel 1945 a 193 oggi), di funzionari internazionali, di operazioni e di personale di peace-keeping, di budget, di numero di agenzie e ambiti di cooperazione, di trattati internazionali nonché di organizzazioni della società civile che collaborano formalmente con l’ONU.

L’ampliamento e l’evoluzione dell’ONU contraddice il cliché di un’organizzazione sclerotizzata o al servizio esclusivo delle grandi potenze internazionali. Dimostra invece una certa capacità di adattamento alla trasformazione del mondo e di presa in conto delle varie richieste della società internazionale, che emanino dagli Stati o da enti non statali. Ad esempio, la CNUCED (Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo) è un organo permanente sussidiario che fu creato nel 1964 su insistenza dei paesi del Terzo Mondo. Ha come obiettivo quello di facilitare il processo di integrazione dei paesi post-coloniali nell’economia mondiale e di promuovere la cooperazione allo sviluppo da Nord a Sud.

Il suddetto ampliamento rispecchia, inoltre, un certo livello di legittimità dell’ONU e di adesione da parte dei vari attori che costituiscono il sistema internazionale. Dimostra che le norme e i principi onusiani continuano ad avere un valore sociale internazionale, e a “disciplinare” e “socializzare” la scena internazionale. Eppure l’ONU non è mai stata così criticata e contestata, persino da parte degli stessi attori che la compongono o che collaborano con essa. La legittimità dell’organizzazione è ancora più contestata dalle società civili, in particolare nel mondo non occidentale, che sono quelle più martoriate dalle guerre e violenze armate, e che trattengono un rapporto più stretto e quotidiano con le varie agenzie o unità dell’ONU attive in tali territori (HCR, UNRWA, missioni di pace). Sono aumentate negli ultimi anni le proteste popolari, anche violente, contro i simboli e il personale onusiano (RDC, Haiti...).

Le Nazioni Unite sono accusate di essere inadeguate per attuare la pace nel mondo e quindi di fallire riguardo alla loro missione primaria. Non sono riuscite a risolvere numerosi conflitti armati che durano da decenni, sia internazionali o quasi (tra Israele e Palestinesi, tra India e Pakistan, tra Marocco e Sahara Occidentale), sia civili (in Somalia, in Sudan, in Afghanistan, in Iraq, nella RDC). Essi si sono anche spesso dilagati, aumentando il numero dei “complessi conflittuali regionali”. Le Nazioni Unite non sono riuscite neppure a impedire la proliferazione di nuove guerre, anche di alta intensità (Siria, Turchia, Yemen, e oggi tra Russia e Ucraina), né la perpetrazione di crimini di massa contro i civili (Tutsi, Palestinesi, Siria, Uighur, Curdi...).

Il funzionamento, la composizione e persino l’esistenza stessa del Consiglio di sicurezza concentrano da decenni critiche e richieste di riforme. Un eccessivo potere è conferito a un direttorio di Stati che erano le principali potenze all’indomani della Seconda guerra mondiale, ma che non rispecchiano più la realtà della distribuzione della potenza a livello internazionale. Gli Stati emergenti del Sud rivendicano da tempo un seggio permanente al Consiglio, come l’India o il Brasile. Tale richiesta è tuttavia contestata dai loro competitor regionali. Lo stesso per i paesi africani che ricordano che l’Africa è l’unico continente non rappresentato tra i membri permanenti. Il diritto di veto, al di là del suo carattere iniquo, è stato anche utilizzato abusivamente sin dal principio, in particolare dagli Stati Uniti, la Russia e la Cina, come arma e strumento nel quadro dei loro contrasti e rivalità. Ciò non ha consentito il voto di risoluzioni coercitive per impedire o ostacolare guerre di aggressioni o violazioni di massa di diritti umani. Dal 2011, la Russia si è ad esempio opposta a dodici risoluzioni contro il regime di Assad in Siria, mentre gli Stati Uniti hanno sistematicamente votato contro le risoluzioni che condannavano le violazioni dei diritti dei Palestinesi commesse da Israele. L’esistenza stessa del Consiglio di sicurezza è di per sé una negazione dello spirito onusiano dell’azione collettiva. La riforma del Consiglio, in particolare per quanto riguarda l’abbandono del diritto di veto, è ovviamente una chimera posto che necessita dell’approvazione degli stessi membri permanenti.

Il deficit di efficienza dell’ONU in materia di pace è anche dovuto, inversamente, alla mancanza di sostegno al multilateralismo onusiano da parte di alcune grandi o medie potenze, e alla creazione di arene concorrenti di cooperazione multilaterale che sono più restrittive in termini di adesione. Il multilateralismo onusiano viene by-passato da questa “diplomazia di club”, quando gli interessi delle singole potenze non coincidono. Nel 1973 la creazione del Gruppo dei sette dalle potenze occidentali corrisponde a un disinvestimento parziale di quest’ultime nei confronti dell’ONU. I paesi del Terzo Mondo, coalizzati all’interno del Movimento dei Non Alleati e del Gruppo dei 77, stavano organizzando la contestazione dell’ordine mondiale all’interno dell’ONU, diventata arena di lotta Nord-Sud, in particolare nell’Assemblea Generale. Questa limitazione della supremazia occidentale all’interno dell’ONU portò le potenze del Nord a cooperare maggiormente all’interno di organizzazioni “mini-multilaterali”, in particolare, su questioni più strategiche, come quelle relative alla sicurezza e all’economica mondiale (NATO, G7, G8).

A livello bilaterale, la tendenza a by-passare l’ONU e a praticare un multilateralismo “à la carte” è particolarmente vera per gli Stati Uniti, che sono sia il principale contributore finanziario dell’organizzazione (fornendo il 22% del budget dell’organizzazione per le operazioni ordinarie, e il 27% per le operazioni di pace), sia il suo principale critico e debitore. Il paese esercita spesso una pressione politica sull’organizzazione, minacciando di ritirare o bloccare i suoi finanziamenti quando alcune decisioni contravvengono ai suoi interessi. Ha smesso di finanziare l’UNESCO quando l’agenzia ha riconosciuto la Palestina come stato membro, e ha minacciato di ritirarsi dall’OMS durante la pandemia da Covid-19. Gli Stati Uniti sono, inoltre, il paese che ha ratificato il minor numero di trattati internazionali, in particolare quelli relativi ai diritti umani. Tutto questo genera un’incertezza e una fragilità nel funzionamento dell’ONU.

Occorre, pertanto, concludere che l’ONU ha fallito nella sua missione primaria e considerare che l’organizzazione non si possa riformare?

Rispetto alla prima domanda, bisogna chiedersi come sarebbe il mondo senza le Nazioni Unite in materia di conflittualità armata. L’assenza di arene di discussione, di mediazione, di socializzazione e di confronto multilaterale, nonché di strumenti di cooperazione internazionale condurrebbe certamente all’aumento dell’instabilità e dei conflitti interstatali. I paesi deboli sarebbero sicuramente più vulnerabili di fronte alla potenza di stati terzi. Tra l’altro, non bisogna minimizzare il ruolo fondamentale svolto dall’ONU sul piano della pace in senso ampio. Nonostante le divergenze, la complessità e la sovrapposizione dei mandati delle varie agenzie, il miglioramento delle condizioni di vita di molte popolazioni, l’impegno delle Nazioni Unite a tutelare i diritti dei più deboli, e a rendere più visibili alcune lotte e disagi (anche grazie alla stretta collaborazione con organizzazioni non governative di solidarietà), sono un contributo cruciale dell’ONU per i diritti umani e la pace. Inoltre, se appaiono più facilmente allo sguardo le guerre e le violazioni dei diritti umani, nonché l’eternizzazione delle missioni di pace dell’ONU in contesti che rimangono fragili e conflittuali, alcuni successi di queste operazioni sono invece trascurati. La missione dell’ONU in Costa d’Avorio, iniziata nel 2003 (MINUCI e poi ONUCI) e terminata nel 2017, ha contribuito notevolmente alla fine delle violenze e alla transizione politica.

Circa la seconda domanda, bisogna riconoscere che, nonostante alcune riforme siano impossibili da introdurre oggi, in particolare riguardo all’abolizione del diritto di veto nel Consiglio di sicurezza, l’ONU è stata caratterizzata da un costante processo di trasformazione e adattamento. Rispecchia la pluralità degli interessi e visioni degli agenti che partecipano al multilateralismo, e, ovviamente, anche la realtà dei rapporti di forza. L’ONU ha sempre rappresentato di fatto sia un’organizzazione che consolida lo status quo del sistema internazionale e dei rapporti di forza, sia l’arena in cui queste realtà vengono denunciate e spesso mitigate, e in cui processi di cambiamento nascono. La tensione tra gli obiettivi utopici e la realtà della configurazione del potere è consustanziale del sistema onusiano. Se è vero che non è riuscita a cancellare la realpolitik degli Stati, o a impedire lo sviluppo di gruppi armati privati, l’organizzazione rimane uno strumento e un processo collaborativo senza il quale queste sfide non potranno essere gestite. Come ebbe a dire Dag Hammarskjold, segretario generale dell’ONU negli anni Cinquanta: «Le Nazioni Unite non sono state create per portare l’umanità al paradiso, ma per evitarle di cadere in inferno».

Il miglioramento del funzionamento e dell’efficienza dell’ONU è auspicabile, possibile e necessario. Bisogna considerare l’ampiezza delle problematiche mondiali, e lavorare anche su altre scale e con strumenti aggiuntivi per far fronte ad essi, senza squalificare l’ONU o esigere risultati irrealistici da parte dell’organizzazione. Questi sforzi devono partire da ogni cittadino, e mirare alla diffusione di una cultura di pace.

Note

1 Il multilateralismo era considerato come l’inizio di una nuova era che avrebbe sostituito l’ordine mondiale nato dal trattato di pace di Westfalia. Detto trattato, che nel 1648 mise fine alla guerra dei Trent’anni (altra guerra che distrusse gran parte dei paesi europei), aveva consacrato il principio cruciale della sovranità dello Stato, che divenne la pietra angolare dell’ordine internazionale. Allo Stato veniva conferito il monopolio della diplomazia e della guerra, che derivava dallo stesso principio di sovranità. Ciò squalificava di conseguenza ogni forza o istituzione politica sopra allo Stato autorizzata a interferire nei rapporti tra gli Stati o nella loro politica interna, o a produrre una politica internazionale autonoma dagli Stati.

2 Da forza di interposizione e osservazione nei conflitti armati, il suo ruolo è evoluto alla fine della Guerra Fredda verso il peace-enforcement, che prevede un impegno multi-dimensionale di costruzione della pace, anche senza l’accordo di tutti i belligeranti. Tale evoluzione derivava dal carattere sempre più intra-statale dei conflitti e, spesso, dal crollo delle autorità governative locali.

3 Le più note di esse sono l’OMS, il Consiglio dei Diritti umani, il PNUD, il PNUE, l’HCR. Altre sono legate al coordinamento internazionale di questioni più tecniche, ad esempio nell’ambito dell’aviazione.