Sinodo e sinodi

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L e Chiese locali italiane sono ora impegnate nel secondo anno del percorso sinodale (la cosiddetta fase narrativa), percorso inserito nel tracciato del Sinodo universale che porta il titolo significativo Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione. C’è stato un confronto piuttosto serrato in Italia sulla situazione della Chiesa, mentre ora è in atto il discernimento comunitario in quelli che sono stati chiamati “I cantieri di Betania”, vale a dire l’ascolto dei mondi in cui vivono i cristiani, le relazioni e le strutture comunitarie (senza dimenticare le strutture di partecipazione), il settore dei servizi e dei ministeri ecclesiali (con l’attenzione alla necessaria corresponsabilità delle donne all’interno della comunità cristiana). Un quarto cantiere è stato lasciato alla scelta delle diocesi (cfr. Conferenza episcopale italiana, Sinodalità. La sintesi italiana e Il secondo anno del cammino sinodale, in «Il Regno – documenti», 2022, 15, rispettivamente alle pp. 468-475 e 476-482). Nella sintesi finale del primo anno, consegnata dalla presidenza della Conferenza episcopale italiana alla segreteria generale del Sinodo dei Vescovi, sono messi in evidenza le criticità e i dati positivi emersi dai tanti incontri, «nel tentativo di raggiungere anche i mondi della politica, delle professioni, della scuola e dell’università, sino ai luoghi della sofferenza e della cura, alle situazioni di solitudine e di emarginazione». Si è messa in movimento una macchina organizzativa complessa attraverso un Gruppo di coordinamento nazionale con la partecipazione agli incontri di circa mezzo milione di persone, con la costituzione di 50.000 gruppi sinodali coordinati da più di 4000 referenti diocesani, decisivi per sostenere un lavoro che si è dovuto confrontare con inevitabili resistenze, suscitate dal timore di attivare compiti gravosi destinati però a non modificare la situazione.

Dopo il tanto parlare di sinodalità, dunque, la si sta finalmente vivendo e vengono alla luce questioni che esigeranno approfondimenti di varia natura. Senza però dimenticare che negli anni precedenti l’inizio di questa avventura ecclesiale, non sono mancati utili contributi per ispirare una corretta prassi sinodale. Di notevole rilevanza il documento elaborato dalla Commissione teologica internazionale, che ha ispirato a sua volta un commento a più voci, che porta lo stesso titolo del documento, Sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, a cura di Piero Coda e Roberto Repole (EDB 2019). Più recentemente lo sguardo si è allargato a individuare come le confessioni cristiane interpretano la dimensione sinodale della Chiesa (cfr. Sentieri di sinodalità. Prospettive teologiche interconfessionali, Edizioni San Paolo 2022) con lo scopo – lo ha scritto Riccardo Battocchio nell’Introduzione al testo – «di mettere in luce tanto ciò che sta a cuore a ciascuna confessione, quanto le aperture in esse presenti».

La riflessione della Commissione teologica internazionale ha messo a fuoco il termine e il concetto di sinodalità, una parola diventata di uso comune, soprattutto dopo che papa Francesco ha parlato della sinodalità come di una dimensione costitutiva della Chiesa. Il termine ha assunto talvolta i significati più diversi e di conseguenza è stato impiegato in maniera impropria. Si è convenuto che per sinodalità si intende lo stile che caratterizza la Chiesa e i processi in cui la sua natura sinodale si manifesta, vale a dire lo stile del “camminare insieme”, del ritrovarsi in assemblea come popolo di Dio «convocato da Cristo nella forza dello Spirito per annunciare il Vangelo», che genera una prassi specifica: «l’ascolto della Parola, la celebrazione eucaristica, la fraternità realmente vissuta e la partecipazione e corresponsabilità di tutto il popolo di Dio, pur nella differenziazione dei ministeri e dei carismi, alla vita e alla missione della Chiesa», come osserva Roberto Repole in un denso commento al documento della Commissione teologica internazionale. La natura sinodale della Chiesa trova conferma anche in precisi processi e strutture e in eventi che vedono l’intero popolo di Dio chiamato dai suoi pastori ad «operare un discernimento circa il suo cammino o questioni specifiche, per assumere delle decisioni in ordine all’evangelizzazione».

Il termine “sinodo”, di origine greca, apparso tardi nel lessico della Chiesa delle origini (attorno al III secolo) ha dato luogo a oscillazioni di significato, dal momento che «è stato interpretato talvolta come pratica di governo, talaltra come espressione della Chiesa nella sua interezza». Le vicende del cristianesimo, poi, segnate da alcune drammatiche divisioni come il distacco della Chiesa di Oriente, o la riforma protestante, hanno dato origine a modi di agire, a riflessioni teologiche, a modalità giuridiche diverse. Se attraverso il percorso sinodale si vuole mettere a confronto i diversi modi di portare attenzione alla dimensione sinodale delle Chiese, si noterà pure che accanto alle diversità, non mancano punti di convergenza, per cui in prospettiva ecumenica, appare rilevante il mettere in luce le specificità non negoziabili, le aperture che pure emergono, e gli inevitabili ostacoli da superare.

L’obiettivo principale di questo dossier è proporre un itinerario dentro la problematica sinodale, a partire dalla Chiesa delle origini che già negli Atti degli apostoli («il più importante manuale di ecclesiologia», a dire di papa Francesco), viene presentata come «Chiesa in uscita», con momenti conciliari dove il discernimento per giungere alle decisioni operative ispirate dallo Spirito Santo ha richiesto parresìa e l’accettazione di conflitti di opinione, prima di approdare a decisioni condivise (Pulcinelli). Mentre oggi, nella Chiesa cattolica, l’indizione di un processo sinodale ha richiesto il ripensamento del modo di vivere le relazioni ecclesiali anche in virtù delle sollecitazioni che vengono dal drammatico cambiamento d’epoca in cui tutti siamo inseriti (Battocchio) e che suscita la domanda ineludibile di «come si realizza oggi, a diversi livelli (da quello locale a quello universale) quel “camminare insieme” che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo, conformemente alla missione che le è stata affidata; e quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere come Chiesa sinodale». Domanda che suscita immediatamente la questione del metodo da adottare per camminare insieme e operare il discernimento comunitario, che ha momenti e passaggi necessari, a cominciare dall’apprendimento di una capacità di ascolto. «Non si tratta di tecnicismi, ma di aver chiaro quali sono i passi da compiere per rendere proficuo il discernimento comunitario» (Steccanella).

Di fronte alla proposta cattolica prendono rilievo sia l’esperienza della Riforma, sia quella dell’ortodossia in terra russa. La prima, ben radicata nella tradizione biblica, da cui sono stati tratti i due principi cardine, quello di collegialità e quello di rappresentanza, che grazie all’azione dello Spirito diventano sinodalità. Sulla base di questi principi sono nati almeno tre modelli organizzativi (episcopale, presbiteriano e congregazionalista) che, pur nelle differenze, convergono nel concepire la Chiesa come comunità locale, «riunita nell’ascolto della Parola di Dio e nella celebrazione dei sacramenti» e basata sulla collegialità per il governo della Chiesa stessa. Le decisioni vengono tuttora prese da un organo collegiale «sempre superiore rispetto all’incarico o all’autorità istituzionale conferita a una persona singola» (Gajewski). Nel campo dell’ortodossia – una realtà “plurale”, pur aderendo ciascuna Chiesa a un’unica confessione di fede e riconoscendo una primazia storica, meramente onoraria, al Patriarcato di Costantinopoli – il vertice della sinodalità è rappresentato dalla sobornost’ che indica l’unione intima e profonda dei credenti, nel nome di Cristo, nella Chiesa. Sobornost’ che secondo grandi pensatori come Florenskij e Bulgakov deve sempre superare le differenze e includere persone appartenenti a etnie, nazionalità, ceti sociali diversi. È per essenza disponibile al dialogo ecumenico. «Non riconoscere questo tratto costitutivo comporta un travisamento del concetto stesso di Chiesa, alimentando eresie, divisioni, nazionalismi ed etnofiletismi. Come oggi sta drammaticamente accadendo nella stessa ortodossia slavo-russa» (Valentini).

Nel Forum finale, alla domanda se e come il sinodo cattolico possa contribuire ad aprire una nuova stagione ecumenica, le risposte degli intervenuti hanno posto l’accento sui «segnali contradditori», come quelli appena accennati, che vengono da ciò che sta accadendo all’interno dell’ortodossia, con le controverse dichiarazioni del patriarca Kirill nel contesto drammatico dell’invasione dell’Ucraina da parte dei russi. Si auspica poi che ci sia un “ecumenismo recettivo” da parte cattolica, nel senso di una strategia dell’attenzione nei confronti delle confessioni cristiane, per le quali la dimensione sinodale è stata ed è centrale, nel momento in cui la Chiesa cattolica prova, a tutti i livelli, a riflettere per potenziare sia il Sinodo dei vescovi e le sue funzioni, sia il coinvolgimento della comunità tutta nella missione, operando così «un ripensamento del proprio essere e un importante ribilanciamento delle forme di autorità entro la comunità» (Morandini). Ma se si vuole davvero camminare insieme, devono essere abbandonate, come ostacolo insormontabile al dialogo, manifestazioni identitarie che fanno dell’altro e delle altre confessioni un temibile concorrente e spingono a privilegiare l’uniformità, piuttosto che valorizzare le differenze: il confronto delle esperienze in materia di sinodalità, arricchisce le Chiese che fanno tesoro di quanto è suggerito in vari modi dallo Spirito. «Il camminare insieme necessita di una “eterologia”, di un pensiero che mostri l’alterità non unicamente come problema» (Maggi). Ma, nel terzo degli interventi, viene ancora una volta sottolineato come la questione della guerra Russia–Ucraina, per un’accentuata contrapposizione da parte del patriarca di Mosca a tutto l’Occidente, per le fratture ulteriori causate dentro la famiglia ortodossa e soprattutto per l’adesione all’ideologia del Russkyj mir (Mondo russo) che di fatto subordina a questo progetto la Chiesa stessa, ha generato una situazione talmente grave da richiedere un compito ineludibile per il movimento ecumenico: estendere l’invito pressante alla conversione «non di una parte al punto di vista dell’altra (in una inarrestabile moltiplicazione delle divisioni), ma di tutti all’unico vero riconciliatore, che è Cristo stesso [...], perché, come ha detto papa Francesco nel suo messaggio all’XI Assemblea del Consiglio delle Chiese, “la nostra missione è quella di portare al mondo il compimento di questa riconciliazione, essendo la Chiesa lo strumento e il segno visibile dell’unità cui Dio chiama tutti i cristiani”» (Dell’Asta).