Sinodo sulla sinodalità: verso un nuovo slancio missionario

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La seconda sessione del Sinodo sulla sinodalità, conclusa nell’ottobre 2024, rappresenta una svolta cruciale per la Chiesa cattolica dopo il Concilio Vaticano II. Il documento finale esorta ogni Chiesa locale a intraprendere un percorso di rinnovamento per una missione fondata sulla sinodalità, mirata a trasformare il volto della Chiesa, rendendola più accogliente e inclusiva.

La seconda sessione del Sinodo sulla sinodalità, che si è appena concluso nell’ottobre 2024, segna una tappa decisiva nella storia della Chiesa cattolica dopo il Concilio Vaticano II. Questo processo, sviluppato su tre anni, ha mobilitato la Chiesa intera a tutti i livelli, dal locale all’universale, secondo un principio di circolarità. Non possiamo comprendere e accogliere i frutti di questa recente assemblea ro mana senza collegarla a quello che si è vissuto precedentemente e che ha implicato l’ascolto e la partecipazione di un gran numero di cristiani. L’aula sinodale, con i suoi 368 partecipanti venuti da ogni parte del mondo, ha consentito di ascoltare la voce del popolo di Dio in tutta la sua diversità, divenendo una cassa di risonanza delle gioie e delle pene, delle aspirazioni e delle sfide delle Chiese locali. La nostra preghiera è stata abitata in modo particolare dalle situazioni di guerra e di violenza che attraversano tanti paesi.

Un processo trasformativo

Posso testimoniare per me stessa e per tanti altri che questo processo ha avuto veramente un impatto trasformativo. Abbiamo sentito la presenza di Cristo accanto a noi. Ci siamo la sciati toccare, spiazzare interiormente dal grande soffio dello Spirito che parla attraverso le parole degli uni e degli altri, quando mettiamo al centro l’ascolto della Parola di Dio e dei segni dei tempi. E questo cammino di discernimento ecclesiale basato sul metodo della conversazione nello Spirito ha prodotto frutti significativi tanto nell’assemblea quanto nel tempo tra le due sessioni. Come sottolineava il Documento Preparatorio, lo scopo non era produrre dei testi quanto piuttosto «far germogliare sogni, susci tare profezie e visioni, [...] risvegliare un’alba di speranza, impara re l’uno dall’altro, e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani» (DP 32).

Questa esperienza spirituale, nello stesso tempo umana ed ecclesiale, va oltre quello che le parole possono tradurre in un documento. Ed è in questo senso che tale processo ha raggiunto i suoi obiettivi. Qualcosa di profondo è già all’opera e continuerà a portare frutti nella nuova tappa che si è aperta ora, la più importante, quella della ricezione: «A tutte le Chiese locali chiediamo di proseguire il loro quotidiano cammino con una metodologia sinodale di consultazione e discernimento, individuando modalità concrete e percorsi formativi per realizzare una tangibile conversione sinodale nelle varie realtà ecclesiali» (Documento finale – DF 9).

La conversione come filo conduttore

Il Documento Finale del Sinodo è strutturato attorno al tema della conversione e si articola in cinque parti che affrontano differenti dimensioni: la conversione spirituale, la conversione delle relazioni, la conversione dei processi, la conversione dei legami e la formazione per la missione. Questa articolazione riflette la convinzione fondamentale che «la sinodalità è dimensione costitutiva della Chiesa» (DF 28) che necessita «pentimento e conversione» (§6). Al cuore della dinamica sinodale si trova la centralità del battesimo che ci unisce come membra del Corpo di Cristo: «Nulla vi è di più alto di questa dignità [battesimale]» (§21). Questa affermazione sottolinea l’importanza della partecipazione di tutti i fedeli alla vita e alla missione della Chiesa intesa come Popolo di Dio e Sacramento. Questo invito alla conversione per vivere la sinodalità è dunque una chiamata dello Spirito per tutti i battezzati, chiamati a camminare insieme come un popolo di pellegrini.

«In termini semplici e sintetici, si può dire che la sinodalità è un cammino di rinnovamento spirituale e di riforma strutturale per rendere la Chiesa più partecipativa e missionaria, cosicché essa possa camminare insieme ad ogni uomo e ad ogni donna irradiando la luce di Cristo» (§28).

Questa definizione mette in evidenza la duplice dimensione spirituale e strutturale della trasformazione sinodale, e indica bene il fine della conversione sinodale: un rinnovamento spirituale ed ecclesiale per portare frutti nella missione al servizio degli uomini e delle donne di questo tempo.

Una nuova maniera di prendere decisioni nella Chiesa

Il Sinodo propone una revisione significativa dei processi di presa di decisione nella Chiesa, basata su questo principio antico messo nuovamente in luce nei documenti del Sinodo: “Quello che concerne tutti deve essere deciso da tutti”. Detto altrimenti, “in una Chiesa sinodale, nessuno decide da solo”. Ora, per diverse ragioni noi abbiamo spesso ereditato una maniera molto personale di esercitare l’autorità nella Chiesa. Lo stile sinodale chiama ad uscire dal clericalismo e a vivere diversamente l’esercizio della leadership per adottare lo stile dell’ascolto e del discernimento con gli altri. La consultazione sinodale ha rivelato un bisogno universale di ascolto. La parte III del Documento Finale spiega come realizzare questo processo di discernimento ecclesiale per la missione radicato nel sensus fidei comunicato dallo Spirito a tutti i battezzati. I processi decisionali devono ormai includere «un’ampia partecipazione» (§82), «un tempo conveniente per prepararsi con la preghiera» (§84), e una «ricerca di un consenso il più ampio possibile» (§84). Se «la competenza decisionale del Vescovo, del Collegio episcopale e del Vescovo di Roma è inalienabile» (§92), tuttavia «un orientamento che emerga nel processo consultivo come esito di un corretto discernimento [...] non può essere ignorato» (§92). Se noi continuiamo a seguire, come già si è cominciato a fare, questo nuovo modo di prendere decisioni in tutte le nostre comunità cristiane, avvalendoci del metodo sinodale della conversazione nello Spirito, vedremo davvero la Chiesa trasformarsi concretamente per essere nello stesso tempo meglio capace di rispondere alle tante sfide missionarie dell'età contemporanea.

Esercitarsi nell’ascolto per passare dall’“io” al “noi”

Questo implica passare dall’“io” al “noi”, lasciando che sia Cristo il vero leader. Il Vangelo di Giovanni al capitolo 21, che introduce questa parte III del Documento finale sulla conversione dei pro cessi, lo spiega bene. Si tratta di passare dal modello di Pietro che decide da solo – «Vado a pescare», gli altri non fanno che seguirlo, trascorrono la notte senza prendere nulla – al modello dell’ascolto della voce di Cristo – «Gettate le reti» –, che implica di decidere e agire insieme in una obbedienza fiduciosa a quel che è stato riconosciuto come un appello dello Spirito. “Gettare insieme le reti” apre allora a una pesca sovrabbondante. Si vede qui una maniera di decidere e agire insieme, ognuno secondo il suo ruolo, la sua vocazione, il suo carisma. Pietro ha bisogno della parola di Giovanni – «È il Signore» – per riconoscere il suo Signore, e tutti gli altri contribuiscono a ritirare le reti piene di pesci. Così è la Chiesa sinodale, che abbiamo vissuto nella seconda sessione del Sinodo attorno ai nostri tavoli rotondi. Abbiamo preso coscienza che siamo necessariamente interdipendenti e chiamati a vivere tra noi e con gli altri uno “scambio di doni” fondato sulla reciprocità. Muovendo da qui, il Documento insiste sull’importanza di mettere in opera queste nuove prassi fondamentali di trasparenza, rendiconto e valutazione. E a tal fine sono indicate delle modalità concrete, come ad esempio l’attivazione dei diversi consigli o organismi di partecipazione, l’«effettivo funzionamento dei consigli degli affari economici» (§102), un «coinvolgimento effettivo del popolo di Dio nella pianificazione pastorale ed economica» (§102), la «valutazione periodica dello svolgimento di tutti i ministeri e incarichi all’interno della Chiesa» (§102).

La sfida della formazione per una Chiesa sinodale

Un intero capitolo, l’ultimo, è dedicato alla formazione, che è apparsa come una sfida decisiva per vivere la sinodalità. La prospettiva è quella di formare un popolo di discepoli missionari. «Una delle richieste emerse con maggiore forza e da ogni parte lungo il processo sinodale è che la formazione sia integrale, continua e condivisa. Il suo scopo non è solo l’acquisizione di conoscenze teoriche, ma la promozione di capacità di apertura e incontro, di condivisione e collaborazione, di riflessione e discernimento in comune, di lettura teologica delle esperienze concrete. Deve perciò interpellare tutte le dimensioni della persona (intellettuale, affettiva, relazionale e spirituale) e comprendere esperienze con crete opportunamente accompagnate» (§143). Questo approccio esige di cambiare le nostre pedagogie formative per renderle più partecipate, esperienziali e contestuali, tenendo conto delle culture locali. È un immenso cantiere che necessita di investire particolarmente sulla formazione dei formatori. Questo implica anche il ripensare – cosa che è già l’oggetto di uno dei gruppi di studio seguiti alla prima sessione – la formazione dei futuri preti, sviluppando modelli di una formazione comune tra seminaristi, consacrati e laici.

Da notare che il Documento sottolinea particolarmente il ruolo della famiglia come «luogo privilegiato per apprendere e sperimentare le pratiche essenziali di una Chiesa sinodale» (§35), dove vivere la ricchezza delle relazioni tra le persone, dal momento che, in un certo senso, la famiglia è la prima scuola di sinodalità. Da valorizzare ulteriormente, anche in Occidente, la grande ricchezza vissuta in numerose Chiese d’Africa, d’Asia e d’America Latina delle piccole comunità o fraternità cristiane che ci consentono di vivere questa fraternità sinodale in Cristo a dimensione umana.

Un più grande frutto: lo slancio ecumenico

Uno dei frutti più grandi del Sinodo concerne l’ecumenismo. Dal momento che «il battesimo è il fondamento sia della sinodalità che dell’ecumenismo» (§23), il cammino sinodale è un cammino intrinsecamente ecumenico. Lungo tutto il processo sinodale si è rafforzato l’appello a spingersi oltre nel cammino di ricerca dell’unità dei cristiani. L’Assemblea è stata particolar mente arricchita dalla partecipazione di sedici delegati fraterni di altre tradizioni cristiane (quattro di più della prima sessione) sia ortodossi che protestanti. Questo cammino, d’altra parte, è stato particolarmente segnato dall’esperienza forte delle veglie di preghiera ecumenica. Lo scorso anno sulla piazza San Pietro, la preghiera Together alla vigilia dell’apertura della prima sessione, ha riunito cristiani di tutte le confessioni intorno al papa e agli altri leader delle differenti Chiese. E quest’anno sul luogo del martirio di Pietro, l’11 ottobre, per celebrare il giorno dell’anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II nel 1962 e i sessant’anni dalla pubblicazione del Decreto sulla Chiesa Lumen gentium e di quello sull’ecumenismo Unitatis redintegratio. Il Documento Finale del Sinodo ha condotto a ribadire forte mente l’impegno della Chiesa cattolica a continuare e intensi ficare il cammino ecumenico con gli altri cristiani, salutando con gioia e gratitudine i progressi delle relazioni ecumeniche nel corso degli ultimi sessant’anni, e invitando ad andare piùlonta no per progredire verso la piena comunione, grazie alla ricezione dei frutti del cammino ecumenico nelle prassi ecclesiali. Molti sono concordi nel dire che questo Sinodo ci ha fatto entrare in una nuova tappa sul piano dell’ecumenismo.

Imparare a vivere l’unità nella diversità

L’esperienza del Sinodo dei Vescovi con partecipanti così diversi venuti da tutti i paesi è stata prima di tutto un’esperienza forte della cattolicità della Chiesa. Abbiamo sperimentato come la diversità, soprattutto culturale, quando si cerca di ascoltarla e di accoglierla con umiltà e benevolenza, non è un ostacolo ma una ricchezza che allarga, interroga e stimola il nostro punto di vista. La sinodalità richiede cuori aperti e umili, pronti a la sciarsi toccare e interrogare dagli altri. Nessuno detiene da solo la verità. Nessuno può comprendere ed esprimere da solo la ricchezza del messaggio evangelico. L’immagine dell’orchestra evocata nel Documento Finale illustra perfettamente questa realtà: «la varietà degli strumenti è necessaria per dare vita alla bellezza e all’armonia della musica» (§42). Questa metafora sottolinea come la diversità, lungi dall’essere un ostacolo, arricchisca l’unità della Chiesa. Questa è stata l’esperienza profonda di questo Sinodo.

E, vivendo questo, abbiamo compreso ulteriormente come il pro cesso sinodale offra un modello per la società nel suo insieme, e sia anche un messaggio per il mondo. «La disponibilità all’ascolto di tutti, specialmente dei poveri, si pone in netto contrasto con un mondo in cui la concentrazione del potere taglia fuori i poveri, gli emarginati, le minoranze e la terra, nostra casa comune» (§48). In un contesto globale segnato dalle crisi e dai conflitti, l’esperienza sinodale offre un modello di dialogo e di discernimento comune. «Praticato con umiltà, lo stile sinodale può rendere la Chiesa una voce profetica nel mondo di oggi» (§47).

In conclusione, un appello alla corresponsabilità

La trasformazione iniziata attraverso questo processo sinodale non è che cominciata. La sua riuscita dipenderà dalla capacità della Chiesa di mettere in opera concretamente i cambiamenti proposti a livello locale, poiché «senza cambiamenti concreti a breve termine, la visione di una Chiesa sinodale non sarà credi bile» (§94). Questo dipende dal coinvolgimento di ciascuno, la sinodalità comincia in noi e con ciascuno di noi. A ciascuno tocca discernere come può promuovere questa nuova maniera di essere Chiesa alla quale tutti aspiriamo, una Chiesa della fraternità in cui tutti sono ascoltati, riconosciuti, valorizzati e contribuiscono all’opera comune dell’evangelizzazione e del servizio a un mondo in cerca di speranza.

* Traduzione dal francese a cura della redazione