Le religioni oltre le frontiere

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Osservando la storia religioso-culturale dell’umanità, appare quasi ovvio giungere alla conclusione che non c’è religione senza cultura e viceversa: l’una e l’altra sono inscindibilmente connesse. Questo almeno fino alla modernità occidentale, quando si è pensato che religione e vita civile dovessero essere distinte o separate, benché a uno sguardo attento la stessa modernità occidentale appaia frutto di una particolare religione, quella cristiana. Una seconda notazione che nasce dall’osservazione della storia dell’umanità è che in buona parte le religioni sono, almeno tendenzialmente, cattoliche. Ovviamente è più facile constatarlo per le grandi religioni, che non per le religioni – e le culture – di popolazioni rimaste chiuse alla comunicazione con altre espressioni dell’umano. Una terza notazione attiene alla trasformazione che le religioni subiscono a contatto con culture diverse rispetto a quelle che le hanno originate e modellate. Per avvedersene basterebbe prestare attenzione alle varie forme di buddismo, di giudaismo, di cristianesimo, di islam; nella loro espansione tutte hanno subito cambiamenti: il buddismo originario non è il buddismo cinese o giapponese, il giudaismo spagnolo non è il giudaismo dei Paesi orientali, il cristianesimo orientale non è quello occidentale, l’islam sciita non è quello sunnita. All’interno di queste rispettive diversità si riscontrano poi molteplici altre distinzioni, che, a ben guardare, nascono in contesti culturali diversi. In forma un po’ semplificatrice, ponendo attenzione al cristianesimo, si potrebbe sostenere che il protestantesimo non avrebbe potuto sorgere in Italia o in Spagna, dove pure si riscontravano movimenti di riforma.

Ovvio che l’intrico dei fattori che hanno rimodellato le religioni comporta anche dimensioni politiche, ma pure queste hanno a che fare con Weltanschauungen differenti, sintoniche con quelle presenti anche nelle religioni. Tenendo conto di queste allusive notazioni, attribuire alle religioni la causa dei conflitti tra i popoli è operazione antistorica. Le religioni sono state e sono forme di vita che superano le barriere, e quindi possono diventare ponti per processi di riconciliazione tra i popoli. Ciò in due direzioni: verso il passato e verso l’alto. Verso il passato, poiché ogni religione, pur nella diversificazione assunta nel corso della sua espansione, si riconosce in una fonte comune, in genere nel fondatore o nei libri normativi. In questo senso, gli studi dei libri sacri aiutano a introdurre elementi critici nelle figure delle religioni, peraltro mai storicamente stabilite in forma definitiva. Pur riconoscendo che l’interpretazione dei testi è essa stessa frutto di orizzonti culturali storicamente connotati, è convinzione comune che i testi fondativi restino il riferimento normativo. Non a caso, ogni tentativo di riforma delle religioni storiche propone un ritorno alle origini. Verso l’alto, poiché ogni religione riconosce un Assoluto, che relativizza tutte le forme storiche della relazione con esso. In questa prospettiva possono essere letti i tentativi di dialogo interreligioso. Non ultimi i documenti di Abu Dhabi e quello di Giacarta, nei quali il sommo rappresentante del cattolicesimo e due rappresentanti di figure maggioritarie dell’islam hanno riconosciuto che il comune riferimento a Dio/Allah permette di trovare una base condivisa non solo per il dialogo, ma pure per stemperare ogni utilizzo della religione col fine di giustificare la violenza. Si potrebbe altresì ricordare ciò che papa Francesco ha detto rivolgendosi ai giovani a Singapore, invitandoli al coraggio del dialogo interreligioso. Con assonanze al pensiero di Raimund Panikkar ha detto che le religioni sono cammini, linguaggi diversi per arrivare a Dio. Da ciò potrebbe apparire che si debbano abbandonare le religioni storiche per giungere all’esperienza religiosa e al senso religioso, per richiamare la Dichiarazione Nostra aetate (cfr. n. 2) del Concilio Vaticano II. Ovvio che immaginare tale percorso significherebbe dimenticare che non esiste esperienza religiosa che non sia categoriale e quindi culturalmente conno tata. Pare piuttosto si possa/debba riconoscere da parte di ogni appartenente alle diverse religioni che tutte sono legittime vie per entrare in comunione con la Trascendenza. Ciò non vuol dire che siano tutte uguali. Affermarlo vorrebbe dire ritenere che le culture nelle quali le religioni si sono modellate sono uguali, con evidente misconoscimento del dato di fatto. In questo senso va accolta la visione di Stephan Heim, il teologo battista americano che critica la posizione di John Hick, Paul Knitter e altri, rimarcando che la differenza tra le religioni va salvaguardata. La via da intraprendere è piuttosto riconoscere che, nelle differenze, una religione mantiene e mostra la plausibile convinzione di avere in sé elementi che rendono possibile un’esperienza religiosa più completa e quindi realizza in forma anche intensiva il significato di “cattolica”. Per questo da parte del Magistero e della teologia cattolica si è voluto riaffermare che il cristianesimo è la religione “più vera”, stante la sua origine nell’autocomunicazione storica di Dio in Gesù di Nazaret, che nessun’altra religione riconosce. Anche per questo, non a caso, il dialogo interreligioso è stato (pur in forme timide e germinali) e oggi soprattutto è una delle pratiche principali promosse da profeti, teologi e pastori cristiani. Né potrebbe essere altrimenti: là dove si confessa che Dio è salvatore di tutti non può esserci spirito settario, chiusura nazionalistica, cultura imperialista; si acquisisce piuttosto uno sguardo cattolico, capace di vedere l’azione di Dio, nello Spirito, anche oltre i confini religioso-culturali della tradizione cristiana. Ed è questa la via della pace.

Il dossier, nella sua articolazione, riprende l’insieme dei temi qui sopra accennati e propone una scansione di contributi che li affronta da differenti punti di vista mostrandone complessità, contraddizioni, speranze. Un itinerario che utilizzi le scienze delle religioni (e la storia delle religioni) può mostrare come le esperienze religiose siano componenti della cultura di un popolo, inserito nella storia e soggetto, pertanto, a continue trasformazioni, e come religione e cultura si influenzino e si condizionino reciprocamente. Un tale percorso è proposto con ricchezza di dati da Salvatore Rindone che utilizza una ricca e aggiornata bibliografia. Se è vero che «la religione è soggetto e oggetto della cultura», si devono fare i conti oggi con l’importante questione della co-presenza di molteplici culture e religioni, sempre più spesso all’in terno dello stesso spazio socio-culturale nella società globalizzata, attraversata dall’inarrestabile fenomeno delle migrazioni.

Ma è un dato di fatto, sociologicamente rilevante, che il cristianesimo, soprattutto in Europa, sia segnato da un processo di secolarizzazione, con una crescente distanza dalle chiese e dalle loro iniziative, specialmente tra i giovani, molti dei quali si di chiarano senza Dio. Franco Garelli evidenzia come, accanto a questo fenomeno, emerga una nuova domanda di spiritualità fuori dalle religioni istituzionali, legata alla crisi di autorità delle istituzioni e alle difficoltà della Chiesa nel dialogare con i cambiamenti culturali. Pur proiettando un’immagine problematica, la Chiesa resta un riferimento identitario per alcuni e trova forza in una minoranza attiva che, attraverso parrocchie e reti di volontariato, può ancora offrire il Vangelo e la bellezza di una vita  buona, umanizzante a tutti i livelli.

Nella pluralità delle religioni, riconosciuta non solo come dato di fatto ma pure come diritto, si ripropone il tema, per molti inattuale ma pur necessario, della vera religione. Con rigore logico ne tratta Andrea Aguti, muovendo dal diffuso scetticismo nei confronti della verità, anche se quando si tratta di religione, parlare di verità risveglia timori di imperialismo. In quest’ambito ogni persona o gruppo di persone deve poter dare credito all’esperienza religiosa che vive, senza avanzare pretese di verità, a fronte di altre esperienze che sarebbero false, e neppure di possedere una verità superiore a quelle di altre esperienze. Peraltro, affermare che una religione è vera non significa dichiarare false tutte le altre; significa piuttosto aprire la possibilità di acquisire criteri per stabilire che la religione non è illusione e quindi rendere possibile il dialogo interreligioso, che – lo si voglia o no – mira a scoprire la verità.

Difficile, poi, sradicare la diffusa convinzione che le religioni sono una delle cause principali dei conflitti in atto. Non si può certamente negare che in molte circostanze lo siano state e ancora lo siano; così, non si può negare che all’interno della medesima religione orientamenti diversi abbiano generato contrapposizioni violente, fino alle guerre. Come mostra Brunetto Salvarani, si deve però riconoscere che da alcuni decenni sta maturando la consapevolezza teorica che Dio non può essere chiamato in causa per giustificare la violenza.

Non dissimile è la visione proposta da Andrea Toniolo, che con perspicacia rileva il rapporto tra religioni e potere. Quando le religioni vengono accusate di essere la causa dei conflitti, si dice solo una mezza verità, dimenticando che, come è avvenuto nel passato e avviene ancora oggi, c’è stato e continua ad esserci un uso strumentale delle religioni. Non si può essere certamente ingenui e ritenere che le religioni siano pure: in esse si riscontrano commistioni non solo di culture, ma pure di interessi economi co-politici. In effetti le religioni possono diventare anche catalizzatori di malessere sociale e di protesta, marcatori di identità che aumentano i conflitti.

Se la diversità delle fedi non ostacola il riconoscimento di un uni co Dio di cui si è figli, e pertanto «fratelli in una casa comune da abitare», il documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato ad Abu Dhabi da papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib, rappresenta una chiara testimonianza di questa visione. A chiusura del dossier, il forum ospita le riflessioni di tre voci appartenenti a tradizioni religiose diverse su come tale documento e l’enciclica Fratelli tutti siano stati accolti dalle comunità musulmana, ebraica e cristiana, approfondendo se il comune riferimento a Dio possa davvero favorire un cammino di pace mondiale.

Obiettivo del dossier, che conclude l’annata di «Dialoghi» dedicata alle frontiere, è aiutare i lettori a riconoscere che, al di là dei luoghi comuni, le religioni possono costituire ancora oggi fenomeni capaci di mettere in comunicazione popoli e culture per costruire l’auspicato mondo di pace, nel quale nessuno sia escluso a motivo della diversità delle sue appartenenze.