Il tempo che viviamo ha diverse sfaccettature, dipende dalle prospettive e dalle sensibilità con le quali lo si guarda. Ce n’è una, forse, più prepotente delle altre: è quella che guarda al tempo come dimensione nella quale tutto ci sfugge di mano, non riuscendo a star dietro alla velocità dei cambiamenti che ci propone. Ogni cosa ci appare fragile e al tempo stesso sproporzionata rispetto alle nostre capacità. Tutta la società così diventa accelerata, popolata da donne e uomini che corrono, si incrociano senza toccarsi, procedono con lo sguardo rivolto a terra.
Non c’è tempo per alzarlo, si teme lo sguardo dell’altro e si tira dritto. Ciascuno per sé. Connessi ma isolati. È il tempo in cui le relazioni diventano altro: si digitalizzano, perdono sostanza preferendo una leggerezza senza responsabilità, sfumano ed evaporano come acqua al sole. La pandemia ci ha fatto toccare con mano il distanziamento sociale e le sue implicazioni. Un contesto nel quale la solitudine irrompe, senza fare distinzioni, nella vita rumorosa dei più giovani e in quella silenziosa e ritirata degli anziani.
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