Eschaton come evasione o stimolo all’impegno nella storia?

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Perdita di tensione escatologica e di passione nei confronti della costruzione della città dell’uomo vanno insieme. In un tempo di metamorfosi radicali appare sempre più difficile, ma sempre più necessario, essere testimoni credibili di speranza attraverso l’impegno storico che semina sulla terra segni di eternità.

Perdita di tensione escatologica e di passione nei confronti della costruzione della città dell’uomo vanno insieme in un tempo di metamorfosi radicali. L’uomo contemporaneo non guarda più al cielo.

E così facendo sembra aver perso la capacità di pensare e prendersi cura, anche qui in terra, di qualunque cosa lo trascenda. Neppure i credenti, a ben vedere, appaiono immuni dal correre un rischio molto simile. Quello di vivere la propria esperienza di fede dentro una quotidianità “sociologica”, tutta orizzontale, che ne ingabbia la carica profetica e vivificante, senza avvertire l’urgenza di pensare e agire visibilmente come coloro che «vivono sulla terra ma hanno la cittadinanza in cielo»1 . Sapendo, al tempo stesso, che è sempre presente nel nostro tessuto ecclesiale la tentazione opposta, quella di rifugiarsi in una consolatoria prospettiva ultraterrena incapace, però, di portare semi di risurrezione nella comunità degli uomini.

Il risultato è il medesimo: una progressiva perdita di tensione escatologica e di passione nei confronti di quella costruzione – da cristiani – della città dell’uomo a misura d’uomo che Giuseppe Lazzati ci ha insegnato a considerare la cifra più vera della politica.

Quanto lontani siamo allora dalla prospettiva che il Concilio affidava alle donne e agli uomini di sessant’anni fa? Lì si rilanciava l’idea di un’unità fra «la sollecitudine per il lavoro relativo alla terra presente» e l’esperienza religiosa; negli anni, invece, noi per primi ci siamo nuovamente attardati in distinzioni che sono diventate via via vere e proprie separazioni: fra impegno ecclesiale e impegno sociale e politico, fra spirituale e temporale, fra vita eterna e realtà terrena. E il mondo, anche per questo, negli ultimi anni ha fatto sempre più fatica a guardare oltre il presentismo in cui sembra essersi condannato a vivere.

In un tempo di metamorfosi...

Certamente a questo contribuisce il fatto che viviamo oggi un tempo di spaesamento che riguarda non solo le cose ultime ma anche le “penultime”, come ci avrebbe ricordato Bonhoeffer. Un tempo difficile da leggere.
L’attuale generazione, sottolinea Ulrich Beck, è chiamata a vivere in un mondo le cui prodigiose modificazioni non sono più spiegabili con le categorie a noi note del cambiamento, dell’evoluzione, della trasformazione, e perfino della rivoluzione: è un mondo che non sta semplicemente cambiando ma che è nel bel mezzo di una vera e propria “metamorfosi”2 .
Eventi imprevedibili per le loro conseguenze, come una guerra “novecentesca” al centro dell’Europa o l’accelerazione di una crisi climatica che sembra assumere le sembianze di una rivolta della natura nei confronti dell’uomo, ci proiettano all’improvviso in realtà difficilmente ipotizzabili che ci spaventano perché tolgono molti dei punti di riferimento cui eravamo abituati.
Si spiega così anche il pessimismo culturale dominante. Tutti sappiamo che «il bruco subirà una metamorfosi e diventerà farfalla» ma le donne e gli uomini del nostro tempo sono come bruchi chiusi nel bozzolo di una visione mondana senza riuscire a riconoscere la differenza fra deperire e realizzarsi pienamente, diventando altro.

Da qui la sfida di accompagnare questa metamorfosi in una chiave di speranza, come fossero le “doglie del parto” del mondo che verrà; e il miglior servizio da offrire all’umanità inconsapevole di questo “già e non ancora” diventa quindi l’approccio profetico e creativo di un cambio di paradigma che aiuti – come suggerisce Mauro Magatti3 – ad «uscire dalla crisi pensando al futuro».

... recuperare il senso della Storia

I cristiani possono restituire senso e prospettiva a questo spaesamento principalmente aiutando il mondo a recuperare una visione della storia che faccia superare alle donne e agli uomini contemporanei la visione – ristretta perché priva di ogni “ulteriorità” – in cui sembrano affaticarsi.
Ci viene in aiuto la tradizione orientale, in particolare, per riscoprire il fascino di una lettura della storia che abbia come presupposto la divino-umanità di Cristo, il suo porsi a crocevia rispetto alla sete di assoluto che è nel cuore di ogni uomo.
Siamo chiamati a far fare ai nostri contemporanei l’esperienza dello scontro e dell’interazione più profonda della divinità e dell’uomo, riaffermando che il destino umano non è soltanto terrestre ma celeste, non solo storico ma metafisico, non solo umano ma divino. E per questo serve una «conversione profetica alla storia», mettersi accanto alle donne e agli uomini del nostro tempo per una nuova lettura dei segni dei tempi4 .

Porsi in ascolto della storia con uno sguardo lungo e “spirituale” ci aiuta allora a comprendere meglio e ad accompagnare le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi. Ad esempio, partendo dalla piena presa di consapevolezza dei contemporanei dei perché di una “mancanza” (un’insaziabile fame di felicità, alienazione, rottura delle relazioni…) che nasce dalla crisi profonda di quell’umanesimo dell’autoaffermazione che da almeno due secoli affonda le sue radici nell’illusione dell’uomo che nega se stesso come immagine e somiglianza di Dio. Oppure di quella malintesa superiorità che, con l’avvento della macchina (dal vapore al microchip) ha stravolto il rapporto fra l’uomo e la natura, originando l’illusione di un dominio che – diventato sempre più dispotico ed irresponsabile – oggi comincia ad apparire sempre più insostenibile per il conto salato che fa pagare in termini di squilibri sociali e ambientali.

Credibili testimoni di speranza...

Alla luce di questa percezione di fatica, la sfida principale appare, dunque, quella di rispondere al profondissimo bisogno di speranza che sale da un’umanità che ormai «non sembra credere in un futuro felice, non confida ciecamente in un domani migliore a partire dalle attuali condizioni del mondo e dalle capacità tecniche» (Ls 113).
La fatica di un tempo che non nasce dalla percezione che «non ce la passiamo bene, e nemmeno che potremmo stare peggio da qui in poi», ma – come dice Bregman – dalla nostra «incapacità di tirar fuori qualcosa di meglio»5 , dal fatto che non sappiamo guardare oltre il qui e ora di questi anni complessi. È sempre papa Francesco a ricordarci, nella Evangelii gaudium (181), che «la vera speranza cristiana, che cerca il Regno escatologico, genera sempre storia». E nella Bibbia troviamo testimoniato come, ogni volta che tutto sembrava perduto, si è trovato un resto fedele che, per l’appunto, ha permesso la metamorfosi.
Ciò che veramente può contrastare la disintegrazione è, quindi, la presenza di comunità eucaristiche e di donne e uomini eucaristici. Che lottano incessantemente per la reintegrazione nello spirito, per la reintegrazione nell’amore, della materia, della società, dell’anima stessa.

... da credenti, “con i piedi nella storia”

Una lettura sapienziale della storia ci consegna, dunque, la consapevolezza che un nuovo tempo allora si apre per noi. I cristiani oggi non possono esercitare che un limitato potere sulla cultura e la società ma possono, con umile forza, suggerire un senso, un calore, una luce.
Il nichilismo contemporaneo, in fondo, può essere un ambito favorevole per la testimonianza della risurrezione. «Hanno rubato i sogni all’uomo» – è vero – ma è proprio ora che occorre tornare a desiderare, contemplare orizzonti sconosciuti, in cui elaborare una visione radicale di un mondo migliore di quello in cui viviamo.
Spetta ai credenti, forti della loro esperienza di fede, “mettere i piedi nella storia”, raccontare la forza del Signore che si fa vicino per sostenerci e per infonderci coraggio così come descrive l’icona della tempesta (cfr. Mt 14,22-36); un’esperienza che siamo chiamati a testimoniare e che diventa, quindi, l’occasione per raccontare che le prove della vita sono esattamente il luogo in cui il Signore ci viene incontro per vincere la nostra paura.
Ancora il pontefice ricordava che soprattutto «a chi governa compete discernere le strade della speranza», sottolineando che noi figli dell’Europa Unita (i cui Padri fondatori – Adenauer, De Gasperi e Schumann – erano non a caso tre cristiani) abbiamo la fortuna di poterci riferire a un’esperienza storica (anche da questo punto di vista) eccezionale. Si chiede, infatti, papa Bergoglio: «Quale il contenuto della speranza? I pilastri sui cui si è costituita l’Europa unita: la centralità dell’uomo, una solidarietà fattiva, l’apertura al mondo, il perseguimento della pace e dello sviluppo, l’apertura al futuro»6 .

Ridare cittadinanza alla politica con la P maiuscola…

Anche se potrebbe sembrare apparentemente in contraddizione, il percorso che può favorire il rimetterci – insieme anche ai non credenti – di fronte ai problemi trascendenti passa, dunque, attraverso la riscoperta della vocazione più propria dei fedeli laici così come ce la riconsegna il Concilio, tanto nel fine («cercare il regno di Dio») quanto nella via da percorrere («trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio»).
Serve perciò il coraggio (e in questo periodo ce ne vuole davvero molto) di fare un regalo al mondo odierno rimettendo al centro il tema della politica come costruzione di una comunità. Sdoganando quella che oggi è una vera e propria parola “rifiutata”, che suona stonata e sgradita alle orecchie dei nostri concittadini (e non solo alle loro) e alla quale va restituita dignità di una vocazione altissima, forma preziosa della carità, perché sempre alla ricerca del bene comune.
Ed è per questo necessario partire da una conversione radicale in primis della comunità ecclesiale, da troppi anni disabituata a un serio discernimento sulle cose del mondo, siano esse un nuovo piano regolatore, il disagio dei giovani del quartiere o le grandi questioni dell’economia, del diritto alla salute o delle migrazioni, spaventata dallo “sporcarsi le mani” o dal rischio di “importare” in parrocchia e nei gruppi le polarizzazioni del dibattito civile.
Limiti che misuriamo nella distanza da quanto richiamato proprio dalla Gaudium et spes (75): se infatti «la Chiesa stima degna di lode di considerazione l’opera di coloro che per servire gli uomini si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità» perché, invece, chi è impegnato nella “trincea” del sociale o del politico sente quasi sempre l’imbarazzo e la prudenziale messa ai margini della comunità che spesso ha generato il suo impegno missionario e lo dovrebbe sostenere con la preghiera e il discernimento?
Proprio all’Azione cattolica papa Bergoglio ha ricordato che «devono nascere nuove e creative decisioni che solo la politica, la politica con la P maiuscola può garantire» e che per questo «servono politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali del nostro mondo!».
Una politica, quindi, che viene prima e ricomprende – superandolo – l’impegno nelle istituzioni, che con l’attuale teatrino dei talk show ha in comune solo il nome, che apre la persona alla propria dimensione universale, attraverso la ricerca del bene di tutti e non solo del proprio.

... con alcune modalità (e parole) concrete...

Si comprende meglio a questo punto l’invito della Laudato si’ (19) a «trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo». Fare nostre le doglie del parto, accompagnare le fatiche di questo tempo è il modo migliore (oggi forse l’unico) per testimoniare un altro stile di impegno nella cosa pubblica.
Questo è, infatti, il momento in cui la politica può recuperare credibilità solo a patto di trovare qualcuno disposto a viverla come rischio e non come privilegio, come perdita, e non come guadagno, come croce e non come status.
Ed è evidente che nessuno, meglio dei credenti, avrebbe oggi una “scatola degli attrezzi” migliore e più credibile se ripartissero dalla gratuità (il frui agostiniano) e non dall’utilità (uti) con uno stile fatto di sobrietà (capace di scardinare il pregiudizio degli sprechi e delle prebende eccessive), di attenzione ai poveri e alle periferie esistenziali (e non dall’accompagnarsi a chi è circondato dall’aura del successo), di sguardo lungo e paziente nel privilegiare i tempi dei processi (rispetto agli spazi di potere)7.
Inutile nasconderselo. Una visione così radicalmente innovativa, che il mondo desidera ma al tempo stesso teme (per le logiche che sarebbe in grado di scardinare), richiede a chi voglia farsene interprete un prezzo personale alto e non evitabile.
L’unica “moneta” con la quale le donne e gli uomini d’oggi sono disposti a scambiare una rinnovata fiducia verso i costruttori di nuovi modelli di partecipazione e di costruzione civica, reca infatti sulle sue facce le immagini dell’audacia di donne e uomini liberi e liberati, della radicalità di chi sa rimanere saldo nel bene perché ha scelto di costruire la propria casa sulla roccia, della credibilità di vite coerenti e capaci di relazioni sane, dell’umiltà di chi sa “stare” con fedeltà con le persone e nei luoghi che gli sono stati affidati, anche i più marginali, nonostante i dubbi e le battute d’arresto.

... per seminare sulla terra segni di eternità!

Con questo stile diventa, quindi, possibile entrare in alcune delle contraddizioni di questo tempo storico, che diventano luoghi privilegiati dove sperimentare una rinnovata capacità di aprire orizzonti credibili di senso e di speranza.
1. Il tema del conflitto e della pace è forse il più attuale e sentito fra le paure del nostro tempo. Una ferita che si è riaperta anche nell’esperienza dei popoli europei che speravano di averla consegnata per sempre a un passato terribile ma – apparentemente – capace di insegnarci che la guerra non è mai la soluzione delle controversie e che il “no” a violenze, vendette e odio è il fondamento dello sviluppo e della concordia fra i popoli.
Purtroppo l’Ucraina ci insegna che non è così e ci dice quanto sia bello ribadire con forza la speranza della profezia di Isaia, per la quale solo dalla vera riconciliazione nasce una condizione in cui «il lupo abiterà con l’agnello e il leopardo si sdraierà accanto al capretto», mentre «il lattante giocherà sul nido della vipera” (Is 11,1-16).

2. In questo tempo di divisioni profonde, di assenza di dialogo e di difficoltà a uscire dalla logica della salvezza individuale, il racconto della Pentecoste descritta in Atti 2 ci regala, invece, una visione di prospettiva e un’affascinante pista di lavoro che attraverso il dono delle lingue possa nuovamente far comprendere gli uomini fra di loro e fondi il nostro impegno a trovare parole che facciano di tanti popoli “un popolo solo”.
Ritrovare un linguaggio non divisivo, capace di generare «stupore e meraviglia» e di far riscoprire la condizione di popolo capace di ascoltare «nella propria lingua madre» «le grandi cose di Dio» è il modo per restituire la capacità di alzare lo sguardo, perché come suggerisce il profeta Gioele, citato nel brano, nella capacità di sognare c’è la cartina di tornasole dei tempi nuovi «i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno dei sogni» (Gl 3,1).

3. Va riscoperta e vissuta in pienezza allora l’esperienza forte della fraternità8 che rispetto al trittico del 1789 rimane «la promessa mancata della modernità» ma la cui riscoperta può aiutarci a riscoprire un “respiro universale”, capace di animare una cittadinanza moderna, e un nuovo umanesimo sollecito e solidale fra i popoli e le nazioni.
Fraternità che è rivelazione di Cristo ed è un effetto delle nuove energie di carità da Lui immesse nel seno della storia, principio recentemente rilanciato nelle diverse discipline sociali, la cui forza rigeneratrice ha permesso negli ultimi decenni di elaborare l’idea di “economia civile” e che va implementata in una nuova stagione delle “opere”. Per rispondere concretamente ai sempre crescenti bisogni di promozione umana e trasformare in solidali esperienze di sviluppo economico e sociale rapporti di libertà e fiducia capaci di far volgere sempre più lo sguardo a Colui che solo sa abbracciare e trasfigurare il mondo.

Note

1 Cfr. Didachè - Prima lettera di Clemente ai Corinzi - A Diogneto, Città Nuova, Roma 2008.

2 Cfr. U. Beck, La metamorfosi del mondo, Laterza, Roma-Bari 2017.

3 Cfr. M. Magatti, Cambio di paradigma. Uscire dalla crisi pensando il futuro, Feltrinelli, Milano 2017.

4 Cfr. N. Berdjaev, Il senso della storia, Jaka Book, Milano 1971.

5 R. Bregman, Utopia per realisti, Feltrinelli, Milano 2016, p. 4.

6 Discorso del Santo Padre ai capi di Stato e di governo in occasione del 60º anniversario della firma dei trattati di Roma, 24 marzo 2017.

7 «Il tempo è superiore allo spazio» (Eg 222).

8 Cfr. Lettera del Santo Padre Francesco al presidente della Pontificia Accademia per la Vita, Roma 6 gennaio 2019.