Oltre il bipolarismo “radicale”. La battaglia politica è al centro

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Le fibrillazioni del governo (dei deboli) Conte II e l’avanzare dei sovranisti anti Europa Salvini e Meloni, la discesa in piazza del movimento civico delle “sardine” e i cattolici alle prese con l’eterno dibattito tra nostalgici del partito unico e chi una casa politica ce l’ha già. Breve ritratto “magmatico” dell’attuale quadro politico nazionale.

arebbe oltremodo ingenuo calare (presunte) certezze su un quadro politico assolutamente fluido e suscettibile di nuovi “terremoti” nei prossimi anni, se non mesi. L’unico appiglio solido è che il tripolarismo apparso sulla scena italiana nel 2013 e consolidatosi alle elezioni politiche del 2018 è già ai titoli di coda, poiché parte del vasto consenso raccolto dal “nuovo polo”, il Movimento cinque stelle, è già emigrato verso la destra sovranista. Il tripolarismo figlio delle elezioni del 4 marzo 2018 resisterà con varie mutazioni in Parlamento sino alla conclusione (a scadenza naturale o anticipata) della legislatura, mentre nel paese e tra gli elettori già si fa spazio un nuovo bipolarismo.
L’interrogativo riguarda il volto di questo ri-nascente bipolarismo. Ci saranno due poli piegati verso le ali estreme, radicali, due poli ad alto tasso ideologico? O due poli che si faranno battaglia al centro, nella caccia al cosiddetto «voto moderato», ponendo le premesse per una nuova stagione dell’alternanza (scenario che oggi sembra lontanissimo, ma che forse non lo è così tanto)?
Gli elementi di “oggi” farebbero propendere per la prima ipotesi: una “destra-destra” contro una “sinistra-sinistra”, con la prima che realisticamente avrà la possibilità di governare l’Italia non appena si tornerà alle urne. L’asse Lega-Fratelli d’Italia, con i due leader Salvini e Meloni, veleggia ormai da tempo con un consenso di coalizione – secondo i sondaggi – intorno al 45%. Le formazioni moderate e centriste del vecchio centrodestra, a partire da Forza Italia di Berlusconi, non hanno al momento alcuna intenzione di ingaggiare una battaglia di principi a difesa dell’Europa, del multilateralismo e dei valori costituzionali, e affidano le loro residue possibilità di mitigare il cosiddetto “sovranismo” al varo di una legge elettorale proporzionale. Diversamente, saliranno sul carro del vincitore espellendo quelle poche voci che si pongono un problema di coscienza di fronte, appunto, al “sovranismo”.

Da Conte a Zingaretti, tutti nel mirino di Renzi
In questo scenario di bipolarismo “radicale”, l’altro fronte appare assolutamente scomposto e frammentato. Il Pd ne sarebbe l’architrave, il M5s l’alleato combattuto poiché travolto da una crisi psicologica prima ancora che politica. E una marea di sigle a sinistra e al centro – esistenti o nascenti, laiche e anche di ispirazione cristiana – brillano più per l’autoreferenzialità che per la capacità di mettere risorse a disposizione di un progetto credibile. Inoltre, su questo già malconcio fronte Matteo Renzi ha piazzato, subito dopo la nascita del Conte II, una mina non da poco: la sua Italia viva vuole essere, contemporaneamente, l’argine a ogni tentazione di “fuga a sinistra” del polo anti-Salvini e, contemporaneamente, il luogo di rifugio di tutti coloro che si collocheranno fuori dalla “destra-destra” e dalla “sinistra-sinistra”. Da un lato l’azione di Renzi tarpa le ali a chi ritiene che questo tempo richieda una sorta di “radicalità altra” rispetto a quella di Salvini; dall’altro, in prospettiva, guardando la sua forza politica sia al centro, sia a destra sia a sinistra, si pone come futuro snodo della governabilità, andando verso la rimozione della pregiudiziale antisalviniana.
Il profilo di Renzi è inoltre “aggressivo” verso la nascita di altre leadership in questo campo: da Conte a Zingaretti, tutti sono nel mirino dell’ex premier.
Se si votasse oggi, gli esiti della competizione elettorale sarebbero dunque scontati. Per responsabilità anche di un governo, il Conte II, che ha tra le mani l’ultimo gettone per dimostrare, fatti alla mano, che il sovranismo è meno efficace del tradizionale buon governo, ma che lo sta sprecando – fatte salve le oggettive condizioni dei conti pubblici e le attenuanti generiche – tra difetti di comunicazione e di coraggio.
Ma ogni giorno che allontana l’Italia dal voto apre una fessurina ad altri scenari diversi da quello del bipolarismo “radicale”. C’è una riflessione in atto nel campo delle destre, della Lega in particolare, sui motivi che hanno portato al fallimento clamoroso del governo gialloverde (crescita zero, zero rapporti con l’Europa, mercati in fibrillazione, spread alti): sono motivi di politica economica ed internazionale, si tratta dei “fondamentali”, come li ha recentemente definiti l’ex sottosegretario leghista alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti. Notevoli sono le pressioni su Salvini (dal mondo economico del Nord-Est ai governatori del Carroccio, ma anche da ambienti cattolici conservatori) perché “si moderi”, attenui toni e linguaggi, cambi un pezzo della sua agenda. In una parola, rinunci anche a qualche percentuale di consenso che oggi viene dalla pura rabbia e da istinti bassi (razzismo, nostalgie autoritarie, xenofobia, antisemitismo…) e porti la sua nuova Lega ad essere uno dei pilastri di un nuovo bipolarismo che non metta più in discussione l’Europa e i valori costituzionali di fondo. Se nel campo oggi “sovranista” avvenisse questa metamorfosi, analoga trasformazione subirebbe il progetto opposto, con un indubbio potenziamento dell’agenda e della piattaforma politica di Renzi e un ulteriore indebolimento della tentazione di virare a sinistra del Pd e di parte del M5s (non quella di Luigi Di Maio, piuttosto quella di Roberto Fico). In questo scenario incrocerebbero le spade Salvini e Renzi, che però, riconoscendosi e rimuovendo una reciproca pregiudiziale, creerebbero anche le condizioni per alcuni tratti di cammino comune. Accennare a questa ipotesi appariva folle solo poche settimane fa, non lo è più oggi: a riprova che buttare giù tesi sugli scenari politici italiani è uno degli esercizi più pericolosi.
Difficile davvero dire chi, tra i protagonisti della politica, stia imboccando la strada giusta. In particolare, a rendere caotico lo scenario, è l’andamento oggettivamente preoccupante dell’attuale governo. Nato anche con lo scopo di eleggere, a gennaio 2022, un presidente della Repubblica saldamente europeista e ancorato alla Carta, si trova in questo momento in uno stallo che è presagio di crisi, specie se dovessero andare male le elezioni regionali di
fine gennaio in Calabria ed Emilia-Romagna. Il M5s non ha più una rotta chiara e ha rinviato alla primavera gli Stati generali, che rappresenteranno il bivio tra l’alleanza stabile nel centrosinistra e la corsa solitaria, la «traversata nel deserto» di un Movimento che al governo è rimasto vittima della sua stessa narrazione. Di fronte a una crisi di governo, provare a comporre una terza maggioranza (con chi? E perché?) sarebbe davvero arduo. L’unica reale e complessa opzione è quella di una “costituente” con Lega, Italia viva, Pd e Forza Italia, che giustifichi un ulteriore esecutivo di transizione (ipotesi lanciata da Giorgetti, accolta da Renzi e che ora trova qualche consenso in un Pd e un M5s spaventati dalla crisi).
Diversamente, alle forze che oggi tengono il governo, non resterebbe altro che varare una legge elettorale che provi a ostacolare le destre, operazioni tattiche che i cittadini hanno accolto in passato con scarsa simpatia.

Tenuta della democrazia e contributo dei cattolici
Oltre è difficile andare nel disegno degli scenari. Valutazioni invece è possibile farne su questioni più generali. In primis la tenuta della democrazia, il valore più importante. Non c’è bisogno di attentarvi in modo esplicito: è sufficiente, in questo tempo, logorarne il senso. Attendersi una risposta dai partiti sarebbe ingenuo: le risposte essenziali sono sul campo della partecipazione, dell’informazione, dell’istruzione e della formazione, valori da tempo abbandonati dalle forze politiche tradizionali e sbeffeggiati dalle forze politiche “nuove”. Ambiti ormai azzerati o quasi, trascurati per favorire un gioco politico centralistico e finalizzato a gestire nomine, poltrone e potere: si potrebbe dire che i partiti tradizionali hanno creato quelle condizioni, quell’humus sul quale i “sovranisti” e i “populisti” oggi con una certa agilità possono attaccare le istituzioni, sino a quella più importante, il Quirinale, senza suscitare moti di protesta popolare. I movimenti civici nascenti nel paese (a novembre quello delle “sardine”) non a caso fuggono da chi, tra i partiti tradizionali, vorrebbe dargli casa: la loro iniziativa vorrebbe essere “altro” e “oltre”. Altra riflessione di carattere generale riguarda l’impegno dei cattolici, che si mischia in modo confuso ad altre riflessioni su categorie sempre più astratte: il «voto cattolico», il «centro», i «moderati». C’è da dubitare sul fatto che queste parole e queste definizioni abbiano un qualche appiglio reale. Tuttavia, le iniziative abbondano. Alcune hanno già operato una scelta di campo nel centrosinistra. Altre si accodano a coloro che vorrebbero “civilizzare” il sovranismo. Altre ancora alludono esplicitamente al ritorno a un partito dei cattolici (non unico ma “preferenziale”, se così si può dire), che però viene rifiutato da chi ha già un “tetto sopra la testa”. Altre ancora provano a ingaggiare la battaglia al centro, lanciando appelli sia ai liberali spaventati da Salvini sia ai cattolico-democratici cui starebbe stretto un nuovo Pd molto a sinistra. Non va nascosto che una parte di queste iniziative ha una venatura personalistica e che tra queste iniziative, anziché esservi una forma di solidarietà, abbondano significative gelosie.
Pochissimi tra questi “petali” hanno inoltre avviato un lavoro di coinvolgimento sui territori, cedendo alla logica di una visibilità solo nazionale e mediatica. Forse la parte più interessante di questi movimento è quello contenutistico: l’agenda dei cattolici che vogliono impegnarsi si sta rinnovando, soprattutto sulla spinta della Laudato si’ di papa Francesco. D’altra parte la rete esperienziale cui si può attingere (terzo settore, associazionismo, volontariato, start-up, buon governo dei comuni) è davvero ampia. Nel mentre sul fronte dell’offerta politica si notano più velleità che proposte concrete, sul fronte dei contenuti ci sono elementi davvero interessanti. L’assunto da rifuggire è però un altro, quell’assunto secondo il quale ora bisogna “agire” perché «di formazione ne abbiamo fatta sin troppa». Un pizzico di lucidità porterebbe a dire che, se la situazione è questa, «di formazione ce n’è stata ben poca». E abbiamo già visto a quale fallimento possono andare incontro “azioni” politiche cristianamente ispirate sostenute da una inesistente formazione umana, spirituale e di merito.

(20 dicembre 2019)