Carmelitano, intellettuale e giornalista, Tito Brandsma si oppose al nazismo in nome del Vangelo. Professore, mistico e promotore del dialogo, morì a Dachau nel 1942. La sua vita testimonia una fede incarnata, libera e coraggiosa, fino al martirio.
La figura di padre Titus (Tito, in italiano) Brandsma, carmelitano olandese (Bolsward, 23 febbraio 1881 – Dachau, 26 luglio 1942), è davvero poliedrica. Nel corso della sua vita ha ricoperto nei Paesi Bassi, in particolare nel periodo tra le due guerre, una vasta gamma di incarichi in numerosi settori della vita sociale, culturale, educativa e, naturalmente, ecclesiastica.
Annone Sjoerd Brandsma (quando divenne carmelitano cambiò il suo nome in Titus, come suo padre) nacque nella regione settentrionale della Frisia. Sebbene il territorio fosse abitato in gran maggioranza da protestanti, la sua famiglia era profondamente cattolica, di ispirazione francescana. Tre delle quattro sorelle divennero religiose e così anche i due fratelli: Tito carmelitano ed Enrique, l’ultimo, francescano.
Il giovane Anno (di salute cagionevole, studioso e molto pio) avvertì fin da giovanissimo la chiamata alla vita religiosa e per questo fu mandato dai genitori al collegio di Megen, vicino a Oss, una specie di istituto che fungeva da seminario minore, dove i giovani studiavano e decidevano sulla loro eventuale vocazione. Al termine di questo periodo (pare sotto l’influenza di un lontano parente, Casimiro di Boer), Anno optò per il Carmelo, un Ordine a quel tempo pressoché sconosciuto in Olanda e alle prese con un processo di rinnovamento. Molto tempo dopo, padre Tito spiegò la sua scelta affermando che «lo spirito del Carmelo mi affascinava».
Dopo aver completato il noviziato a Boxmeer e gli studi a Oss, nel 1906 fu mandato a Roma, un anno dopo i suoi compagni di classe, poiché i superiori lo avevano costretto a trascorrere un periodo supplementare come “punizione” per le sue opinioni giudicate troppo “indipendenti” su alcune questioni filosofiche e teologiche. A Roma completò il dottorato ed entrò in contatto con le nuove correnti di pensiero che, ispirate dalla Rerum Novarum di Leone XIII, si stavano gradualmente diffondendo negli ambienti accademici romani. Da lì iniziò a collaborare con diversi giornali e riviste olandesi, tra cui il «Sociaal Weekblad».
Dopo aver superato gli esami, nell’ottobre del 1909, tornò in Olanda, dove si dedicò con generosità ed entusiasmo a varie attività, soprattutto nell’insegnamento e nella stampa. Nel primo caso, vale la pena sottolineare che fondò due scuole (Oldenzaal e Oss), cosa del tutto nuova per quegli anni, poiché né l’Ordine del Carmelo né la società civile olandese erano abituati a rapportarsi con le scuole cattoliche. È chiaro, già in questi primi anni della sua attività, che padre Tito credeva profondamente alla presenza – umile e senza complessi – della Chiesa nella società.
Nel 1923 fu fondata l’Università Cattolica di Nimega e padre Tito venne nominato professore di filosofia e storia della mistica. Ne diventerà Rettore Magnifico nel 1932, quando in tutta Europa si avvertivano già forti tensioni politiche che influenzavano la vita universitaria. Il professor Brandsma mantenne un atteggiamento comunicativo, equilibrato e giudizioso, che contribuì a risolvere numerosi conflitti. Nel suo discorso di insediamento, Brandsma si interrogò sulla perdita del senso di Dio nella società moderna e si chiese se il concetto tradizionale di Dio (Godsbegrip) avesse ancora un significato per i contemporanei.
Padre Tito si sentì sempre fortemente attratto dal mondo del giornalismo e delle comunicazioni sociali. Già da studente fondò diverse riviste di tematica carmelitana, tra cui «Carmelrozen» (“Rose del Carmelo”), di cui fu direttore per diversi anni. In seguito collaborò con i migliori quotidiani e riviste dei Paesi Bassi e divenne persino direttore del quotidiano locale «De Stad Oss», accrescendone notevolmente sia la qualità che la tiratura. Fu anche censore ecclesiastico del quotidiano «De Gelderlander». Brandsma parlò anche in diverse occasioni alla Catholic Radio (KRO); alcune registrazioni di quei discorsi radiofonici sono giunte fino a noi.
Nel 1935, durante un viaggio negli Stati Uniti e in Canada, dove tenne diversi corsi e conferenze, rimase colpito dallo sviluppo della stampa cattolica in quel Paese e dalle opportunità pastorali e culturali che questa offriva. Probabilmente era a conoscenza della popolarità di giornali come il «Catholic Worker», di Dorothy Day e Peter Maurin, e di come, attraverso queste pubblicazioni popolari, la dottrina sociale della Chiesa, con la quale egli stesso era entrato in contatto a Roma molti anni prima, fosse stata portata all’attenzione del popolo (in particolare dei lavoratori durante la Grande Depressione).
Ma forse la cosa più importante a questo proposito fu la grande considerazione che padre Tito aveva per la stampa che, secondo le sue parole, è «dopo la Chiesa, il miglior pulpito per predicare la verità». Per questo motivo, egli propugnava uno stile cristiano (serenità, fedeltà alla verità, tolleranza e dialogo) per l’esercizio di questa magnifica e importante professione. Proprio tale elevata concezione del lavoro giornalistico è ciò che, in seguito, gli sarebbe costata la vita.
Oltre a questi due ambiti principali (formazione e stampa), il carmelitano frisone lavorò in molti altri campi che possiamo solo accennare: fu un appassionato di esperanto e partecipò ad alcuni dei primi congressi internazionali di questa lingua; fu un pioniere dell’ecumenismo, non solo nei confronti dei fratelli protestanti con i quali viveva quotidianamente, ma anche con le Chiese orientali; fu studioso della Devotio moderna (movimento mistico sorto in Olanda nella seconda metà del XIII secolo), della spiritualità medievale nei Paesi Bassi e di Santa Teresa d’Avila, di cui tradusse diverse opere. Promosse inoltre la lingua e la cultura frisone, creando una cattedra presso l’Università di Nimega; diffuse la devozione agli evangelizzatori della Frisia (Bonifacio e Villibrordo), partecipando attivamente alla costruzione del santuario di Dokkum. Infine (ma l’elenco sarebbe ancora lungo), contribuì al dialogo tra la Chiesa e gli artisti, come quando difese l’espressionista belga Albert Servaes, autore delle stazioni della celebre Via Crucis di Luythagen, provocando un’ampia polemica in cui apparve evidente la scarsa comprensione delle avanguardie da parte di certi settori della Chiesa...
Questa poliedrica attività fu fortemente limitata a partire dal maggio 1940, quando le truppe tedesche invasero l’Olanda. Come tutte le potenze totalitarie, il governo nazionalsocialista cercò di controllare l’istruzione e i media, e i Carmelitani erano impegnati su entrambi i fronti. In qualità di presidente della Catholic Schools Association, si oppose all’espulsione dei bambini ebrei dalle scuole, affermando che la Chiesa non avrebbe dovuto fare discriminazioni in base alla razza o alla religione. Nel campo della stampa, Brandsma visitò i redattori dei giornali cattolici per conto dell’episcopato olandese, informandoli (e questo sarebbe stato il motivo specifico del suo arresto) che non potevano pubblicare propaganda nazista e che, se lo avessero fatto, avrebbero perso il loro status di “cattolici”.
Dopo essere stato arrestato il 19 gennaio 1942 a Nimega, fu imprigionato a Scheveningen, dove scrisse alcune delle pagine più belle della sua produzione letteraria, tra cui la bozza di una biografia di santa Teresa, un breve saggio in cui (su richiesta di Hardegen, il funzionario di polizia che lo interrogò) spiegava perché i cattolici olandesi si opponevano al nazionalsocialismo, e una poesia intitolata Davanti a Gesù. Da lì fu trasferito al campo di concentramento di Amersfoort, dove la sua salute peggiorò notevolmente. Tenne comunque una specie di “lezione” ai compagni di prigionia sulla Passione di Cristo, che fu molto apprezzata. Alla fine di aprile ritornò a Scheveningen, dove fu nuovamente interrogato da Hardegen, davanti al quale si rifiutò di ritrattare la sua dichiarazione. Per giunta, la Gestapo era a conoscenza delle critiche che il professor Brandsma aveva mosso per anni durante le sue lezioni alla filosofia nazista, che considerava «un neopaganesimo incompatibile con il cristianesimo». Hardegen lo informò che sarebbe stato deportato a Dachau. Lungo il cammino trascorse tre settimane a Kleve (in Germania), una prigione dove, trovandosi sotto l’autorità giudiziaria tedesca, ricevette un trattamento più umano e per la prima volta dal suo arresto poté partecipare all’Eucaristia.
Il 19 giugno arrivò a Dachau. Lì incontrò molti religiosi. Il 16 luglio, già assai debilitato, salutò affettuosamente i prigionieri carmelitani polacchi. Poco dopo entrò nel Revier (infermeria), dove subì esperimenti diretti, tra gli altri, dal dottor Wolter. L’infermiera che il 26 luglio gli praticò l’iniezione letale a base di acido fenico testimoniò in seguito che padre Tito ebbe diverse conversazioni con lei e mostrò compassione nei suoi confronti.
Lo stesso giorno fu diffusa una dura lettera dell’episcopato olandese indirizzata al governo occupante. Era stata preparata clandestinamente e provocò l’ira dei leader nazisti. Per rappresaglia furono arrestate personalità religiose di origine ebraica, tra cui Edith Stein e sua sorella Rosa, che sarebbero morte poco dopo ad Auschwitz. La domenica 26 luglio 1942 è quindi una data che unisce due grandi figure del Carmelo del XX secolo.
Padre Tito è stato beatificato da san Giovanni Paolo II nel novembre 1985 e canonizzato da papa Francesco nel maggio 2022.
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Dalla loro clausura ci hanno fatto pervenire un contributo su Tito Brandsma le suore carmelitane del Monastero Mater Carmeli di Biella.
San Tito Brandsma non è solo una figura del passato, ma una guida per il presente e il futuro. La sua vita ci insegna che la fedeltà alla verità e alla giustizia, ispirate dalla fede cristiana, è più forte di qualsiasi regime, di qualsiasi persecuzione, di qualsiasi forma di oppressione. Il suo sacrificio ci invita a riflettere su come possiamo essere testimoni di questa verità, sia nelle nostre vite personali sia nelle sfide che affrontiamo come società.
La sua figura si inserisce perfettamente nel cammino di testimonianza cristiana che l’Azione cattolica promuove: un impegno che, come quello di Tito, si traduce in un’azione concreta e coraggiosa a favore del bene comune, della giustizia sociale e della difesa della dignità umana. Il martirio di Tito Brandsma non è solo un ricordo del passato, ma una chiamata a essere cristiani autentici, pronti a difendere la verità con fermezza e amore, senza paura di pagare il prezzo che essa potrebbe richiedere.
La fortezza della testimonianza nasce da un ascolto attento e costante della Parola di Dio: vivere il rapporto con Dio come una “consuetudine” positiva, un dialogo che si snoda tra le varie attività del giorno, tra impegni e riposo, tra preghiera e studio. Padre Tito come carmelitano ha sentito l’urgenza di mettere Cristo Gesù al centro della sua vita ed è riuscito, con il sostegno dello Spirito, a vivere la “beata solitudine” anche nella cella di una prigione. Non c’è luogo dove Dio non sia presente, il buio del male non spegne la luce dell’uomo e della donna di Dio che sanno rimanere vigilanti, sanno scorgere l’alba di un orizzonte nuovo pur tra la malvagità umana che si scaglia su di loro.
Le grandi scelte e le grandi testimonianze di vita non si improvvisano, sono frutto di una semina quotidiana: vivere l’attimo presente con la fiducia che il Signore risorto è con noi, è in noi. Nella cella del nostro cuore possiamo tutti vivere quella unione sponsale con il Dio Amore che ci inabita. In ogni situazione e contesto possiamo entrare in questo castello interiore e ritrovare la pace dei sensi, il senso della vita, la direzione da percorrere.
La verità e la giustizia per il cristiano hanno un nome e un volto: Gesù Cristo. Il martire Tito non si è speso per un ideale, ma ha consegnato la sua vita a Colui che è la Vita. Padre Tito, come il suo Maestro, non ha riversato rancore e odio in quell’ambiente tetro del campo di concentramento, ma lo ha “sanificato” facendosi testimone dell’Amore che perdona e salva.
Sr Maria Aurora della Risurrezione, O. Carm.
Monastero Mater Carmeli – Biella
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Lettera circolare di Tito Brandsma ai direttori e ai redattori capo dei giornali cattolici olandesi, Nimega, 31 dicembre 1941
… dobbiamo segnalare che da qualche giorno è stato pubblicato dalle autorità dirigenti della stampa, un decreto che, eseguendolo, porta le direzioni e le redazioni dei giornali cattolici in conflitto coi loro stessi principi.
Questo decreto obbliga a pubblicare annunci del Movimento Nazionalsocialista Olandese, […] ma le direzioni e così pure le redazioni devono rifiutarlo se apprezzano il carattere cattolico del loro giornale. Persino sotto minaccia di una forte multa oppure di sospensione o liquidazione del giornale.
Con questo siamo giunti al limite. Sono sicuro che i giornali cattolici, dinanzi a questa realtà, sapranno senza esitazione essere coerenti con la loro fede e sapranno essere uniti seguendo tutti la stessa linea di condotta. L’unione sarà fonte di forza. […]
Se qualcuno decidesse di agire altrimenti, sappia che il suo giornale non dovrà più essere considerato cattolico né potrà contare sui lettori e sugli abbonati veramente cattolici. E così finirà nel disonore.
So che queste disposizioni sono dure per quanti da anni guadagnano onestamente il loro pane servendo la stampa cattolica. Essi però, agendo altrimenti, si renderebbero corresponsabili con coloro che vogliono violentare le coscienze, nonostante le promesse contrarie.
Per adesso non credo che le autorità occupanti vogliano giungere a questo punto di rottura. Ma se dovessero farlo, avrà Dio l’ultima parola: Egli ricompenserà il suo servo fedele.
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Versi di Tito Brandsma composti nella prigione di Scheveningen, 12-13 febbraio 1942
Quando ti guardo, o Gesù, comprendo che tu mi ami,
come il più caro degli amici,
e sento di amarti come il mio bene più grande.
Il tuo amore, lo so, richiede sofferenza,
è l’unica strada alla tua gloria.
Se nuovi dolori si aggiungono nel mio cuore,
li considero come un dolce dono;
perché mi fanno più simile a te.
Lasciami solo, in questo freddo:
non ho più bisogno di nessuno,
la solitudine non mi incute paura,
perché tu sei vicino a me.
Fermati Gesù, non mi lasciare!
La tua divina presenza rende facile ogni cosa.