A cento anni dalla nascita, il ricordo della testimonianza di Armando Rigobello, eminente filosofo e docente universitario, noto per il suo impegno nel personalismo cristiano e per il dialogo tra fede e ricerca.
Cento anni fa, il 3 febbraio 1924, nasceva a Badia Polesine Armando Rigobello, insigne figura di filosofo e docente universitario, interprete ed esponente autorevole del personalismo di ispirazione cristiana, testimone di un dialogo esemplare tra fede e ricerca, maestro ed educatore appassionato. Chi scrive ha avuto la fortuna di essere suo allievo all’Università di Perugia, prima del suo trasferimento a Roma, dove Rigobello ha vissuto fino alla morte, avvenuta il 5 aprile 2016. In un’università in cui i sussulti della contestazione continuavano in forme di occupazione selvaggia, ricordo seminari alternativi, rigorosi e coinvolgenti, nei luoghi più diversi, oltre all’incontro in piccoli gruppi nella sua casa, dove si leggevano i Dialoghi di Platone fino a tarda notte e si provava il brivido di panorami inesplorati, che facevano assomigliare lo studio della filosofia a un’autentica vocazione.
Formatosi all’Università di Padova, Rigobello accoglie da Luigi Stefanini la sensibilità speculativa per la centralità della persona e una capacità d’intrecciare l’eredità classica con istanze del pensiero moderno e contemporaneo. Dopo un breve periodo d’insegnameno nei licei e un soggiorno di studio a Monaco di Baviera, Rigobello consegue nel 1958 la libera docenza e insegna Filosofia morale all’Università di Perugia dal 1963 al 1974, per passare quindi all’Università di Roma La Sapienza e, nel 1982, a quella di Roma Tor Vergata. Ha insegnato a lungo anche alla Lumsa di Roma, dove è stato rettore. L’elenco degli impegni in società filosofiche e istituzioni pubbliche (giovanissimo vicesindaco di Badia Polesine, fino a membro del CdA Rai, sotto la presidenza di Paolo Grassi) sarebbe lungo e non darebbe ragione delle motivazioni più intime del suo percorso; un percorso segnato dall’impegno giovanile in Azione cattolica, in ambito diocesano e regionale, negli anni in cui Mario Rossi prendeva il posto di Carlo Carretto, che Rigobello, docente a Perugia, ritroverà nell’eremo di Spello, dove si andava spesso, insieme.
Il suo primo libro su Mounier (1955), che apre il confronto fra personalismo francese e italiano, segna anche l’inizio un percorso di doppio approfondimento critico: all’indietro, verso la matrice socratico-platonica e agostiniana, e in avanti, attraverso un confronto severo con Kant. La sua opera I limiti del trascendentale in Kant (1963, tradotta in tedesco nel 1968) alimenta studi importanti sul trascendentale e sulla nozione di “regno dei fini”. Il decennio dell’insegnamento perugino è quindi segnato da una “svolta fenomenologica”, che prende forma in Legge morale e mondo della vita (1968), una delle opere più intense e profonde, al centro di memorabili corsi universitari negli anni della contestazione. Il periodo romano coincide con nuovi approfondimenti: dal grande volume Dal romanticismo al positivismo (1974) a una ricerca sulla filosofia francese contemporanea, tra Sartre e Camus, in cui emerge la nozione di impegno ontologico, inteso come un «trascendimento del piano conoscitivo in quello pratico, in cui l’impegno si faccia carico della totalità semantica che la ricerca speculativa non riesce a dominare con le sue categorie analitiche» (L’impegno ontologico, 1977). Nello stesso tempo le tematiche morali accompagnano una reinterpretazione dell’identità propria della ricerca filosofica (Il futuro della libertà, 1978; Perché la filosofia, 1979; trad. tedesca 1999; trad. spagnola 2000; Certezza morale ed esperienza religiosa, 1983; Kant. Che cosa posso sperare, 1983; L’immortalità dell’anima, 1987). Questa linea speculativa approda infine a una rinnovata riflessione sulla condizione umana (Autenticità nella differenza, 1989; L’estraneità interiore, 2001), integrata da un’indagine intorno al rapporto tra analisi interiore e struttura trascendentale (Oltre il trascendentale, 1994). L’impegno instancabile nella ricerca continua quasi fino alla fine: negli ultimi anni Rigobello si dedica a saggi intensi e solo apparentemente “minori”, che rivisitano i temi a lui più cari, secondo una lucida essenzialità teoretica (da L’apriori ermeneutico, del 2007, fino all’ultimo, del 2014: Dalla pluralità delle ermeneutiche all’allargamento della razionalità).
Quest’ampia produzione filosofica è doppiamente preziosa: sul piano del metodo, la elaborazione di una originale linea di pensiero emerge sempre attraverso un dialogo a tutto campo, cordiale e insieme rigoroso, con autori di prima grandezza, a lui vicini e meno vicini; sul piano del contenuto, la modulazione della ricerca filosofica come incessante apertura d’orizzonti aiuta a ripensare il senso stesso della vita come ricerca e insieme partecipazione a un orizzonte di senso originario. Persona e vita morale sono come i due fuochi di una ellisse, attorno ai quali prende forma il nucleo più profondo di tale pensiero, quasi la sua nascosta matrice generativa. Sullo sfondo, il paradosso dell’identità personale è sempre inteso come espressione di eccedenza di senso più che di insufficienza, o addirittura di assenza.
Su questa linea di frontiera Rigobello incontra e riesce audacemente a far dialogare la tradizione antica – soprattutto socratico-platonica e agostiniana – con fonti moderne e contemporanee: da Pascal a Bergson, da Marcel a Mounier, da Husserl e Heidegger fino a Ricoeur. Quella sorta di pudore dinanzi all’origine dell’interrogazione filosofica, coincidente con la persona stessa dell’interrogante, colloca il pensiero di Rigobello nell’alveo di quel movimento che aveva guadagnato un’alternativa all’attualismo gentiliano rielaborando la cifra spiritualista in una dimensione di finitezza creaturale, trovando una espressione privilegiata nell’itinerario, tipicamente agostiniano, di vertiginosa approssimazione metafisica a un Dio inteso come interior intimo meo et superior summo meo, al quale la fede cristiana attribuisce un volto personale.
La rilettura dell’interiorità come luogo d’incontro fra esistenza e trascendenza, fra limite e ulteriorità, consente di collegare il riconoscimento del limite a una condizione umana sospesa tra assolutezza di senso e precarietà dell’esistere. Tale avvertimento non ha nulla di irenistico né di individualistico: comporta piuttosto «una lotta per il riconoscimento» che genera, nella «dolorosa constatazione di intenzionalità interrotte», solidarietà comunitarie da vivere storicamente nell’ardua ascesi della testimonianza. Tale approdo a una nozione di persona connotata in modo così esistenzialmente coinvolgente affida quindi alla vita morale il compito di esercitare una sorta di abnorme “supplenza pratica” rispetto ai limiti insuperabili del conoscere. Nella tensione morale della testimonianza la più radicale domanda di senso può trasfigurarsi come «un’epifania di verità che si è fatta consapevolezza interiore del testimone».
Nel punto d’incontro fra una ricerca filosofica restituita a un essenziale “socratismo cristiano” e una fede accolta come originaria donazione di senso, la persona, ripensata come “estraneità interiore”, è tematizzabile sulla base di approcci sempre più stringenti e mai esaustivi, che impediscono di gettare troppo presto le ancore entro il porto sicuro di un ingenuo essenzialismo spiritualista. Nello stesso tempo, la lezione mounieriana spinge a riqualificare in profondità la dinamica comunitaria, oltre ogni clausura intimistica, nel segno di quell’“ottimismo tragico” che nel filosofo francese impediva di chiudere gli occhi dinanzi al male nella storia, mantenendo alta al contempo la forza profetica della speranza cristiana. Su questa linea, Rigobello riconosce la fecondità di una tensione irriducibile tra impegno e distacco, tra una ricerca di autenticità interiore vissuta come vera e propria ascesi spirituale e speculativa, e l’urgenza di rinnovate solidarietà comunitarie, sempre necessarie e insufficienti.
In una ricerca caratterizzata da una torsione riflessiva che investe tutta la vita, l’inquietudine è il prezzo dell’autenticità. Lo potremmo dire con le parole di Charles Péguy, che trasmettono “un’aria di famiglia” al giovane Rigobello, studioso del personalismo francese: «Una grande filosofia non è quella che pronuncia giudizi definitivi, che instaura una verità definitiva. È quella che introduce un’inquietudine, che provoca uno scossone». Armando Rigobello resta un testimone luminoso di questa inquietudine benefica, accolta con umiltà esigente e trasmessa con dedizione instancabile. I testi di seguito riportati ci danno il senso di questa attenzione costante alla spiritualità cristiana e ne illuminano le profonde radici associative. In un’epoca in bilico tra ricorrenti tentazioni riduzioniste e nuove pulsioni transumaniste, il suo messaggio ci appare oggi ancor più prezioso e profetico. Essere testimoni di una grande verità, professata in punta di piedi e condivisa con una discrezione tenace e appassionata, è forse uno dei modi più alti di essere maestri.
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Antologia
«La carità rimane il fulcro della vita spirituale ed il suo primato è fuori discussione, ma la speranza diverrà forse la linea emergente di una vita cristiana che voglia caritativamente comunicare sé stessa ai fratelli della società di domani.
L’esistenza paradigmatica che ha aperto il problema ed in tal modo segnato l’ambito di una speranza, si pone dinanzi al mondo e diremmo più precisamente al proprio compito nel mondo con un atteggiamento che è insieme di impegno e di distacco. L’impegno riguarda lo svolgimento rigoroso del proprio dovere portandolo innanzi con piena autonomia metodologica. Il distacco, come sempre, è la povertà spirituale con cui si deve agire. Potremmo riesprimere il concetto parlando di non-alienazione di sé stessi nel proprio compito e nel proprio orgoglio temporale, nemmeno in quello scientifico [...] Il tono spirituale del cristiano di domani, ma che è già anche di oggi, dovrà essere questa operosa adesione all’autonomia del compito terreno nella controluce di una più profonda consapevolezza ove umiltà ed attesa, senso del limite e conforto di speranza delineano la condizione per l’esercizio puntuale della caritas. Una comunicazione di speranza pur nell’impegno operoso della vita [...]
Ogni tempo ha saputo esprimere la sua risposta all’invito cristiano dando vita ad una o più spiritualità. Il messaggio è perenne, ma assume un volto storico, una sua irripetibile originalità se visto nell’impegno dell’uomo a tradurre il volto di Cristo lungo il profilo del proprio tempo. Per l’umanità di domani forse la risposta è stata già anticipata nel suo nucleo essenziale dal messaggio di Charles de Foucauld. Ci troviamo di fronte ad una spiritualità della testimonianza, che predica la verità condividendo la condizione di coloro cui è rivolto il discorso, che interpreta la solitudine del nostro tempo pur nel fervore della socialità, che semplifica la preghiera nella contemplazione silenziosa e nell’essenziale azione liturgica [...]
Nella società del benessere sarà difficile parlare di sottoproletariato nel senso in cui ne parla la spiritualità di Charles de Foucauld, ma vi sarà il nuovo ed estesissimo sottoproletariato spirituale: la massa alienata nell’appiattito benessere e nel culto della funzionalità impersonale. Sarà questa la difficile area di una testimonianza cristiana, e tale testimonianza sarà anche la pressoché unica via di un ritorno dell’uomo a proporzioni più umane».
(A. Rigobello, Legge morale e mondo della vita, Abete, Roma 1968, pp. 333-336)
«La politica e l’Azione Cattolica hanno caratterizzato la mia gioventù, mentre la Rai mi ha impegnato solo per alcuni anni, durante il mio insegnamento universitario a Roma. In generale, posso dire di aver vissuto tutte queste esperienze senza assolutizzarle e sempre come un servizio: ho cercato di non veder calpestati i miei ideali, di intervenire in prima persona quando essi erano coinvolti direttamente e quando c’erano declinazioni religiose delle questioni che mi stavano a cuore in maniera particolare.
Complessivamente posso dire di non essere mai stato un “intellettuale organico”, per dirla con Gramsci, neppure in rapporto alle strutture ecclesiastiche. Ho sempre prestato il mio servizio da “franco tiratore”, a titolo personale, pur se rispettoso dell’autorità e sempre attento a fermarmi laddove l’autorità mi avesse fermato, così come attento a non far coincidere necessariamente il mio apostolato con quello delle gerarchie; e tutto ciò in una cornice di attenzione, rispetto e coerenza nei confronti di quella che era la principale primaria attività della mia vita: la ricerca e l’insegnamento [...]
Sono stato impegnato in parrocchia prima e in diocesi poi, fino a ricoprire il ruolo di Presidente della Giac [...] diocesana e inoltre delegato studenti per le Tre Venezie.
Ma tutto nacque, anche in questo caso, a Badia: non provengo infatti da una famiglia particolarmente religiosa e il mio primo contatto con l’Azione Cattolica avvenne tramite l’insegnante di religione, cappellano della mia parrocchia, che mi invitò all’oratorio; la risposta di mia madre fu: “Vai pure, è pur sempre l’invito di un professore”, a testimonianza che prevaleva l’autorevolezza del maestro sulla spiritualità del sacerdote. Da allora, però, iniziai a frequentare assiduamente.
Quando Mario Rossi divenne Presidente nazionale della Giac, presi il suo posto nella diocesi di Adria-Rovigo; iniziò allora una fase in cui nella società civile si percepiva un distacco tra una gioventù unita da ideali e da una profonda comunione di spirito e un contesto politico crudo e in movimento. All’interno della stessa associazione iniziava il dibattito riguardo al passaggio da un’organizzazione per fasi evolutive ad una fondata sulle attività di lavoro e studio, che, sulla ribalta nazionale, finivano per avere un peso formativo e politico. Complessivamente si aprì un biennio (1952- 1954) molto fecondo, che evidenziò, già in nuce, esigenze lungimiranti (che troveranno poi espressioni nel Concilio).
Con le vicende, però, che coinvolsero Mario Rossi e il gruppo dirigente della Giac di quegli anni finì il mio impegno diretto in Azione Cattolica; il mio apostolato è proseguito poi in altra maniera».
(A. Rigobello, Vita e ricerca. Il senso dell’impegno filosofico, intervista a cura di Luca Alici, La Scuola, Brescia 2010, pp. 36-38)
BIBLIOGRAFIA
A. Pieretti (a cura di), Estraneità interiore e testimonianza. Studi in onore di Armando Rigobello, Esi, Napoli 1995
L. Alici, O. Grassi, G. Salmeri, C. Vinti (a cura di), Armando Rigobello, la filosofia come testimonianza, in «Studium», 113 (2017), 5 (con bibliografia completa, a cura di M. De Boni e T. Valentini).