Ddl Zan e rapporto Stato-Chiesa cattolica in Italia

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Un richiamo al dibattito innestato dalla recente Nota vaticana sul ddl Zan è il punto di partenza per una riflessione sui principi che regolano oggi i rapporti tra lo Stato e la Chiesa in Italia, evidenziando il ruolo della Santa Sede, la garanzia dei Patti lateranensi nel quadro costituzionale e gli organi responsabili di tali rapporti.

La Nota vaticana sul disegno di legge Zan, trasmessa al Governo italiano nel giugno scorso, ha riacceso i riflettori sui rapporti tra lo Stato e la Chiesa in Italia, sulla loro disciplina e corretta attuazione. La sua pubblicazione su un quotidiano ha suscitato un accesso dibattito nell’opinione pubblica, con alcuni commenti prefiguranti addirittura l’ingerenza di uno Stato estero nell’attività del Parlamento1 presso il quale era in corso l’esame del relativo disegno di legge, fino a porre in discussione la stessa sopravvivenza del Concordato, visto come retaggio di un sistema di rapporti privilegiati con la Chiesa cattolica ormai superato dal carattere laico dello Stato italiano.
In realtà la Nota, proveniente dalla Segreteria di Stato, si è limitata a segnalare al suo interlocutore istituzionale, ossia al Governo della Repubblica, parte degli Accordi di Villa Madama del 1984, l’esistenza di alcuni passaggi, nel testo in discussione al Senato, che potrebbero «incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario», tra cui in particolare la piena libertà di esercizio del magistero e del ministero spirituale e quella di libera manifestazione del pensiero (art. 2 Acc.), chiedendo alla parte italiana di trovare una «diversa modulazione» del testo normativo in grado di assicurare il rispetto dei Patti lateranensi, che regolano da quasi un secolo i rapporti tra Stato e Chiesa in Italia.
Senza entrare nel merito, alla luce dei principi che regolano i rapporti tra lo Stato e la Chiesa in Italia, un simile intervento non può quindi definirsi come un’interferenza indebita nell’ordine proprio dello Stato né è stato utilizzato «uno strumento improprio, quello diplomatico», in quanto esso si inserisce in un contesto di tipo negoziale avente per oggetto sfere di libertà espressamente garantite alla Chiesa e ai suoi fedeli mediante un accordo internazionale.
Si è osservato opportunamente che la tutela di queste libertà trascende i rapporti concordatari con la Chiesa, in quanto incide su diritti fondamentali assicurati a tutti dalla Costituzione6. È però vero altresì che, a prescindere da valutazioni di opportunità, la specifica garanzia concordataria legittima pienamente la Santa Sede, parte dell’Accordo, a segnalare preventivamente alla controparte eventuali criticità rispetto agli impegni formalmente assunti in sede negoziale.

 
Il Concordato oggi
Quanto al Concordato, esso ha perso da tempo i connotati confessionisti conferitigli nel 1929, con i quali la Chiesa mirò a salvaguardare alcuni spazi di autonomia all’interno di un regime totalitario.
Tutti gli istituti previsti dal Concordato attuale (1984), in larga parte estesi alle altre confessioni religiose con Intesa (matrimonio religioso, otto per mille, assistenza religiosa ecc.), sono fondati su una scelta libera e volontaria del cittadino, senza nessun obbligo imposto per legge. In questa prospettiva esso, al pari delle intese, va considerato come uno strumento di specificazione di libertà già assicurate a tutti sul piano costituzionale, che mira in particolare a favorire l’esercizio della libertà religiosa in un clima di dialogo e di collaborazione e a tutelare l’identità delle singole comunità religiose, il cui ruolo è essenziale in una società sempre più multietnica e plurireligiosa.
Ne è conferma il fatto che i regimi separatisti sono ovunque in evidente declino. Anche la laicissima Francia ha abbandonato da tempo gli atteggiamenti più intransigenti e instaurato rapporti con i rappresentanti dei principali culti, in grado di svolgere un’importante funzione nei processi di integrazione delle popolazioni immigrate e di mediazione dei conflitti sociali e culturali.
Da ultimo anche l’Unione europea, con il Trattato di Lisbona (2009), ha individuato nelle comunità religiose validi interlocutori istituzionali, riconoscendone l’identità e il contributo specifico alla costruzione europea e impegnandosi a mantenere con esse «un dialogo aperto, trasparente e regolare» (art. 17, c. 3, TFUE).
 
I rapporti tra lo Stato e la Chiesa in Italia e il ruolo della Santa Sede
Il sistema di rapporti tra lo Stato e la Chiesa in Italia è il frutto di un millenario percorso storico, che ha plasmato l’identità del nostro paese ed è culminato, nel corso del processo di unità nazionale, con la perdita del potere temporale del papato (1870) e la successiva Conciliazione raggiunta con la firma dei Patti lateranensi (1929). Questi, come noto, sono formati da un Trattato, tuttora in vigore, istitutivo dello Stato della Città del Vaticano e di altre garanzie a tutela dell’indipendenza della Santa Sede, e di un Concordato, avente per oggetto la condizione giuridica della Chiesa in Italia, modificato nel 1984 per armonizzarlo con i deliberati del Concilio Vaticano II e con i principi di libertà enunciati dalla Costituzione repubblicana.
Questa duplicità di documenti, entrambi di natura internazionale, rende manifesto un aspetto del tutto peculiare dei rapporti Stato-Chiesa nell’esperienza italiana, segnati dalla presenza millenaria a Roma del romano pontefice, vescovo dell’Urbe ma al contempo pastore supremo della Chiesa universale. Questo elemento, che ha fortemente condizionato le vicende storiche della penisola, conferisce a tali rapporti una complessità sconosciuta a qualsiasi altro paese, facendone una questione non solo di politica interna ma anche di politica internazionale, nella misura in cui tutti gli Stati con fedeli cattolici, e le relative comunità religiose sparse nel mondo, hanno interesse a che il pontefice possa svolgere liberamente la sua missione religiosa di carattere universale senza condizionamenti da parte dello Stato nel cui territorio ha sede. A ciò si aggiunge la crescente autorevolezza acquisita dalla Santa Sede nella comunità internazionale, ove essa opera come interlocutore riconosciuto e affidabile nei vari contesti nei quali è
sollecitata la sua missione di pace e di riconciliazione tra i popoli e le nazioni. Da cui una serie di garanzie, previste nel Trattato lateranense e rafforzatesi nel corso del tempo, che mirano ad assicurare alla Santa Sede una condizione di «assoluta indipendenza per l’adempimento della Sua alta missione nel mondo» (Premessa) e «una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale» (art. 2), con la costituzione della Città del Vaticano sotto l’esclusiva e piena giurisdizione sovrana della Santa Sede medesima (art. 3).
 
Il sistema costituzionale e la laicità dello Stato
Questo sistema di rapporti, fondato sui Patti lateranensi, è stato confermato dal costituente, ma inserendolo in un contesto di principi – distinzione degli ordini (art. 7), tutela del pluralismo confessionale (art. 8) e del diritto di libertà religiosa (art. 19) – che ne hanno profondamente mutato il significato originario, ponendo così le basi per un processo di rinnovamento di cui oggi possiamo meglio apprezzare gli esiti. L’avvio del processo di attuazione del disegno costituente ha richiesto alcuni decenni, ma esso ha poi consentito alla Corte costituzionale di dedurre da tale complesso di garanzie l’enunciazione del principio supremo di laicità dello Stato come «uno dei profili della forma di Stato delineata nella Carta costituzionale della Repubblica», il quale «implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale» (sent. n. 203 del 1989).
In sostanza, il principio di laicità deve intendersi nel nostro ordinamento non come un limite alla libertà religiosa, come nella tradizione francese, ma come garanzia di tale libertà, che può implicare anche interventi di sostegno da parte dello Stato, secondo quell’approccio promozionale adottato dalla Repubblica per tutti i diritti fondamentali (art. 3, c. 2, Cost.), in un contesto di eguale libertà di tutte le confessioni religiose e di pari diritti dei loro fedeli.
 
Il doppio canale dei rapporti Stato-Chiesa. Gli organi statali competenti
Un aspetto caratterizzante i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, e che lo differenzia sotto il profilo formale da quelli con le altre confessioni religiose, è rappresentato dalla soggettività internazionale di cui gode da sempre la Santa Sede. È infatti quest’ultima, operante in un’ottica universalista – e non l’episcopato locale, più esposto alle pressioni delle autorità politiche nazionali – a mantenere rapporti formali con i singoli Stati attraverso propri rappresentanti diplomatici e a stipulare con essi accordi – i concordati – volti a tutelare la cosiddetta libertas Ecclesiae, ovvero la sfera di libertà necessaria alla Chiesa per compiere la sua missione di evangelizzazione e di carità.
Pertanto questi rapporti si sviluppano, in Italia come in molti altri paesi, attraverso un duplice canale:
a) quello diplomatico e di carattere internazionale con la Santa Sede, firmataria dei Patti lateranensi e depositaria, insieme alla parte statale, della loro corretta interpretazione e applicazione, affidata in caso di difficoltà a una Commissione paritetica da loro nominata (art. 14, Acc.); b) quello attuativo interno con la Conferenza episcopale italiana, che l’Accordo di revisione concordataria (1984) individua come interlocutore delle competenti autorità italiane per l’attuazione di una serie di sue disposizioni concernenti la condizione giuridica della Chiesa in Italia e gli impegni assunti dallo Stato nei suoi confronti.
Quanto allo Stato, data la rilevanza costituzionale che tali rapporti assumono (artt. 7-8), le relative attribuzioni competono agli organi di indirizzo politico della Repubblica, ossia al Parlamento, cui spetta l’approvazione con legge di eventuali modifiche o disposizioni attuative – concordate con la Santa Sede – del Trattato e/o del Concordato, e al Consiglio dei ministri, cui compete la deliberazione su «gli atti concernenti i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica» (art. 2, c. 3, legge 23 agosto 1988, n. 400).
Spetta poi al presidente del Consiglio, avvalendosi degli uffici della Presidenza, esercitare «in forma organica e integrata» le funzioni di impulso, indirizzo e coordinamento concernenti «i rapporti del Governo con le confessioni religiose» (art. 2, c. 2, lett. e, d.lgs. 30 luglio 1999, n. 303), mentre quelli con la Santa Sede passano attraverso i canali formali del Ministero degli esteri, in stretto coordinamento con la Presidenza del Consiglio. Presso quest’ultima è inoltre istituita una Commissione governativa per l’attuazione delle disposizioni dell’Accordo tra Italia e Santa Sede, formata da esperti, con compiti di studio ed esame dei relativi problemi e di proposta per l’elaborazione di accordi e intese previste da singole disposizioni dell’Accordo. Scaduta nell’aprile 2018, essa non è stata più ricostituita, privando attualmente il sistema di un’importante sede di analisi e di confronto istituzionale, utile anche a prevenire tensioni e interventi formali su temi di comune interesse tra le parti.