Le culture globali affrontano le trasformazioni moderne, spesso sfociando in crisi interconnesse, definite “policrisi” da Edgar Morin e Anne Brigitte Kern. Questo concetto evidenzia l’interdipendenza delle crisi politiche, ambientali, economiche, sociali ed etiche. La riflessione si concentra sulla superficialità delle soluzioni proposte e su come la sfiducia sia diventata un’industria che alimenta conflitti per il profitto.
I n ogni parte del mondo, le diverse culture e chi le tramanda inciampano e si fanno male sempre più spesso in alcuni nodi della modernità, soprattutto con riferimento alle tante trasformazioni in atto. Molti degli inciampi e dei capitomboli che si trasformano nelle odierne distopie dei sistemi politici, ambientali, economici, sociali ed etici si potrebbero evitare eliminando la nostra apatia nelle analisi sociologiche e la nostra sciatteria nel disegnare e sperimentare le soluzioni alla policrisi che tutti osserviamo. Nel 1973, per sottolineare la straordinaria importanza di questo discernimento attento, E. F. Schumacher1 osservò nel suo libro Piccolo è bello che: «Qualsiasi sciocco intelligente può rendere le cose più grandi, più complesse e più violente. Ci vuole un tocco di genio e tanto coraggio per muoversi nella direzione opposta».
Come quando ci si avventura in una foresta sconosciuta, la prima cosa da fare è cercare di capirne le caratteristiche principali. È quello che fecero gli antropologi moderni e studiosi della complessità Edgar Morin2 e Anne Brigitte Kern nel gennaio 1993. Essi furono i primi a coniare il neologismo “policrisi” nel loro libro Homeland Earth3 (Il Pianeta patria), che elabora il concetto dell’umanità che diventa una comunità unica di destino comune, attraverso una metamorfosi per ora piuttosto confusa. Morin e Kern affermarono che il mondo non stava per affrontare «nessun singolo problema vitale, ma molti problemi vitali, ed è questa complessa interdipendenza di problemi, antagonismi, crisi, processi incontrollati e la crisi generale del pianeta che costituisce il problema vitale numero uno». Morin e Kern dimostrarono trent’anni fa che il mondo in cui viviamo non è semplicemente complicato: è complesso. La teoria della complessità enfatizza i sistemi in cui le relazioni non sono lineari e dove il tutto rappresenta più della semplice somma delle sue parti; ciò rende tali sistemi intrinsecamente difficili da prevedere e controllare.
Una policrisi trascende i limiti della nozione tradizionale di “crisi”. Una crisi implica tipicamente un’interruzione temporanea, un periodo eccezionale con un inizio e una fine chiari. Potremmo pensare alle crisi finanziarie, sanitarie o politiche in questo modo. Morin e Kern hanno sfidato questa visione semplicistica. I due autori affermarono che le sfide del mondo odierno non sono eventi isolati, ma piuttosto un groviglio di crisi profondamente interconnesso e scomposto. Queste crisi si alimentano e si esacerbano a vicenda, sfidando una categorizzazione precisa sotto un’unica etichetta. Il degrado ambientale, la disuguaglianza economica, i disordini sociali, la polarizzazione politica e il disordine tecnologico si intrecciano tutti nella policrisi globale.
Trent’anni dopo la prima dichiarazione di inizio della policrisi, nel febbraio 2024, il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha ammonito il Consiglio di sicurezza proprio ricordando ai paesi membri la necessità di un discernimento aggiornato: «Viviamo in un’epoca di turbolenze per il mondo intero, per tutti i popoli e per i diritti umani. Il nostro mondo sta entrando in un’era di multipolarità in cui le potenze competono invece di collaborare; lo stato di diritto e le regole di guerra sono indebolite. Il moltiplicarsi dei conflitti sta causando sofferenze senza precedenti, ma i diritti umani non possono essere sospesi. Essi conferiscono coerenza alla nostra ricerca di soluzioni, e sono fondamentali per la nostra speranza per un mondo in pace. Il cammino verso la pace inizia con il pieno rispetto per tutti i diritti umani – civili, culturali, economici, politici e sociali. Costruire una cultura dei diritti umani è costruire un mondo in pace».
La competizione cronica e acuta che denuncia Guterres è di fatto un grave peggioramento della policrisi proprio perché leader e società civili del mondo smettono di collaborare: si genera così uno scenario globale di sfiducia di tutti contro tutti davvero pre-apocalittico, che hanno studiato Ruben Andersson, antropologo, e David Keen, studioso dei conflitti, nel loro libro Wreckonomics4 . Nella loro ricerca originale i due studiosi svelano la rete di interessi che continua ad alimentare conflitti senza fine in un mondo già impantanato in conflitti a go-go di tutti contro tutti su tutto, dove l’unico risultato garantito è un mucchio di relitti, di residuati bellici inutilizzabili. La matrice comune è il nuovo modello ormai profondamente radicato di fare guerra per profitto contro concetti astratti che vanno dal terrore e criminalità alla migrazione e alla droga, sempre seminando sfiducia verso ogni diversità.
Il titolo wreckonomics unisce due parole: wreck ed economics. Wreck in inglese significa residui, macerie, relitti, naufragio, e la seconda, economics, significa economia; si pronuncia come economics, con una erre davanti, che dà anche il senso di un fenomeno ripetuto e riciclato. Il libro fa luce sugli immensi interessi economici di chi promuove la sfiducia tra persone e gruppi con opinioni diverse e di chi inventa schieramenti di parte e strategie settoriali, come la guerra alla droga, al terrorismo, alle migrazioni, contro la natura, contro la parità di diritti, alla democrazia e alla giustizia giusta ecc. La nuova wreckonomy massimizza la conflittualità violenta tra le parti e trae profitto dall’affrontare tutti i problemi in modo frammentato senza badare al loro insieme di provenienza e soprattutto senza provare alcun dialogo con chi quei problemi li vive sulla propria pelle. Forse meno note, ma non meno sanguinose, sono poi le guerre di religione, le guerre per le risorse ambientali, tra diverse visioni politiche, le guerre contro i depressi che si armano e sparano a caso e le guerre di razzismo. Diversi leader del mondo, professionisti dei media, opinionisti religiosi e sociologi di parte sono immersi nel motore della “relittonomia”5 , della manipolazione, delle tattiche della paura e degli strumenti del mestiere per acuire tali conflitti e produrre sempre più profitti dalla produzione di distruzioni.
Gli autori dello studio sui meccanismi di industrializzazione e messa a profitto delle distruzioni sistematiche hanno posto nell’abbreviazione (in inglese) WRECK i cinque “meccanismi” principali (in inglese wreckanisms) che hanno reso molto redditizio questo cancro invasivo.
a W (War) si riferisce alle “soluzioni di guerra”. Tutti gli interventi disfunzionali nella policrisi tendono a iniziare con una manovra pericolosa: l’impresa di trasformare una questione sistemica complessa in una minaccia semplice – e spesso esagerata – che necessita urgentemente di essere combattuta per salvare il mondo. Insieme a questo, di solito c’è una fissazione su una “soluzione” altrettanto singolare o su una bacchetta magica. Spesso sono coinvolti funzionari statali, operatori di sicurezza e il pubblico degli elettori in generale. Gli studiosi etichettano questa manovra come “cartolarizzazione”, cioè la trasformazione di minacce o rischi in profitti.
uando poi ci si rende conto che la soluzione semplice non funziona si passa alla soluzione semplice successiva che dovrebbe risolvere i nuovi guai creati dalla precedente.
R (Rigging) si riferisce agli aggiustamenti improbabili, gli strumenti usati per riparare i danni delle soluzioni false e distruttive. Ogni intervento che persegue una soluzione semplice tende ad essere messo in gioco da una varietà di attori con obiettivi diversi. Le “guerre” o le “lotte” dichiarate tendono a creare condizioni (segretezza, repressione del dissenso, imperativo della “vittoria”) che favoriscono i brogli. Tali manipolazioni o menzogne possono assumere la forma di un “doppio gioco” con vincitori nascosti in una particolare controversia che tradiscono la propria cooperazione prima promessa. Nel frattempo, i protagonisti consolidano la loro ricchezza, il potere politico e militare e/o il sostegno degli alleati e del pubblico.
E (Externalize) si riferisce alla esternalizzazione o allontanamento degli effetti immediati e visibili di un elemento della policrisi. Oltre allo sfruttamento dei benefici dell’intervento distruttivo, di solito si verifica un’esportazione o una “esternalizzazione” dei suoi costi. In effetti, i costi dell’intervento tendono ad essere distribuiti in modo perverso in modo da minimizzare gli impatti negativi sui potenti – e in primo luogo su coloro che hanno creato l’intervento. Le lotte impossibili da vincere tendono a generare quelle che gli economisti chiamano “esternalità negative” – costi che non sono contabilizzati e che dovrà pagare qualcun altro. La guerra alla droga, ad esempio, mostra chiaramente come i costi siano stati sistematicamente esportati in termini di violenza verso i paesi di origine e di transito, e in termini di salute e sicurezza pubblica verso i gruppi più poveri ed emarginati.
C (Cascade) si riferisce agli effetti a “cascata”. È il processo attraverso il quale le guerre su tutto causano costi crescenti che sfuggono al controllo sistemico. Come in un domino, a ogni passaggio si aggiungono nuovi avversari. Per esempio, le zone di confine tra Stati Uniti e Messico o la regione del Sahel, sono entrambi casi in cui la spirale delle crisi è stata alimentata dalla sovrapposizione di guerre e conflitti variamente organizzati contro ribelli, cartelli, trafficanti e migranti.
Infine, K (Knowledge) si riferisce alla “correzione della conoscenza”, cioè la manipolazione dei fatti, che crea i cosiddetti fatti alternativi. L’alterazione sistematica della verità punta a semplificare eccessivamente il problema analizzato ed esagera l’efficacia della soluzione eccessivamente semplificata. Il risultato che si ottiene è che il pubblico ascolta e fa sua una visione alterata che falsifica ciò che sta realmente accadendo. Nel frattempo, la portata delle domande e del dissenso tende a essere ridotta drasticamente dalla cornice della guerra. In pratica, coloro che cercano di evidenziare i costi nascosti rischiano di essere emarginati o denigrati6 .
Quali sono le radici della relittonomia? In estrema sintesi la policrisi in cui viviamo e il deterioramento del contratto sociale ci soffocano perché è venuto a mancare l’ossigeno della convivenza felice, cioè la fiducia negli altri, il collante necessario in un relazionismo sano. La sfiduceria7 , la fabbrica e lo spaccio di sfiducia, è divenuta l’industria dominante in ogni ambito politico, ambientale, economico, sociale ed etico. Crescono e sono potenti coloro che fabbricano sfiducia, coloro che la confezionano in modo da farla sembrare bella e giusta, coloro che la propagandano sui social network e nei media, e coloro che la distribuiscono a piene mani nei milioni di spacci quotidiani di sfiducia. Diviene difficile approvvigionarsi di fiducia se essa scarseggia nella vita privata, familiare e sul posto di lavoro. La sfiducia è sempre tossica ed è contagiosa, uccide in modo subdolo e lento, cosicché chi è strangolato dalla sfiducia prima di soccombere trasmette sfiducia a coloro con i quali si relaziona. Per ridistribuire fiducia in dosi abbondanti e in modo che tutti possano assorbirla e fissarla dentro alla propria vita quotidiana c’è solo un distributore gratuito: non è disponibile ad ogni angolo di strada, ma è pur sempre reperibile ovunque per chi lo va a cercare, è il senso di fraternità. Lo garantisco per esperienza vissuta in centinaia di scenari conflittivi: una piccola dose di senso di fraternità al giorno toglie la sfiduceria di torno.
* Questo articolo è un breve estratto di un saggio di Muhammad Yunus, Sandro Calvani e Giuliano Rizzi dal titolo Protopia, il nuovo impegno quotidiano per i beni comuni globali di prossima pubblicazione, Città Nuova Editrice.
Note
1 E. F. Schumacher (1911-77) statistico ed economista tedesco-britannico, noto per le sue proposte innovative di tecnologie a misura d’uomo, decentralizzate e appropriate. Nel 1995, il suo libro del 1973 Piccolo è bello. Uno studio dell’economia come se ognuno contasse qualcosa è stato classificato dal «Times Literary Supplement» come uno dei cento libri più influenti pubblicati dopo la Seconda guerra mondiale.
2 Edgar Morin (1921), filosofo e sociologo francese della teoria dell’informazione, è noto per il suo lavoro sulla complessità e sul “pensiero complesso”. Ha pubblicato oltre cinquanta libri.
3 E. Morin, A. B. Kern, Homeland Earth: A Manifesto for the New Millennium, Hampton Press, New York 1993.
4 R. Andersson, D. Keen, Wreckonomics: Why It’s Time to End the War on Everything, Oxford University Press, New York 2023.
5 “Relittonomia” è un neologismo che significa “economia di guerre, relitti e distruzioni”: è derivato in italiano dal termine inglese wreckonomy descritto in questo saggio.
6 L. Attree, Finding Clues amid the Wreckage of Contemporary Wars, bit.ly/4cFSOCi.
7 La parola “sfiduceria” è un neologismo della lingua italiana che significa “industria e spaccio della sfiducia”; viene usata per la prima volta in questo saggio di Sandro Calvani.