Il 12 aprile 1927 moriva a Napoli san Giuseppe Moscati, ormai venerato come il medico dei poveri. L’11 aprile dello stesso anno, quasi a raccogliere idealmente il testimone di una professione medica vissuta con generosità e competenza, nasceva ad Arcevia, in provincia di Ancona, Alfonso Federico Pagliariccio, che morirà a soli 53 anni, l’11 aprile 1980, nell’esercizio della sua missione, per un’infezione da epatite B contratta da un portatore sano. La vita di Alfonso attraversa uno snodo cruciale della storia italiana, dagli anni del fascismo alla tragedia della guerra, dal fervore della ripresa alle prime avvisaglie di regressione individualista in una società del benessere. L’ambiente familiare, plasmato da profonda fede cristiana e da fedeltà al lavoro, si prolunga in modo coerente in un contesto sociale in cui i modelli educativi favorivano un impegno pubblico, in una sintesi di valori umani e cristiani. In quest’angolo operoso e appartato di vita di provincia, nel cuore dell’Italia centrale, il giovane Pagliariccio sperimenta un cammino di maturazione in cui l’impegno ecclesiale, associativo e politico degli anni di gioventù non s’interrompe con la professione, raggiungendo al contrario un equilibrio esemplare di competenza professionale e testimonianza cristiana.
Alfonso Pagliariccio, medico per la vita
di
Alfonso Federico Pagliariccio è il testimone di una sintesi esemplare di fede cristiana e competenza professionale, vissuta nella fedeltà alla Chiesa e all’Azione cattolica. Il suo impegno come medico chirurgo al servizio della vita si ispira a valori di gratuità assoluta, centralità del malato, dedizione eroica fino alla morte prematura.
Una testimonianza straordinaria di vita ordinaria, che merita di essere riconosciuta e onorata.
Durante gli studi liceali al Collegio Pergolesi di Jesi, approfittando delle vacanze estive, Alfonso riorganizza l’Aziona cattolica di Arcevia; ne diventa presidente parrocchiale a diciotto anni, mantenendo l’adesione associativa fino alla morte. Dà vita al Centro Sportivo Italiano e organizza pellegrinaggi a Loreto, Assisi e Roma per l’anno Santo del ’50. Diviene attivista della Democrazia Cristiana negli anni cruciali tra il ’45 e il ’48, e animatore dei Comitati Civici. Nell’autunno del 1946 si trasferisce a Roma per frequentare la Facoltà di Medicina e Chirurgia, laureandosi con lode nel 1952. Rientrato nelle Marche, inizia la professione medica nel suo comune di nascita come assistente chirurgo dell’ospedale e quindi in quello limitrofo di Barbara come medico condotto. Nel 1955 inizia la sua attività nel vicino ospedale di Corinaldo, un paese di circa cinquemila abitanti, dove eserciterà la professione sino alla morte; prima come assistente provvisorio di Chirurgia, poi come primario incaricato e infine, nel 1961, come vincitore del concorso da primario del reparto di Chirurgia. Nel frattempo, continua gli studi e consegue la specializzazione in Chirurgia generale nel 1958 presso l’Università di Bologna e successivamente, nel 1961, quella in Ostetricia e Ginecologia presso l’Università di Padova.
L’ospedale di Corinaldo cresce rapidamente, divenendo punto di riferimento oltre la dimensione locale, con pazienti provenienti da tutta la regione e oltre. Nel 1978 i posti letto arrivano a duecento, di cui cento afferenti alla sola Chirurgia generale; numeri oggi difficilmente riscontrabili anche in un moderno policlinico.
L’attività di Pagliariccio diventa molto importante, sotto il profilo quantitativo e qualitativo. Svolge le funzioni di chirurgo generale, ginecologo, ostetrico, ortopedico, odontoiatra, medico generalista, ricoprendo anche il ruolo di Direttore sanitario. I dati oggettivi dell’attività chirurgica danno la misura del suo impegno: 20.000 interventi chirurgici complessivi, di cui 7000 di chirurgia generale, 800 di urologia, 2600 di ortopedia e traumatologia, 5400 di ostetricia e ginecologia, tra cui circa 3000 nascite.
Ormai, in ospedale, per tutti lui è semplicemente il Dottore. Competenza e gratuità diventano i suoi tratti distintivi. La sua attività non ha limiti orari, né ferie o riposi settimanali. Chiede persino all’avvocato di famiglia come poter rinunciare legalmente alle ferie, previste dal contratto di lavoro. Per le visite ambulatoriali, che si prolungano fino alle ore piccole della notte, non chiede mai alcun compenso. Gli episodi di dedizione si moltiplicano, documentati da testimonianze spontanee, custodite gelosamente dalla famiglia. Per mancanza di personale è pronto a ricoprire, lui primario, il turno di notte come infermiere sia nella divisione di Chirurgia generale che in quella di Medicina. Compie visite domiciliari inaspettate alle donne in gravidanza, con la propria auto guidata dal fedele infermiere-autista. Trasporta, sempre con la propria auto, fino all’abitazione lontana, una povera donna che aveva perduto l’ultima corsa della corriera. Nel 1970, in un incidente d’auto subisce la frattura del bacino, di un braccio e di una gamba; appena tolto il gesso, riprende le visite in carrozzina e per gli interventi chirurgici si fa preparare uno sgabello su misura.
Ma è la sintesi profonda tra fede cristiana, amore per i malati e competenza professionale che rende straordinaria la figura di Pagliariccio. Le sue parole lo confermano: «Se sei cristiano non esigere dagli altri. Quello che manca lo devi fare tu». E ancora: «Camminiamo a un metro da terra, altrimenti non ce la facciamo». Competenza che implica anche la consapevolezza dei propri limiti: non era raro l’invio di pazienti al consulto di specialisti lontani, accompagnati da una busta contenente, insieme alla descrizione del caso clinico, anche i soldi per l’onorario. La preghiera costante di cui si nutriva la sua missione professionale (la santa Messa nella cappella dell’ospedale o il rosario a notte fonda, insieme alla suora di turno), acquistava in questo modo un’altra credibilità. La sua abnegazione instancabile, che esigeva dal personale sanitario disponibilità fuori orario e un’interpretazione non minimalista del mansionario sindacale, negli ultimi anni deve fare i conti con qualche resistenza che lo addolora profondamente, insieme alle prime avvisaglie di chiusura dell’ospedale, che tuttavia in vita gli sarà risparmiata, così come la progressiva burocratizzazione spersonalizzante del sistema sanitario.
Gli autentici profeti del bene, anche quando sono lasciati soli, sono sempre capaci di rigenerare una diversa atmosfera spirituale, che sovverte il panorama esistente, scardinando consuetudini apparentemente immutabili e introducendo un soffio di vita nuova.
Solo così Alfonso Pagliariccio è riuscito a trasformare un ospedale periferico, fatalmente esposto al rischio di una routine annoiata e marginale, in un centro pulsante di assistenza a tempo pieno, per la quale ancora oggi si versano fiumi d’inchiostro, puntualmente smentiti da un’organizzazione sanitaria caotica e impersonale, che stenta a riconoscere le persone dietro ai numeri. Certamente la testimonianza cristiana di Alfonso Pagliariccio, in grado di illuminare ancora il mondo delle professioni, ha potuto positivamente beneficiare di un tessuto sociale, ecclesiale e familiare sano, di una formazione spirituale organica e intelligente, di un’esperienza associativa (come l’Azione cattolica) organizzata e attenta a fare sintesi tra fede e storia, di una medicina ancora capace di curare il malato insieme alla malattia, di una struttura sanitaria a misura del territorio.
Su questo spartito Alfonso è riuscito a suonare in modo originale la musica del Vangelo, come la chiama Francesco in Fratelli tutti, grazie alla quale possiamo incontrare quella che altrove egli ha definito «la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio». A volte basta una testimonianza semplice per riconoscerlo: «Mio marito faceva il mestiere di stagnino, su e giù in bicicletta, si ammalò di cuore, il dottore lo curò, poi gli disse: “Prenditi una vespetta, passerò io a pagarla”, e la conserviamo ancora come il regalo di un angelo».
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Antologia
Fabio Ciceroni
«Esserci sempre, mai comparire. Un’interiore ispirazione evangelica impronta ogni sua modalità relazionale alla visione unitaria della persona [...] Così adotta nella prassi quotidiana criteri di prevenzione o, per i morenti, si fa precursore delle cure palliative. Prendersi cura prima di curare e curare il malato prima della malattia.
Anteporre la vita senza risparmio di ogni energia disponibile. Così attua una trasfigurazione operativa tale che in brevi anni l’ospedaletto di provincia allogato negli ambienti di un convento francescano assurge a polo sanitario di tracimante attrazione [...] “Signori, camminiamo a un metro da terra, altrimenti non ce la facciamo”, è il suo appello che allora per alcuni suona quasi metafisico. Oggi invece – coronavirus 2020/2021 – consuona con lo spirito dei tanti medici, e preti, caduti sul campo della dedizione alla cura [...] La coscienza gl’impone di dare il giusto al lavoro degli altri ma tutto sé stesso alla propria missione. Una prassi che disorienta: “per il dottore gli straordinari erano la norma, ma non ha mai voluto una lira per tutto quel lavoro svolto fuori orario di servizio, anzi, lui lavorava e gli altri prendevano lo straordinario”, ricorda un infermiere.
A volte sconvolge, come quando, in carenza notturna del personale, non esita a sostituire per notti intere l’infermiere assente. Un altro di loro: “Se ho lavorato tanto io, pensiamo quanto lavorava lui per coordinare il tutto, per pensare a tutto, ma non ci si poteva tirare indietro perché lui dava la vita”».
Giovanni Putoto
«Ecco, se si dovesse oggi recuperare e rilanciare un tratto dello stile del dottor Pagliariccio sceglieremmo proprio la centralità del paziente, la relazione medico-paziente, ma come l’ha intesa e testimoniata lui: mettendosi nei panni dell’altro, guardandolo in profondità, sapendolo ascoltare, dandogli del tempo, creando relazioni personali improntate al dialogo, al rispetto e alla fiducia, assicurandosi il pieno coinvolgimento della famiglia e il collegamento con gli altri livelli dell’assistenza sanitaria, il tutto nell’esercizio del massimo rigore professionale [...] Il suo messaggio è ancora valido: non viviamo in isolamento. Facciamo parte di una comunità e di un mondo. La salute, in quanto diritto umano universale, ci interpella come credenti e come operatori a sviluppare forme di assistenza sanitaria solidaristiche, attente al prossimo, ai poveri in primis, a casa nostra come negli angoli più sperduti della terra, come quelli africani [...] Ama il tuo paziente, ama la tua professione, ama il tuo Dio. Qui sta l’eredità più preziosa della vita del dottor Pagliariccio. Un laico credente che non imponeva alle persone le sue idee e neppure il suo stile di lavoro o di preghiera. Uno per il quale la fede era una scelta personale vera, decisiva, testimoniata con discrezione giorno dopo giorno a tutte le persone che si rivolgevano a lui per trovare una soluzione ai propri problemi di salute [...] Una fede che ha incontrato altre fedi, più nascoste ed elementari, forse, ma non per questo meno capaci di aprirsi alla vita e alla pienezza del credere. Questo stile è lì a dirci che non dobbiamo chiuderci nelle nostre certezze e non dobbiamo temere di essere una minoranza. Sì, c’è ancora futuro per una Chiesa ospitale, missionaria, nelle società secolarizzate del nostro tempo».
+ Elio Sgreccia
«La vita è dono di Dio. La facoltà di generare risale al suo disegno creatore, ed è lui a mettere l’anima nelle creature. Dio dà tutto, tutto è dono di Dio [...] Credo che questo sia chiesto certamente a noi ministri e vescovi, ma anche a tutti i cristiani, ai genitori, ai medici: senza una fede che supera la pesante coperta di “terrenità” che è stata messa sopra di noi (la secolarizzazione), e senza l’impegno a rischiarare le coscienze con una fede forte, non siamo all’altezza di testimoni come il dottor Pagliariccio [...] E chissà se un giorno anche il dottor Pagliariccio potrà avere gli onori degli altari, con riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa. Io ci spero, perché c’è un segno [...] Ho la convinzione che siamo in presenza di un cristiano autentico che ce l’ha messa tutta, tutto lo sforzo della virtù per l’autenticità cristiana senza mitigazioni, senza vergogne, senza neppure l’enfasi, ma con tutta umiltà. Quindi io la speranza ce l’ho, e voglio spendermi perché la santità del dottor Pagliariccio venga riconosciuta ufficialmente [...] Ho trovato una continuità che ha legato, nella sua vita, tempi, relazioni ed esperienze – la fanciullezza, la famiglia di origine e poi quella che ha costruito, i sacerdoti, i direttori spirituali, la parrocchia, l’Azione cattolica, la vita professionale –: la continuità di unione a Cristo, il continuo contatto con Lui nella preghiera [...] Il segreto della sua vita credo che stia qui.
E siccome penso di non sbagliare, sono fiducioso che la comunità cristiana lo sentirà sempre più vicino e la Chiesa avrà sempre più voglia di farlo conoscere e di chiedere la sua intercessione».
Le testimonianze sono tratte dal libro
Alfonso Pagliariccio. Medico per la vita,
a cura di L. Alici e G. Pagliariccio, Ave, Roma 2021