Jacques Dupuis: ripensare il valore delle grandi religioni

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Trentasei anni di vita trascorsi nell’ambiente culturale e religioso indiano hanno provocato il celebre teologo belga Jacques Dupuis (1923-2004) a ripensare alla radice il modo di intendere e di vivere la relazione tra il cristianesimo e le altre grandi tradizioni religiose, interrogandosi sul valore da riconoscere ad esse all’interno dell’unico disegno di Dio per l’umanità, sul fondamento della fede in Gesù Cristo unico salvatore.

«Perché sono io cristiano? È dovuto soltanto al caso del fatto di essere nato qui piuttosto che lì? Come devo assumere la mia appartenenza alla “via” di Gesù? Come un privilegio oppure come una responsabilità agli occhi di Dio? [...] Stia movivendo in un mondo nuovo, ormai diventato plurietnico, pluriculturale e plurireligioso. Gli atteggiamenti negativi verso gli “altri” e le valutazioni pregiudiziali rispetto alle loro tradizioni che hanno caratterizzato molti secoli di storia cristiana sono or mai fuori posto; sono, infatti, un passato di cui pentirsi e chiedere perdono a Dio e agli uomini. Quale deve essere allora oggi il nostro atteggiamento concreto, e quale la nostra va lutazione teologica?»1.

È con queste parole, intense e accorate, che ormai più di vent’anni fa prendeva avvio l’ultimo saggio del celebre teologo gesuita Jacques Dupuis, dal titolo emblematico Cristianesimo e religioni. Dallo scontro all’incontro. Dopo una vita intera spesa a cercare di mostrare quanto la salvezza che Cristo ha portato all’umanità possa raggiungere tutti gli uomini anche attraverso la pratica delle loro religioni di appartenenza, diverse da quella cristiana, Dupuis si accingeva a riassumere e rilanciare il frutto del suo instancabile lavoro, sperando «di poter aiutare i cristiani del nostro tempo a scoprire più profondamente la globalità del piano di Dio per l’umanità, infinitamente più bello e più profondo di quanto forse noi non abbiamo mai pensato»2.

Nato in Belgio nel 1923, frequenta la scuola primaria e secondaria in un collegio di Gesuiti, dove poi matura la vocazione religiosa e il desiderio della missione in India, fino alla partenza nel 1948. Già nei primi anni, insegnando al liceo del Saint Xavier’s College di Calcutta, rimane colpito dalle doti non solo intellettuali, ma anche morali e spirituali delle centinaia di giovani studenti “non cristiani” che incontra, chiedendosi se ciò non derivasse anche dalle tradizioni religiose a cui appartenevano e che praticavano con serietà. Ben presto inizia a studiare teologia nel prestigioso Saint Mary’s College di Kurseong, prima facoltà ecclesiastica in India, dove già respira un clima di apertura innovativa al contesto religioso indiano e dove tornerà successivamente come docente, dopo una parentesi a Roma dal 1957 al 1959 per conseguire il dottorato con una tesi su Origene e il suo contributo all’opera di inculturazione nei primi secoli della Chiesa.

Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, mentre continua a insegnare teologia (dal 1971 a New Dehli, dove la facoltà si trasferisce), Dupuis inizia anche la sua ricerca teologica, in quella stagione di Chiesa dell’immediato post-Concilio in cui si avvertiva la necessità di un profondo rinnovamento del pensiero e del linguaggio, tanto più nel contesto culturale e religioso indiano. L’esigenza di abbandonare un modo di fare teologia troppo dottrinali stico e astratto, per rimettere al centro della riflessione l’esperienza religiosa, cristiana e non, conduce Dupuis a un’intuizione che lo accompagnerà per tutta la sua successiva ricerca: provare a pensare a un “mistero di unità” dell’uomo con Dio, comune all’esperienza religiosa cristiana e indù (pur con differenze “di grado” e “di natura”), un mistero che certamente si compie pienamente e in modo singolare in Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio, ma che Dupuis vede possibile riconoscere in parte anche in alcune esperienze spirituali della tradizione religiosa indù. Egli giunge a riconoscere un vero e proprio «mistero cristico» accessibile a tutti in maniera esistenziale – anche se solo parzialmente e incompiutamente – nelle differenti tradizioni religiose, grazie all’azione dello Spirito Santo. È significativo, a questo proposito, un breve contributo di quegli anni, dal titolo emblematico La presenza di Cristo nell’Induismo3, nel quale Dupuis cerca di mostrare come l’esperienza spirituale a cui si riferiscono alcuni concetti e categorie del linguaggio religioso indù, possa essere percepita da parte cristiana come un’esperienza, seppur parziale, che si avvicina a quell’unità dell’uomo con Dio che si compie pienamente solo in Cristo, e nel cristiano che vi è reso partecipe in forza del suo Spirito.

È un periodo di ricerca intensa e appassionata, a diretto contatto con l’effervescente ricerca spirituale e teologica di altri grandi nomi, come Jules Monchanin, Henry Le Saux, Raimon Panikkar, e dell’intera Chiesa indiana di quegli anni, che conduce Dupuis a concentrare la sua attenzione sulla possibilità di esplorare e riconoscere come l’azione salvifica di Cristo sia davvero universale, cioè possa raggiungere – seppur parzialmente – tutti gli uomini anche attraverso la pratica delle loro esperienze religiose, diverse da quella cristiana4. Un interesse costante, questo, che accompagna l’intera sua ricerca, e che lo porterà ad affermare, giunto or mai agli ottant’anni: «Posso dire in tutta sincerità che Gesù Cristo è stato l’unica passione della mia vita»5.

Nel 1984 Dupuis conclude definitivamente il suo lungo soggiorno in India, in quanto chiamato ad insegnare Cristologia e Teo logia delle religioni presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Egli avverte la possibilità di portare in Europa le migliori intuizioni maturate nella stagione indiana, “fecondando” così – come egli stesso lascia intendere – la riflessione cristologica occidentale, che era particolarmente viva in quegli anni di profondo rinnovamento dei grandi trattati di teologia.

In particolare, Dupuis reagisce con forza a una corrente teologica innovativa, nata in ambiente anglofono e detta «pluralismo teocentrico», che intendeva riconoscere il valore salvifico delle gran di religioni riconducendolo però all’unico “mistero divino” a cui tutte si riferiscono (pur con nomi diversi), e non più al mistero di Cristo, considerato soltanto come uno dei tanti fondatori, accanto a Buddha, Maometto, ecc., e non l’unico Salvatore di tutti gli uomini6. Nel 1989 Dupuis pubblica quindi un saggio, dal titolo Gesù Cristo incontro alle religioni 7, in cui sviluppa la sua riflessione cristologica contrapponendosi a quella, volendo salvaguardare l’intuizione di un qualche valore salvifico da riconoscere a tutte le religioni, ma appunto sul fondamento di Cristo.

Sono gli anni nei quali Dupuis, che già precedentemente era stato consulente teologico della neonata Conferenza Episcopale Indiana, nonché della Federazione delle Conferenze Episcopali Asiatiche, viene nominato consultore del Segretariato per i non cristiani, che sarà chiamato poi Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. E sono anche gli anni dell’avvio della fioritura del dialogo interreligioso, che si impone all’attenzione mondiale anche sotto la pressione del magistero di Giovanni Paolo II (basti ricordare il celebre evento interreligioso di preghiera per la pace ad Assisi nel 1986). Cresce pertanto nella Chiesa l’interesse per una teologia delle religioni che sia all’altezza del compito che questa nuova epoca pluralistica richiede.

È in questo orizzonte che Dupuis avverte l’esigenza di un balzo in avanti nella riflessione, alla ricerca di un modello di teologia delle religioni in grado di riconoscere il valore delle grandi religioni dell’umanità nell’unico disegno salvifico di Dio per gli uomini, sempre ovviamente sul fondamento della fede in Cristo unico salvatore di tutti. Dupuis pubblica così nel 1997 il celebre saggio Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso8, che da molti viene considerato la prima opera compiuta di teologia delle religioni in ambito cattolico, dopo la provocazione della corrente pluralista teocentrista. L’esito è storia nota: la proposta riceve un immediato interesse e un’accoglienza controversa, suscitando un enorme dibattito su scala planetaria, che divide i recensori tra entusiasti e critici, fino ad attirare l’attenzione dell’allora Congregazione per la Dottrina della Fede, con la quale Dupuis dovrà condurre un lungo e sofferto dialogo che porterà ad una Notificazione ufficiale nel 20019. Lo sforzo, tipico dei pionieri, di osare su un terreno per molti aspetti ancora inesplorato, ha condotto Dupuis ad una proposta che – come egli stesso aveva previsto – ha sollevato tanti interrogativi quanti i tentativi di soluzione offerti. Eppure, occorre riconoscere che proprio questo suo sforzo sin cero e appassionato rimane un contributo certamente tra i più significativi degli ultimi decenni, che ha stimolato e provocato la ripresa, l’approfondimento e il chiarimento delle molte questioni che il tema solleva, in un ambito di indagine che per molti aspetti rimane ancora aperto.

Papa Francesco ha recentemente contribuito a rilanciare la ricerca, quando nel febbraio del 2019 ad Abu Dhabi ha firmato insieme con il Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyib il Documento sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune, dove tra l’altro si afferma: «Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani»10. Un’affermazione inconsueta che – come qualcuno ha scritto – «sarebbe stata gradita a padre Dupuis»11, e che provoca la teologia a continuare la ricerca, raccogliendo l’eredità incompiuta del grande teologo belga, il quale al termine della sua vita affermava: «Spero, quindi, che progrediremo insieme verso una sempre più profonda conoscenza del mistero di Dio e della sovrabbondante munificenza del suo piano di salvezza per tutta l’umanità. Spero che scopriremo con meraviglia che Dio è veramente «più grande del nostro cuore» (vedi 1Gv 3,20) – e della nostra mente – e che comprenderemo meglio “l’ampiezza e la lunghezza e altezza e profondità” del mistero (mysterion) che si è compiuto in Cristo Gesù!»12.

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Antologia

Per sviluppare fra il cristianesimo e le altre tradizioni religiose dei rapporti di apertura mutua e di collaborazione è necessaria [...] una purificazione delle memorie, il che non significa dimentica re il passato, spesso contenzioso, che ha marcato tali rapporti, e molto meno dimenticare i crimini contro l’umanità che sono più volte stati perpetrati in nome di Dio e della religione; significa invece un cambiamento delle mentalità e degli spiriti, in effetti una “conversione” (metánoia) verso Dio e verso gli altri da parte di tutti, che renda possibile un risanamento delle relazioni.

[...] è ugualmente necessaria una purificazione del linguaggio teologico riguardo al modo, spesso offensivo e deleterio, in cui abbiamo nel passato parlato delle altre tradizioni religiose e dei loro membri. [...] Ma non basta neanche una purificazione linguistica. Ci vuole infatti una purificazione della stessa intelligenza teologi ca e una comprensione rinnovata nel modo di pensare gli “altri” e il loro patrimonio culturale e religioso. Non si deve dimenticare che i gesti seguono il pensiero; e, dunque, che gli atteggiamenti negativi e spesso offensivi nei riguardi delle altre religioni che hanno caratterizzato il passato, sono scaturiti dalle valutazioni spesso ingiuste e diffamatorie che ne sono state intrattenute.

[...] Non si può dimenticare che il concilio Vaticano II fu il primo nella storia conciliare bimillenaria della Chiesa a parlare positiva mente delle religioni, in cui vanno riconosciuti dei valori positivi. [...] Il concilio Vaticano II, come pure tutti i concili nella vita del la Chiesa, non fu una ultima parola, ma invece una prima parola; esso indica una direzione in cui si deve camminare per raggiunge re una comprensione più ampia del disegno di Dio per l’umanità, il quale rimarrà sempre al di là d’una nostra comprensione totale. [...] Siamo, comunque, persuasi che un tale salto qualitativo [...] è doveroso affinché il messaggio cristiano mantenga, nel mondo multiculturale e multireligioso di oggi, la sua credibilità; meglio, affinché tale credibilità possa crescere a misura dell’adattamento del messaggio agli orizzonti allargati del mondo odierno. Sono da scongiurare i modi di “difendere la fede” i quali risultino controproducenti, per quanto la fanno apparire ristretta e angusta. Sono persuaso che una impostazione più larga e un atteggiamento più positivo, purché teologicamente ben fondati, ci aiuteranno a scoprire, con nostra sorpresa, nel messaggio cristiano, nuove larghezze e nuove profondità.

(J. Dupuis, Il cristianesimo e le religioni. Dallo scontro all’incontro, «Giornale di teologia», 283, Queriniana, Brescia 2001, pp. 474-477)

Note

1 J. Dupuis, Il cristianesimo e le religioni. Dallo scontro all’incontro, Queriniana (GDT 283), Brescia 2001, pp. 17-18.

2 Ivi, p. 18.

3 J. Dupuis, The Presence of Christ in Hinduism, in Jesus Christ and His Spirit, Bangalore 1977, pp. 167-179.

4 A questo proposito è sintomatico che, accanto alla mole di articoli e contributi da lui pubblicati durante gli anni della sua permanenza in India, l’unico volume sia una raccolta di suoi scritti dal titolo emblematico Jesus Christ and his Spirit (Bangalore 1977).

5 G. O’Connell, «Il mio caso non è chiuso». Conversazioni con Jacques Dupuis, EMI, Ve rona 2019, p. 335.

6 Si può considerare come un vero e proprio manifesto di questa proposta il volume di J.Hick, P.F. Knitter (edd.), The Myth of Christian Uniqueness, Orbis Books, Maryknoll 1987.

7 J. Dupuis, Gesù Cristo incontro alle religioni, Cittadella Editrice, Assisi (Pg) 1989.

8 Id., Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso (BTC 95), Queriniana, Brescia 1997.

9 Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Notificazione sul libro Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso di Jacques Dupuis, in «L’Osservatore Romano», 27 feb braio 2001.

10 Papa Francesco, Ahmad Al-Tayyib, Documento sulla fratellanza umana per la pace mon diale e la convivenza comune, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2019, p. 13.

11 E. Castellucci, «Il Gesù del dialogo cambiò la mia vita», in «Avvenire», 19 febbraio 2020, p. 23.

12 G. O’Connell, «Il mio caso non è chiuso», cit., p. 433.