Tra gli effetti del Covid-19 un netto aumento delle disuguaglianze, in un’Italia già alle prese con un notevole bagaglio di squilibri e di ingiustizie che gravano su i più poveri, i più deboli, i più anziani. È responsabilità di tutti invertire la rotta, a partire dalle politiche sanitarie e scolastiche, e tessere più forti relazioni comunitarie.
Lo scoppio della pandemia da Covid-19 ha messo in risalto, e certamente accentuato, squilibri e disuguaglianze, globali e locali, che già esistevano, e ha evidenziato l’urgenza di un cambio di paradigma, per uno sviluppo autenticamente umano.
In Italia gli effetti della crisi si sono dispiegati su diversi piani. Innanzitutto su quello sanitario. La diffusione del virus ha provocato finora più di trentamila morti, colpendo soprattutto la Lombardia e, in misura minore, le altre regioni del Centro-nord, mentre al Sud gli effetti del contagio sono stati assai meno disastrosi. Sono venute a galla le incongruenze di un sistema indebolito dalle politiche sottrattive degli ultimi venti anni, nel corso dei quali l’Italia ha speso per la salute dei cittadini assai meno degli altri paesi dell’Europa occidentale: nel 2000 il 9% in meno rispetto alla media dell’Ue-15; nel 2018 il deficit di spesa si è issato al 27% (cioè per ogni 100 euro utilizzati per tutelare la salute dei cittadini europei, in Italia se ne sono spesi solo 73). Per effetto dei tagli effettuati, il sistema sanitario italiano non è riuscito a fronteggiare adeguatamente le conseguenze dell’invecchiamento della popolazione ed ha ridotto in modo considerevole la spesa per la ricerca e per l’innovazione tecnologica. Inoltre, a causa del blocco del turn over nelle regioni sottoposte ai piani di rientro, e della diminuzione drastica delle assunzioni di nuovo personale nelle altre, l’Italia ha, rispetto ad altri paesi europei, molti meno infermieri, e medici la cui età media è più elevata. A tutto questo si aggiungono le disuguaglianze su base territoriale, per cui al Sud è mediamente più difficile che al Nord sia curarsi che accedere a prestazioni sanitarie di qualità.
Alla chiusura di molti reparti ospedalieri non è seguito il rafforzamento delle reti di intervento territoriali. Come la Corte dei conti ha rilevato in un suo recente documento, quando la crisi è scoppiata, «la mancanza di un efficace sistema di assistenza sul territorio ha lasciato la popolazione senza protezioni adeguate […]. Tale carenza ha finito per rappresentare una debolezza anche dal punto di vista della difesa complessiva del sistema quando si è presentata una sfida nuova e sconosciuta». L’insufficienza delle risorse destinate al territorio ha reso più tardivo l’intervento e ha fatto trovare poco attrezzati i presidi sanitari che dovevano potersi opporre al dilagare della malattia, per cui sono stati essi stessi travolti dalla tempesta, pagando un prezzo in termini di vite molto alto: tra le vittime per Covid, sono tanti i lavoratori della sanità (150 medici, 34 infermieri, 18 oss e 13 farmacisti).
Effetti asimmetrici del confinamento
Le misure generalizzate di confinamento domestico, adottate per contenere la diffusione del contagio, hanno prodotto effetti asimmetrici, nel senso che hanno pesato in misura maggiore sulle persone più vulnerabili. Basti pensare, ad esempio, ai senza dimora, che hanno visto ridursi in modo considerevole le possibilità di accesso ai servizi loro dedicati, sia diurni che di accoglienza notturna; ai rifugiati, agli immigrati irregolari, ai rom, alle persone più fragili sotto il profilo psichico, ai disabili.
Senza dimenticare i lavoratori stagionali e quelli precari, e le persone e le famiglie più povere: per effetto del più che probabile calo drastico del Pil (in una misura non inferiore al 10%), il 20% delle famiglie più povere subirà una riduzione del reddito pari al doppio di quella che colpirà il 20% delle famiglie più ricche, con un allargamento ulteriore della forbice delle disuguaglianze.
Quanto è accaduto mostra, inoltre, che tra le persone più colpite dal virus ci sono quelle più anziane e, contemporaneamente, più povere, meno istruite e con pregresse malattie croniche, e le donne anziane che vivono da sole. Particolarmente esposti sono stati soprattutto gli anziani accolti nelle strutture residenziali. Sulla base dei pochi dati disponibili, è ipotizzabile che le morti nelle residenze di questo tipo abbiano costituito quasi il 30% del totale dei decessi complessivi per Covid-19 registrati in Italia. Si tratta di un numero enorme, sebbene si collochi al di sotto delle quote registrate negli altri paesi europei. Questo dato impone la necessità di ripensare a fondo il modello di accoglienza residenziale – che sradica le persone più fragili dai loro contesti di vita – e di puntare su soluzioni plurime, flessibili, dando priorità quando è possibile agli interventi domiciliari o all’accoglienza in comunità piccole a dimensione familiare.
Un altro ambito in cui le conseguenze della crisi si sono avvertite in modo pesante è quello della scuola. La didattica a distanza (Dad) ha fatto esplodere il problema del digital divide: il 12,3% dei ragazzi italiani tra i 6 e i 17 anni non ha un computer; al Sud la percentuale sale al 20%. Più di un milione e mezzo di studenti è rimasto tagliato fuori per mancanza di dispositivi adeguati o per via di connessioni scarse. Nel corso delle settimane successive al lockdown, su iniziativa del governo e anche di tante organizzazioni solidaristiche, sono stati consegnati computer o tablet a tanti ragazzi che ne erano sprovvisti. Ma non sempre tutto ciò è stato sufficiente a garantire una migliore partecipazione alle lezioni on line. Per tanti studenti disabili e per quelli con disturbi specifici dell’apprendimento il cammino è stato particolarmente impervio.
Per tanti genitori non è stato semplice conciliare i tempi di lavoro con quelli della cura dei figli alle prese con la Dad. Questa situazione ha pesato in particolare sui nuclei monogenitoriali e su quelli in cui le figure adulte di riferimento vivono una situazione lavorativa precaria. Le organizzazioni solidaristiche impegnate in attività di accompagnamento scolastico dei bambini e dei ragazzi più in difficoltà si sono ritrovate nella quasi totale impossibilità di operare, se non da remoto.
Garantire l’esercizio concreto dei diritti
Le tante manifestazioni della disuguaglianza – che la crisi da pandemia ha fatto emergere o ha acuito – chiamano in causa la responsabilità di tutti. Quella delle istituzioni pubbliche, innanzitutto, sollecitate a porre in essere misure di redistribuzione efficaci, in modo da favorire l’esercizio concreto dei diritti sociali di cittadinanza da parte di tutti coloro che ne sono astrattamente titolari. Solo attraverso misure del genere – soprattutto attraverso quel sottoinsieme rappresentato dalle politiche sanitarie e scolastiche– è possibile ricomporre, o almeno contenere, le linee di frattura tra integrati ed esclusi e perseguire obiettivi di giustizia e libertà sostanziali. Si tratta di una condizione necessaria, ma non sufficiente. Infatti, il raggiungimento di questi obiettivi dipende anche dalle caratteristiche personali di ogni persona e dal contesto di vita e di relazioni in cui è inserita. In altri termini, la giustizia sostanziale, come fruizione effettiva delle risorse di cittadinanza, non è solo un valore, ma è anche frutto di un impegno sociale. Il che vuol dire che la libertà sostanziale di ognuno si esprime pienamente attraverso l’impegno orientato a promuovere la libertà altrui di realizzarsi come persona e di partecipare compiutamente alla vita della città. C’è un nesso stretto tra la mia libertà e quella dell’altro. L’ampiezza della libertà sostanziale altrui dipende dalla misura della mia disponibilità nei suoi confronti. Per questa via si illumina la possibilità di una rigenerazione della politica che passa attraverso la tessitura di relazioni comunitarie in cui si accolgono e valorizzano le vite di scarto, quelle esistenze sovrannumerarie che nessuno vuole vedere e che non si sa come integrare, e che costituiscono invece le fondamenta nascoste della polis.