Solidarietà e carità a dimensione comunitaria

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Le situazioni di emergenza sono una lente attraverso cui la nostra realtà può essere vista più da vicino. Questo è il momento della comunità e della Chiesa, per condividere le difficoltà e aiutare ad affrontarle insieme.

La pandemia ha colpito non soltanto le singole persone e le loro famiglie, ma l’intera comunità del paese, annullando tutti i luoghi classici di aggregazione. Le situazioni di emergenza come quella che stiamo vivendo non sono altro che una lente attraverso cui la nostra realtà può essere vista più da vicino: quello che c’è si amplifica e assume proporzioni ipertrofiche, al limite della gestibilità. Eppure, alla luce della storia bimillenaria della Chiesa, riteniamo che paradossalmente, o meglio provvidenzialmente, questo è il momento della comunità e della Chiesa. Non tanto e non solo per distribuire aiuti materiali, quanto principalmente per garantire una presenza costante, condividere le difficoltà e aiutare ad affrontarle insieme. Una presenza certamente rimodulata nelle forme ma comunque garantita attraverso la salvaguardia del rapporto umano, della comunione ecclesiale, della condivisione della sofferenza, difendendo con coraggio i valori, la dignità e i diritti.
Alla luce di questo, come Caritas abbiamo avuto modo di intensificare l’impegno, soprattutto nei territori, mettendo in atto essenzialmente il trinomio dato dal nostro metodo: ascoltare, osservare, discernere per agire, al fine di poter individuare e quindi percorrere le strade più opportune in vista di un maggiore ed efficace ruolo di animazione.
Ascoltare e osservare per comprendere meglio le cause e le conseguenze della pandemia del coronavirus. Discernere come Dio ci sta chiamando a rispondere, mobilitarsi e agire per una migliore cura delle persone più vulnerabili, contribuendo a far sì che la società che rinascerà al termine della pandemia sia più sicura, più giusta, più umana.
Abbiamo fin da subito avvertito il dovere e quindi l’esigenza di doverci “mettere in gioco”, nella piena consapevolezza di dover dare corpo, concretezza e quindi visibilità a uno degli aspetti cruciali e belli della Chiesa, ossia la testimonianza della Carità nella comunità. Tutto questo sia come impegno immediato, sia come eredità in continuo compimento; da consegnare al futuro ed esser così in grado di potenziare ulteriormente la credibilità stessa della Chiesa.
Questo incontro di Chiesa e di popolo, che deve trovarci tutti uniti, può essere stimolo e motivo di impegno e di speranza per affrontare i nuovi problemi che presenta l’evolversi della società in tutto il paese e nel mondo intero. A tale proposito papa Francesco, nell’omelia di domenica 18 aprile, ci ha messo in guardia contro un pericolo: «Dimenticare chi è rimasto indietro. Il rischio è che ci colpisca un virus ancora peggiore, quello dell’egoismo indifferente».
La solidarietà, quindi, deve essere il rinforzo del corpo in cui tutti viviamo, partecipando ad un destino comune in cui nessuno può essere lasciato indietro.
Ne nasce una sfida alla politica ma anche a quanti sono interpellati dal Vangelo della carità. Il presupposto è quello del «bene comune». Che non è la somma dei singoli beni individuali, ma il risultato di una giustizia sociale in cui è rispettata la dignità di ogni persona. L’“io” personale non si annulla in un “noi” anonimo, ma si dilata oltre i limiti particolari imponendo una visione il più possibile globale dei problemi e delle soluzioni che coinvolgono tutti per il bene di tutti.
Solidarietà e carità acquistano senso pieno solo se vissute nella dimensione comunitaria. Come? Favorendo il rinnovamento evangelico delle nostre comunità, valorizzando le dimensioni della pastorale, il quotidiano lavoro e il volto bello delle tante esperienze che fioriscono in ogni comunità.
Di fronte ai nuovi, crescenti bisogni, il coinvolgimento delle comunità e l’attivazione solidale sono stati esemplari con un fiorire di iniziative: dagli enti pubblici agli enti privati, al terzo settore, alle parrocchie, ai gruppi di volontariato, alle aziende, ai singoli. Sono cambiati o si sono adattati anche i servizi e gli interventi, in particolare: i servizi di ascolto e accompagnamento telefonico o anche in presenza negli ospedali e nelle Rsa; la fornitura di pasti da asporto e consegne a domicilio; la fornitura di dispositivi di protezione individuale e di igienizzanti; le attività di sostegno per nomadi, giostrai e circensi costretti alla stanzialità; l’acquisto di farmaci e prodotti sanitari; la rimodulazione dei servizi per i senza dimora; i servizi di supporto psicologico; le iniziative di aiuto alle famiglie per smart working e didattica a distanza; gli interventi a sostegno delle piccole imprese; l’accompagnamento all’esperienza del lutto. A tutto questo si sono aggiunte le strutture edilizie che le Diocesi hanno destinato a tre categorie di soggetti: medici e/o infermieri, persone in quarantena e persone senza dimora. Sta emergendo il volto bello dell’Italia che non si arrende. Come comunità ecclesiali, mettendo in atto nuove e concrete forme di carità, siamo chiamati, come ci ha ricordato papa Francesco, a «riscoprire e approfondire il valore della comunione che unisce tutti i membri della Chiesa».
Davanti ai continui mutamenti di questo periodo abbiamo dunque cercato di decodificare quanto il Signore ci stava comunicando, e quindi comprendere quale poteva essere l’indirizzo da dover dare ad ogni nostra azione. Nella consapevolezza di dover “pescare qualcosa” in un periodo di tempesta e di sconvolgimenti nella traversata della vita, abbiamo cercato di tenere robusto il contenuto della rete Caritas all’interno della famiglia ecclesiale. Il contatto pressoché costante con le Caritas diocesane (sia per raccogliere esperienze e dati, trasmettere aggiornamenti, condividere riflessioni, ecc.), specialmente quelle maggiormente colpite dalla pandemia, ha favorito non solo la tenuta del senso di famiglia, ma ha anche contribuito al suo incremento e permesso di raccogliere, insieme a una molteplicità di bisogni, anche una notevole ricchezza di valori composta soprattutto da relazioni solidali e inclusive nelle comunità. È questo il paradosso: in un periodo in cui i contatti ravvicinati non erano consentiti o possibili, la fantasia della carità ha permesso qualcosa che prima era, se non impossibile, almeno inimmaginabile: rafforzare i legami comunitari.
«Se abbiamo potuto imparare qualcosa in tutto questo tempo – sottolinea papa Francesco – è che nessuno si salva da solo. Le frontiere cadono, i muri crollano e tutti i discorsi integralisti si dissolvono dinanzi a una presenza quasi impercettibile che manifesta la fragilità di cui siamo fatti».
In questo scenario abbiamo oggi come la sensazione di aver percorso, da un giorno all’altro, una serie non calcolabile di tempo: molto è cambiato, niente è come prima. Perciò, non esistendo più immediata continuità, siamo consapevoli di non avere la presunzione di riprendere da dove ci eravamo lasciati. A questo proposito risulta più che mai attuale quanto sottolineato dall’articolo 1 del nostro statuto nel passaggio in cui si raccomanda che l’azione della Caritas debba essere «in forme consone ai tempi e ai bisogni». Perciò, raccogliendo l’eredità di questi mesi, dobbiamo principalmente non incorrere nell’errore di vagare su sentieri che ormai appartengono ad altra epoca.
Un’altra considerazione. Il quinto anniversario dell’enciclica Laudato si’ cade nel pieno di questa emergenza mondiale e gli insegnamenti dell’enciclica sono particolarmente rilevanti nel contesto della pandemia di coronavirus, che ha fermato quasi tutto il mondo. La Laudato si’ insegna come soltanto con l’impegno di tutti possiamo rialzarci e sconfiggere anche il virus dell’egoismo sociale con gli anticorpi di giustizia, carità e solidarietà. Per essere costruttori di un mondo più giusto e sostenibile, di uno sviluppo umano integrale che non lasci indietro nessuno. In particolare questa pandemia può essere una opportunità di radicare nel nostro futuro il valore della fratellanza.
In questo scenario globale, considerando che nel 2021 ricorrono i cinquant’anni dalla istituzione di Caritas italiana, siamo chiamati a intraprendere un cammino progressivo per rispondere, con metodo fortemente partecipativo, alle nuove sfide. Dobbiamo chiederci «quale Caritas per i prossimi anni?», accogliendo la diversità e la novità del tempo presente come fonte di conversione, come spinta al cambiamento, con capacità di discernimento e di relazione, in forme nuove. Con la consapevolezza che ogni momento della storia vede la presenza operante, paterna e concreta del Signore: una presenza che ci dona fiducia, ci apre alla speranza e ci immerge nella storia con responsabilità.