All’origine dei nuovi Erode

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Sono tanti oggi i casi drammatici che la cronaca ci pone davanti.
Come è possibile che un genitore arrivi a fare violenza su un figlio o addirittura ad ucciderlo? Il punto di osservazione di uno psicologo clinico.

Perché un genitore arriva ad uccidere un figlio? Tanti oggi i casi drammatici che ci pone davanti la cronaca. Negli anni Novanta mi sono occupato del caso di un uomo che aveva ucciso i suoi tre figli intossicandoli con il tubo di scarico della sua auto, seppellendoli poi uno sull’altro. Motivo addotto fu la pericolosità della madre, alla quale i bambini erano stati affidati. Oggi, a distanza di trent’anni, questi casi sono sempre più frequenti.
Come psicologo clinico ho riscontrato un elemento comune a gran parte della criminologia e anche a figlicidio, femminicidio e stalking: l’impulsività.
Fra i venticinque tratti di personalità previsti dal DSM-5 (il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), l’impulsività, unita alla insensibilità, può raggiungere livelli incontrollabili tali da non permettere di cogliere la differenza tra scagliare una matita o un coltello. La mancanza di riflessività non consente di distinguere l’oggetto relazionale, se si è di fronte ad una bambina o ad un armadio. Il bisogno di scaricare la propria violenza può essere talmente forte da non immaginare le conseguenze di un proprio gesto.

Chi arriva a questi livelli e perché?
Il controllo dell’impulso (aggressivo, sessuale, nutritivo) è un traguardo molto difficile e per nulla scontato. La famiglia è la prima responsabile nell’educazione al controllo dell’impulso, che inizia con il controllo delle poppate, degli sfinteri e prosegue con il controllo degli impulsi di fronte all’autorità e alle regole. Il permissivismo in casa di fronte all’autorità e alle regole permette un sentirsi autorizzato a fare altrettanto anche fuori casa. Se un bambino per la seconda volta manca di rispetto alla madre è colpa del padre, e viceversa.
Pertanto il problema non è solo di tipo psicologico. C’è anche (forse soprattutto) un problema di modelli dei valori morali. Chi oggi arriva a uccidere o a violentare un bambino (o addirittura suo figlio) ha sicuramente delle premesse e delle predisposizioni acquisite nella sua famiglia di origine. I figlicidi che modelli morali hanno avuto? Con questo non si vuole deresponsabilizzare il criminale, ovviamente. Anche chi ha avuto ottimi modelli morali può diventare un criminale e chi non ha avuto buoni modelli morali può diventare un ottimo modello genitoriale e pro-sociale.
Gli abusi (anche sessuali) che ho trattato fin dagli anni Ottanta, sostanzialmente non sono tanto diversi da quelli che posso osservare oggi, salvo alcune eccezioni (Una notevole differenza fra gli abusi sessuali degli anni Ottanta e quelli attuali sta nell’interferenza di Internet e nelle modalità più ludiche e non fisicamente traumatiche. Molto più spesso oggi gli individui con una diagnosi di disturbo pedofilico hanno due caratteristiche: dipendenza da pedopornografia e comportamenti rinforzati dalla pedopornografia). Genitori che abusano sessualmente dei propri figli sono generalmente papà che hanno due caratteristiche: a) uno o più abusi sessuali subiti; b) il bisogno di emozioni (emotions or sensations seeking). Tuttavia non sappiamo la percentuale di papà abusanti che sono stati abusati e non dobbiamo pensare che ogni maschietto abusato sarà di certo un pedofilo o un papà abusante. Un indicatore da prendere in considerazione molto seriamente è l’emotions or sensations seeking, che spinge l’individuo a provare sempre nuove emozioni e sempre più forti. Quando questo tratto fin dalla preadolescenza non è oggetto di autodisciplina (e quindi sempre più affidato all’impulsività che non all’autocontrollo) e quando è orientato verso la sessualità, allora si fanno esperienze con il solo fine di provare emozioni e sensazioni sempre nuove e sempre più forti. L’impulsività sarà correlata con l’insensibilità, attraverso una debole o assente autodisciplina. Ogni tratto di personalità è considerato eticamente neutro perché dipende dalla direzione o dalla funzione che diamo attraverso l’autodisciplina. Anche il tratto della emotions or sensations seeking attraverso l’autodisciplina può avere mille direzioni diverse da quello della sessualità: cultura, arte, ricerca, sport, viaggi e molto altro.

Il legame tra disciplina e autodisciplina
L’infanticida, come l’individuo con la diagnosi di disturbo pedofilico e come ogni altro criminale, ha avuto una preadolescenza caratterizzata da un carente controllo della propria impulsività e non ha avuto modelli morali di autodisciplina. Il cuore del problema è proprio questo: è molto difficile avere un’autodisciplina senza aver ricevuto una disciplina. La prima disciplina viene dai genitori e la seconda dalla scuola. Volendo andare ancora più a fondo a questo problema, dovremmo chiederci perché oggi dare una disciplina a bambini, prepuberi e preadolescenti è tanto difficile.
Partirei da una premessa: la disciplina non è solo un insieme di regole, ma innanzitutto un sistema di valori morali che si esprime attraverso norme congruenti. Gli psicologi che hanno indicato il principio del piacere e l’evitamento del disagio come il binario della disciplina, hanno sbagliato. Dopo generazioni di costrizioni socio-familiari patriarcali e dittatoriali sembrava giusto orientare le nuove generazioni verso ciò che piace evitando ogni possibile disagio. Di per sé questo principio non è sbagliato ma, portato all’eccesso, ha formato giovani che hanno scelto l’uovo per oggi (piacere immediato e facile) anziché la gallina per domani (aspettare tollerando la frustrazione). Essere accontentati in tutto ciò che ci piace, ci porta a pretendere anche in futuro solo ciò che ci piace. Quanto più un preadolescente è abituato a ricevere tutto ciò che gli piace senza fare sforzi per conquistarsi qualcosa, tanto più proverà disagio quando fuori dalla sua famiglia non potrà avere tutto e subito. Questo porta alla intolleranza della frustrazione. I prepuberi che sono stati educati a scegliere ciò che piace ma anche – a volte – a saper aspettare o saper rinunciare ad una gratificazione, saranno più in grado di autocontrollo degli impulsi perché hanno imparato a fronteggiare la frustrazione. Se un genitore vede un trauma per ogni possibile disagio che suo figlio dovrà affrontare, sarà portato a fargli evitare qualunque disagio. Quel ragazzo, anche da adulto, non saprà affrontare le frustrazioni e pretenderà tutto ciò che gli piace e subito. È ovvio che chi non ha avuto una disciplina ad affrontare una frustrazione, molto difficilmente potrà avere un’autodisciplina per controllare la propria impulsività.
Di certo non sarebbe male che una coppia genitoriale, oltre che ad avere un sistema di valori morali condiviso, avesse anche delle modalità operative per insegnare l’impegno, lo sforzo e, se è necessario, anche il sacrificio. In questo caso sarebbe molto importante per il bambino comprendere la finalità e l’utilità dell’impegno. Anche quando si tratta di scegliere una facoltà universitaria o un lavoro, perché mettere al primo posto ciò che mi piace? Perché non anticipare un’altra domanda: cosa può essere utile (a me e/o altri) e poi, una volta fatta la lista di ciò che potrebbe essere utile, scegliere ciò che più piace.

L’importanza delle sanzioni
Andrebbero rimossi anche certi moderni tabù sulla disciplina fisica, come le sculacciate. Il bambino deve sapere in anticipo cosa è permesso e cosa è proibito e perché. Se persiste in un certo suo comportamento riceverà la sanzione (rimprovero, punizione o sculacciata). La metafora del semaforo è ben appropriata: la ripetizione di un certo comportamento porta al giallo e alla prossima ripetizione scatterà il rosso. Naturalmente il tipo di sanzione (ad esempio, una settimana senza smartphone) deve essere proporzionata all’ipotetico danno e va rinforzata dalla condivisione di entrambi i genitori. Dopo i vari preavvisi, seguiti dalla persistenza del comportamento ritenuto errato, è fortemente raccomandabile che la sanzione preannunciata venga eseguita.
Tornando alla terribile domanda iniziale, la risposta che possiamo dare è la seguente: chi violenta o uccide i bambini (o i propri figli) non controlla la propria impulsività e non ha avuto adeguati modelli morali.