Igino Righetti. Il cattolico pensante

di 

Ottant’anni fa la prematura scomparsa. La traccia da lui lasciata nel panorama del movimento cattolico italiano del Novecento. La dimensione internazionale che lo fa assurgere a costruttore di un’Europa di speranza per i semi gettati nella lunga stagione tra le due guerre mondiali.

Ricorrono quest’anno gli ottant’anni dalla prematura morte di Igino Righetti, figura in certo senso dimenticata ma non per questo passata senza lasciare traccia nel panorama del movimento cattolico italiano del Novecento. Si potrebbe, anzi, sottolineare che, per quanto sia un aspetto quasi sconosciuto, il giovane esponente di Rimini abbia quasi abbracciato una dimensione internazionale che lo fa assurgere a costruttore di un’Europa di speranza per i semi gettati nella lunga stagione tra le due guerre mondiali.
Igino nacque il 3 marzo 1904 a Riccione, all’epoca frazione di Rimini, da Vincenzo e Silvia Sanchini, secondogenito di sei figli maschi. La famiglia si trasferì a Rimini per seguire il padre nel lavoro in banca. Dopo aver frequentato il ginnasio “Carducci”, nel 1919 passò al liceo “Galvani” di Bologna, dove si diplomò tre anni dopo con una votazione alta, per iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Alma Mater. In questo periodo manifestò un interesse sentimentale più che dottrinario nei confronti del movimento nazionalista, dal quale si immunizzò attraverso la lettura dei classici della tradizione cristiana e delle opere di Giuseppe Toniolo. Nel 1921 fu coinvolto a Rimini nella riapertura dell’Università popolare, impegnandosi come segretario per offrire una proposta culturale alla città. La risposta fu perfino inattesa: come si ricava da un suo consuntivo redatto per il bollettino «Ariminum», nel 1923 si registrarono quattrocento iscritti e si tennero trentaquattro conferenze, seguite in media da centocinquanta partecipanti. Passato all’Università di Roma per proseguire gli studi giuridici in un clima più adatto alla sua salute, nel 1924 Righetti fu nominato segretario della giunta diocesana dell’Azione cattolica riminese, entrando in carica proprio alla vigilia dell’arrivo di Mussolini in città per chiudere le manifestazioni per le onoranze a Giovanni Pascoli, promosse da un organismo presieduto dal segretario del fascio bolognese Leandro Arpinati, che aveva oscurato le iniziative sostenute dal comitato cittadino, del quale faceva parte lo stesso Righetti. Il giovane romagnolo, che rientrava a casa periodicamente, nell’occasione scrisse tre articoli su «L’Ausa», il settimanale diocesano, nei quali sviluppò una severa disanima della violenza fascista. Nel primo, Righetti, prendendo spunto dall’omicidio di Giacomo Matteotti e Armando Casalini, denunciò l’«arbitrio» dilagante, al quale occorreva opporre il «comandamento evangelico dell’amore», nel quadro, peraltro, di uno Stato di diritto, chiamato a ricomporre «nella legge i contrasti che si formano nella realtà sociale».
La presa di posizione innescò la dura reazione del periodico «La Prora», alla quale Righetti replicò che i «moschetti», se potevano «seminare nuovi lutti», non avrebbero potuto «soffocare per sempre i principi di libertà e di giustizia». Nel corso della polemica a distanza si celebrò l’assemblea diocesana dell’associazione, nella quale il segretario di Rimini espose una relazione su L’odierno compito dei cattolici, condensato «in due termini precisi: preghiera e studio» («L’Ausa», 18 ottobre 1924). Pur in filigrana, Righetti delineava le prospettive dell’Azione cattolica, dopo la riforma di Pio XI, di fronte al processo di fascistizzazione, su cui si sarebbe misurato ancora nel 1927, accettando di reggere per pochi mesi la presidenza della giunta diocesana.
A Roma Righetti entrò in contatto con padre Giovanni Genocchi, che lo introdusse nel locale circolo aderente alla Federazione universitaria cattolica italiana, di cui divenne vice-presidente nel 1925. In questa veste prese parte al Congresso federale celebrato a Bologna nello stesso anno, che indusse la Santa Sede, prendendo a pretesto l’incidente diplomatico del patronato onorario dell’assise conferito al re, a intervenire per un ricambio dei vertici: come assistente e presidente furono nominati direttamente dal papa Giovanni Battista Montini e Righetti, in un legame di più stretta dipendenza dalla gerarchia ecclesiastica.

A Roma con Montini, l’impegno in Fuci e lo scontro con il regime fascista
Il binomio, tuttavia, si mosse in una linea di continuità con la tradizione fucina, reinterpretata e arricchita nel contesto del confronto anche concorrenziale con il regime. La Fuci, infatti, cercò di salvaguardare le realtà periferiche dalla pressione esercitata dai Gruppi universitari fascisti (Guf ), sollecitando i soci a non aderirvi, per non compromettere l’autonomia del movimento. Sul piano formativo, fu ripresa la mozione presentata da Righetti al Congresso bolognese, che richiamava la «necessità che l’azione culturale dei circoli, diretta ad approfondire lo studio e la conoscenza della dottrina cristiana, si svolga nell’atmosfera di una profonda vita spirituale, con ritmo sempre più intenso, con un costante e continuo controllo dell’insegnamento universitario, in intima relazione con i problemi della moderna cultura». Su questo asse, la proposta rivolta agli universitari – per riprendere i lemmi più significativi dei titoli degli articoli di Righetti – fu imperniata sull’affinamento della «coscienza», come spazio di maturazione di una «vocazione» che portasse all’assunzione di una «responsabilità» nel «mondo», superando, attraverso il confronto con la cultura contemporanea, lo schema duale di contrapposizione alle espressioni della modernità. Per conseguire più efficacemente questo obiettivo fu spostata a Roma la rivista «Studium», alla quale si affiancò nel 1928 «Azione fucina» con un taglio più snello, per lasciare più spazio nel mensile al dibattito culturale non solo nazionale. La produzione editoriale fu sostenuta attraverso la Società Studium, costituita nel 1927. La Fuci di Righetti si caratterizzò per una serie di iniziative che furono lanciate nel corso del suo mandato con cadenza annuale: nel 1926 fu promossa la Giornata fucina per i circoli aderenti; nel 1928 fu caldeggiata la Settimana di studio rivolta ai presidenti delle realtà periferiche; nel 1930 fu avviata la Pasqua universitaria. L’organizzazione fu poi sollecitata ad affrontare un tema comune, che veniva approfondito nei convegni di zona, per poi essere ripreso nell’assise nazionale celebrata all’inizio di ogni anno accademico. Un’incisiva rappresentazione di questa tensione fu resa nella Prefazione del presidente al quaderno di Montini Coscienza universitaria. Note per gli studenti (Studium, Roma 1930).
Grazie anche alle sollecitazioni dell’assistente di origine bresciana, la Fuci allargò sensibilmente i propri orizzonti, in una stagione di accentuato provincialismo, se non di autarchia culturale, che furono rinsaldati grazie alla partecipazione a Pax Romana, l’organizzazione internazionale degli studenti fondata a Friburgo nel 1921, la quale aveva come scopo statutario la promozione della pace dopo l’esperienza drammatica della Grande Guerra. Giovanni Bersani avrebbe ricordato come, di ritorno dalla partecipazione a questi incontri internazionali, Righetti «passava testi anche esteri, specialmente francesi».
Il consolidamento organizzativo mise in allarme il regime, che nel maggio del 1931 procedette alla chiusura forzata dei circoli giovanili cattolici, riaperti a settembre, dopo una faticosa mediazione, in seguito a un accordo che comportava per la Fuci, anche se solo formalmente, il superamento del modello federale in favore del legame con le associazioni diocesane. Righetti, scrivendo ad Angela Gotelli, presidente delle universitarie cattoliche, sottolineò, durante la crisi, la relatività delle strutture rispetto ai contenuti: «Quello che non sarà più possibile nelle forme così care e suggestive della nostra Fuci, sarà possibile in altre forme: ma la vita universitaria non deve essere abbandonata a se stessa e sprovveduta di ogni assistenza religiosa». In questo periodo Righetti, che nel momento più acuto del conflitto si rifugiò in Vaticano, conseguì la laurea, discutendo una tesi su Il diritto naturale in S. Tommaso, di cui fu pubblicato un estratto su «Studium» dopo la morte. La fuoriuscita dalla crisi spinse la Fuci ad accentuare la linea di formazione religiosa e di elaborazione culturale che è stata efficacemente definita di «afascismo». Al di là dell’atteggiamento nei confronti del regime mussoliniano, è la caratteristica espressione della Fuci di Montini e Righetti, volta a imprimere un impegnativo progetto formativo agli universitari cattolici, che costituiva un ponte tra dottrina e modernità nelle sue aperture bibliche e liturgiche, a risaltare.

Con i laureati cattolici, lo sforzo di coniugare «modernità» e «verità»
Al Congresso di Cagliari del 1932 fu approvata la proposta di Righetti di costituire il Movimento laureati di Azione cattolica, per prolungare l’esperienza maturata durante gli studi universitari anche nella realtà delle professioni. Nel 1934, dopo aver assunto l’insegnamento di Diritto costituzionale all’Ateneo del Pontificio Seminario Romano, il giovane romagnolo si sposò con Maria Faina, dalla quale ebbe due figli: Francesco (1935) e Giovanni Battista (1939).
Nominato segretario centrale, Righetti impresse al neonato movimento i tratti genetici della Fuci, che fissò nel volumetto Appunti per l’azione dei laureati (Studium, Roma 1934). Fu lui a perfezionare lo sforzo di «una conciliazione» tra le «forme» della «modernità» e l’«insegnamento della verità», attraverso un’apertura più decisa alla riflessione teologica e filosofica soprattutto di matrice francese e tedesca, che in Italia avevano una circolazione rarefatta. La Settimana di cultura religiosa di Camaldoli, istituita nel 1936, costituì lo spazio privilegiato per innervare la proposta formativa dei Laureati cattolici, che nel 1933 ereditarono dalla Fuci «Studium», come canale di animazione culturale, e nel 1935 lanciarono il «Bollettino di Studium», per curare i collegamenti con i gruppi periferici. In linea con l’articolazione delle attività fucine, sempre a partire dal 1936, iniziò la tradizione dei convegni annuali. Nel 1933, alla XVII Settimana sociale dei cattolici italiani che si tenne a Roma dal 3 al 9 settembre sul tema La carità, aveva sostenuto: «Il nostro mondo profano e refrattario all’azione della Chiesa non potrà invece essere sordo alla parola che con l’esempio e le opere, gli scritti e le virtù gli potrà dire questa schiera scelta del laicato cattolico [...]. L’intervallo che separa la Chiesa dal nostro tempo sarà colmato da questi precursori di essa al mondo e del mondo ad essa».
Fu soprattutto lui a cercare di difendere gelosamente l’autonomia del movimento dalle logiche di un inquadramento di massa all’interno dell’associazione. La formazione di una élite cattolica, secondo il peculiare modello dei movimenti intellettuali dell’Azione cattolica, ebbe un notevole influsso nella formazione della classe dirigente che nel dopoguerra assunse un ruolo di rilevo alla guida del paese. Righetti, che morì a Roma il 17 marzo 1939 per l’acuirsi della malattia che l’aveva afflitto fin da giovane, non riuscì a cogliere i frutti dell’intenso lavoro profuso, così come non poté vedere la rifondazione di Pax Romana a Roma nel 1947, grazie anche all’apporto dei Laureati cattolici, come Mouvement international des intellectuels, ancora una volta dopo la tragica prova della guerra per un futuro di speranza e di pace.

****

Antologia

Ragioni di un compito nuovo

La vita religiosa di chi lascia gli studi universitari per incamminarsi nella carriera professionale ordinariamente non trova contro di sé obiezioni d’indole teorica e dottrinale, o almeno non le trova tali da suscitare, come nell’animo dello Studente, violente tempeste, sfrenate utopie, decisioni generali, dubbi sistematici: la mentalità, più o meno, è formata. Trova invece contro di sé la difficoltà duplice dell’esercizio esteriore confacente alla propria condizione e sopratutto ai propri gusti. La vita religiosa del laureato non è scossa come quella dello studente da crisi minacciose e profonde; è invece piuttosto statica, tende ad un nominalismo privo di contenuto, tende a minimizzarsi in breve e convenzionale giro di pensieri e di pratiche, a ridursi ad una quasi inavvertita adesione formale al cattolicismo ormai senza obbiezioni, ma anche senza entusiasmo professato.
Ed è questa l’età in cui il cattolico poco o nulla si distingue da chi non lo è. Poco o nulla non solo nel costume esteriore, ma, a guardar bene, anche nella coscienza interiore.
La coscienza religiosa è piuttosto atona e passiva [...]. La colpa, tutti la sappiamo, non è del cristianesimo. E fors’anche, possiamo dirlo, non è nemmeno dell’uomo colto e maturo. È dei mezzi – ancora perfettibili, e talora forse assai perfettibili! – con cui il cristianesimo viene a contatto con lo spirito di questa categoria di persone. [...]. Eppure è facile dimostrare quanto sia perniciosa anche a questa età e a questa condizione di vita, la solitudine, l’individualismo. Il Laureato è – moralmente – un novizio.
Se alla prima età le due prime tentazioni narrate nel Vangelo della tentazione di Cristo sono particolarmente riservate; a questa età è la terza che si presenta: inginocchiarsi per dominare [...]. Ora a tale progresso organizzativo mira precisamente il movimento Laureati: esso rappresenta non una secessione, ma una specializzazione, non un separatismo, ma una più cosciente ed efficace collaborazione.
E l’A.C., quale oggi la vediamo, non è affatto aliena da tale criterio. Essa infatti si fonda su la partecipazione volontaria dei laici; essa vuole dei laici scegliere piuttosto la qualità che la quantità; essa ha già iniziato con frutto l’applicazione di questo criterio nelle varie distinzioni di sezioni, di categorie, facoltà, reparti, ecc. in cui la massa dei suoi soci trova quella precisa forma d’assistenza e di attività che risponde ai suoi bisogni e alle sue possibilità di lavoro [...].
Diamo uno sguardo sul mondo. Il nostro mondo profano e refrattario all’azione diretta della Chiesa, non potrà invece essere sordo alla parola che con l’esempio e le opere, gli scritti e le virtù, gli potrà dire questa schiera scelta del laicato cattolico. Ad essa sarà dato estendere nella coltura e confermare con l’integrità e la nobiltà della vita il pensiero della Chiesa: ad essa sarà dato raccogliere l’esperienza, o triste o buona, della nostra generazione e presentarla alla Chiesa. L’intervallo che separa la Chiesa dal nostro tempo sarà colmato da questi precursori di essa al mondo e del mondo ad essa [...].

(Tratto da Ragioni di un compito nuovo, in «Studium», 30 (1934), 1, pp. 5-13)